Anna Lombroso per il Simplicissimus
Se “il linguaggio è la casa dell’essere” secondo Heidegger, potremmo capire molto di quello che ci circonda e di chi ci governa attraverso le parole, gli stereotipi, i motti, gli slogan i toni e i ritmi del loro parlarci. È evidente che come il Fùnes di Borges hanno elaborato una loro comunità di senso nominando pensieri e parole secondo un loro programma e una loro visione, che li rende incapaci di comunicarci qualcosa che risponda alle domande nel nostro senso comune. Ed è altrettanto chiaro che sono indifferenti a ragionare con noi, intenti solo a persuaderci secondo le metodologie e gli strumenti della pubblicità e del mercato.
Oggi chiosando la “retorica” di Alfano, riflettevo sul ricorrere non casuale di certe formule, appropriato e adeguato a questi tempi, se, come diceva Goebbels, ripetete una cosa cento mille volte e diventerà verità.
Anche se non abbiamo né un Doktor Goebbels e nemmeno il Ministero della Verità di Orwell, incaricato di stravolgere semanticamente i significati trasformando la pace in guerra e l’amore in odio, ci avviamo a essere “parlati” da una lingua governata totalitariamente, persuasivamente manipolata, dominata da messaggi allusivi come quelli dell’advertising, simbolica di modelli esistenziali cari al regime, profitto- accumulazione- consumi, equipaggiata di eufemismi adottati per imbonire e addomesticare. Ma questa lingua nella quale ci fanno navigare non crea nulla ma solo dà voce a suoni ripetuti, slogan scanditi ossessivamente per convincerci, che in alcuni casi danno assuefazione, in altri noia, con l’effetto generale della noia e della disaffezione, malattie degenerative della vita pubblica e della nostra percezione della politica.
Senza esplorare quelle parole delle quali ci hanno slealmente e indebitamente espropriati, amore, libertà, per farne degli ossimori elettorali, guardiamo invece al loro repertorio kitsch e orripilante. Basta pensare allo stereotipo esibito come una ostensione dal premier e oggi dal suo delfino: scendere in campo, o addirittura scendere in politica. Se dovessimo pensare come insegna Weber, che la politica sia una “professione” , nella quale competenze, virtù e responsabilità alimentano l’esperienza, esaltano vocazioni e appagano legittime ambizioni, allora sarebbe più logico dire “salire in politica”. Ma lo scendere degli uomini della provvidenza che in corsie ricorsi si incarnano in figure messianiche nella nostra storia nazionale, è espressivo della loro “assunzione a rovescio” dal cielo alla terra di un incarico salvifico, di una missione di redenzione. Il percorso in discesa appunto di chi lascia una condizione beata e allegramente scriteriata per sacrificarsi in nome dei nostri comuni interessi, in una trasposizione azzardata ma evidentemente gradita di schemi collaudati, dalla teologia alla politica. E l’idea provvidenziale – esaltazione dell’uso improprio – contagia anche l’opposizione, si fa per dire, in cerca di identificare, riconoscere neppure tanto democraticamente, un “papa straniero”, altro topos molto presente, finora mimetizzato tra gli imprenditori, tra i giornalisti, tra gli attori, come occasione ultima e risolutiva di riscatto e salvezza.
E il “contratto” diventa l’atto rivelato della scesa in campo. Quello mediante in quale l’uomo della provvidenza e il suo “investito” oggi, si annunciano e vengono riconosciuti dai loro “salvati”. “Ho sentito una specie di responsabilità… non era possibile girare la testa dall’altra parte , si sarebbe trattato di omissione di soccorso e ho risposto a questa chiamata alle armi”, così si è pronunciato Berlusconi quando ha preso il bastone del comando delle sue milizie, dei suoi “apostoli della libertà”. Che presentò il contratto appunto come carta fondativa di un vincolo mistico. Qualcosa, è ben chiaro, che si colloca da subito al di fuori di qualsiasi logica democratica.
A volte guardando i filmati dell’istituto Luce viene da chiedersi come il passo dell’oca o il ceffo del duce non abbiano coperto di immediato e istantaneo ridicolo figure mediocri rovesciandole senza danno per noi giù dai loro monumenti equestri, dai loro balconi, dai loro archi di trionfo. E per lo stesso motivo c’è da stupirsi che qualcuno si sia fatto abbindolare, come dal predicatore televisivo che vende profezie e guarigioni, come dalla pozioni dietetiche di Vanna Marchi, come dalla salvezza di Scientology. Se la religione è l’oppio dei popoli, tra un oroscopo e una televendita la loro comunicazione politica è stata un potente anestetico servita a renderci inattivi, a confortare gli afflitti. Ma come disse qualcuno arriva un tempo nel quale è necessario affliggere i confortati, non cercare consolazione. Guardare nell’inferno presente ciò che inferno non è e proteggerlo e espanderl