La passione, il cosmo, le sinapsi e uno spirito indie: Giorgio Dobrota
Da Claudiasposini
Gli ultimi lavori di Giorgio Dobrota si condensano tra schizzi lucenti di blu, colori argentei, gialli, rossi, pennellate accese, scure e corpulente nella loro materia. Sono serpenti, croci, neuroni, formule algebriche: l’Uomo nel suo Mondo e nel Mondo, l’artista che disegna, che si esprime, che ha un rapporto intimo e dettagliato con la sua opera. E tutti gli strumenti all’occorrenza: colori in bombola, tinte da pittura, tele, cartoni, metallo, lastre, giornali. Influenzato dalla cultura slava, greca e derviscia, Dobrota è un gran meditatore del proprio lavoro, del proprio tempo, del proprio intuito, della propria arte. Un lungo percorso di ricerca, nell’ambito di un senso, di un processo interiore dettato dall’esperienza, dalla passione, da un percorso formativo su di sé e sul sé; perché l’opera rappresenta un legame con se stessi, nell’intimità profonda di noi e della nostra personalità.
Sono opere “grandi” fisicamente, scenografiche, colorano paesaggi cupi ma vitali, legami matematici, atmosfere magmatiche, esplosioni di tinte drastiche ma piacevoli, apparentemente in declino ma sintoniche nel loro divenire. E’ un divenire sempre più umano, più verticale, quasi fosse un'ascesi; ascesi del sé: opere “megalopoli” nelle loro dimensioni e nei loro tratti metropolitani, urbani, ai confini con l’anatomia umana nel suo ripetersi cerebrale, tra interconnessioni sinaptiche, e “deliri” umani nel loro concedersi a forme, e misure di senso. Opere “teatrali” e “cinematografiche” per le loro storie vissute, intrise nelle loro armonie, disarmonie, mai uguali, sempre differenti, ispirate a un senso che va oltre l’astratto e il simbolico : è una forma che prende forma, il Tutto, la Gestalt, l’artista. Un lavoro che è tutt’uno con la vita di Dobrota, con il suo atelier artistico: uno scantinato adibito alla pittura, nel freddo milanese, nell’odore acre di tempere, colori, pennelli, riutilizzo di materiali già usati. E la sua attività prende forma, sostanza nella creazione del qui ed ora, nell’improvviso, in un pensiero ben chiaro e definito, in una catarsi interiore con connessioni musicali e culture del suono. Dobrota, infatti, è anche musicista e chitarrista; influenzato molto dalla scenamusicale indie, riversa sui suoi quadri sensazioni ed emozioni “sinaptiche”, cervellotiche, elettroniche. Come fosse un ricordo di qualche copertina dei Pink Floid negli anni ’70, un crogiuolo di colori esplosivi ed accecanti nelle loro atmosfere e sfumature, o allegoria del film “Blow-up” di Antonioni, inteso qui come tendenza, come rapporto intimo non più tra la macchina fotografica e la modella, ma tra l’artista e l’opera, in un amore dolce e imprevedibile che colma la distanza tra il pittore e il quadro.
Anche soggetti come boa velenosi e immagini che ricordano l’essenza del mondo indiano di Krishnamurti ricorrono nelle ultime realizzazioni di Dobrota, reduce da diverse esperienze di vita con la cultura orientale, sia come viaggio che come insegnamento su di sè. Il post-atomico e l’Oriente, quindi, ad incontrarsi sulle stesse tele in un approccio influenzato dalla musica e dalla sperimentazione musicale. Colori dolci e opachi oppure tenebre della notte, intrise nel rosso e in linee indefinite, universali, travolgenti, che ripercorrono immaginariamente l’Universo, per ricongiungersi con l’artista e il suo pensiero.
di Claudia Sposini, psicologa
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