La maestra di matematica la scriveva sulla lavagna coi gessetti colorati, molto prima che ci insegnassero a leggere. Aveva un bel corsivo tondo, pulito. Ricordo che rimanevo a fissarla per tutta la lezione, quella scritta. Cercavo di capire quale segno si collegasse a ciascun suono. Di riprodurlo su fogli a quadretti. Di dissociare ogni lettera dall'insieme per creare altre parole, altre storie. Se indovinello inizia per i, pensavo, allora anche la i di Ilaria si scrive così. La seconda lettera del mio nome è la elle, indovinello ha due elle, e allora...
Mi sembrava una magia, poter collegare dei codici ad un concetto. E quanto era musicale quel sostantivo: “indovinello”! Suonava bene. Me lo rimbalzavo in testa, tornando a casa. Ne assaporavo ogni dettaglio nella modulazione del tono della voce. Indovinello. Indovinello.Per me era la chiave del mondo. La stele di Rosetta. Un manuale. Sul serio, era la parola magica che mi avrebbe aperto le porte della vita. Perchè lo credevo davvero. Pensavo che una volta che fossi stata in grado di associare tutti i simboli ai loro rispettivi suoni, allora avrei decifrato l'universo intero. L'avrei avuto in pugno. Dominato. Mi sembrava, in certo modo, che l'alfabeto fosse il giocattolo più bello a cui potessi aspirare. A conti fatti era un po' come i mattoncini dei lego: a seconda di come li disponi, crei mondi diversi. Edifici. Costruzioni. Luna Park.Quando, qualche settimana dopo, il maestro di italiano ci insegnò a capire e riprodurre le lettere, io un po' partivo avvantaggiata. Quelle di “indovinello”, ormai, le conoscevo. Sapevo identificarle. Sapevo scriverle in maiuscolo. In minuscolo. Ero in grado di scomporle e riassemblarle, e questo mi faceva – stranamente – sentire speciale.Negli anni ho avuto la curiosità di scoprire ed imparare un sacco di altre cose. Mai, però, è successo con tanto ardore, entusiasmo ed impazienza come da piccola volevo, disperatamente volevo, imparare a scrivere.
Quindi, a conti fatti, forse è vero che da bambini vediamo già quel che saremo. A conti fatti io l'ho sempre avuto chiaro, cosa soprattutto mi piacesse fare. Il pensiero mi coglie all'improvviso, tra il biglietto di un concerto e un vestito a pois che mi devo provare. Sa di illuminazione, ora che le preoccupazioni della vita sembrano avermi privata di una capacità. Ché ultimamente mi sembra di non riuscire più a trovare il comico nelle situazioni d'ogni giorno. Ché torno a casa da lavoro stanca, e non ho tempo di dar ordine alle idee. Ché da “#Odissea” ho iniziato almeno 10 libri, e non sono stata in grado di concluderne nessuno.
E voi mi chiedete quando pubblicherò qualcos'altro. Mi interrogate, dite: “stai scrivendo?”, e forse ci restate male se vi rispondo di no. Io che soffro di dolori fisici quando un'idea non si traduce in carta. Quando il bisogno di aprire una cartella di word è così intenso da rendermi intrattabile. Ma non c'è tempo di assecondarlo, perchè c'è da occuparsi del blog aziendale; da far la spesa; da vedere un'amica; da vivere, in definitiva. Vivere. Perchè la vita ispira ma si prende tutto il tempo. Perchè vivere fa rima con scrivere e a me è sempre sembrata un po' la stessa cosa. Ma vi deludo, vi deludo senz'altro, nel mio lasciare sempre tutto quanto a metà. Però poi penso alla parola “indovinello”. Così, fuori da ogni contesto, mentre attorno il mondo si incasina. E forse sta proprio lì, la chiave. Forse basta tornare a quel punto. Scrivere per scrivere, e basta. Senza preoccuparsi delle aspettative. Dei contenuti. Dell'ironia, delle lamentele, dell'incompiuto, dei (scusatemi!) lettori. Scrivere perchè mi diverte, nient'altro. Perchè associare un segno a un suono è sempre stato il nostro – il mio!- superpotere.