Luca De Biase, pochi giorni fa, scrive che “l’editoria ha bisogno di ridiventare un business fondamentalmente tecnologico. Innovativamente tecnologico.”
Oggi il 95% dei legacy media è ancora “print first”, sia per la vendita di contenuti che i ricavi da advertising, come abbiamo ampiamente documentato nel tempo. Almeno l’80% dei ricavi, o più, deriva ancora dalla versione tradizionale, cartacea, dei quotidiani. Il ciclo produttivo, l’organizzazione del lavoro, viene scandita ancora oggi dai tempi del quotidiano di carta.
Se certamente, a parità di condizione, la tecnologia è indubbiamente un fattore facilitante, non credo però che debba essere questo il focus dei publisher.
La trasformazione deve seguire, nell’ordine corretto, tre elementi:
- La cultura, aziendale ed organizzativa
- L’audience, i pubblici di riferimento
- I ricavi.
Il lavoro di redazione è ancora troppo distante dall’interattività richiesta, da una comunicazione veramente a doppia via, l’unica davvero efficace come noto. Assenza di interattività, mancanza del ruolo attivo dell’utente, uso adeguato e corretto degli UGC e utilizzo efficace dei social sono ben distanti dal venire ancora oggi.
Il gap tra i concetti veicolati dalla formazione ed i processi interni aziendali, la mancanza di volontà ad auto-aggiornarsi, a mettersi in discussione ed apprendere e sperimentare sono, ahimè, la norma e non l’eccezione.
La ricerca di volume e non di valore rappresenta una costante dell’approccio all’online, al digitale, da parte dei publisher e centri media.
Per costruire un modello efficace non bisogna essere ossessionati con il prodotto, come molti altri mercati/segmenti insegnano, ma con il suo pubblico fedele e su come costruire relazioni di valore tra il media, tra la testata ed il pubblico di riferimento. I contenuti sono la base, la reputazione e la comunità le chiavi del successo.
Le relazioni personali sono ciò che guida una crescente quantità di consumo dei media di attività correlate al momento — non prodotti, ma le persone. Questa tendenza è stata alimentata dai social come Twitter e Facebook, ma non è stata creata da loro. Si tratta di un desiderio innato dell’uomo.
La partita è culturale NON tecnologica [#].