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"la passione ribelle": coltivare lo studio per (cercare di) ribellarsi

Creato il 17 ottobre 2015 da Alessandro @AleTrasforini

L'equilibrio che si raggiunge con lo studio fino a che punto può rendere precarie ed instabili la conoscenza del mondo ed il livello di sicurezza con cui guardare ad esso?

Le finalità dello studio contribuiscono a trasformare, nel tempo, le sensibilità e le percezioni dell'essere umano nei confronti dell'esterno: quali sono le relazioni che chi studia nel tempo può approfondire, rendendo quindi meno salde le proprie consapevolezze nei confronti di molte e svariate tematiche? Dove può nascondersi il confine ultimo dello studiare, se le certezze non risultano accresciute da un percorso di progressiva ma costante maturazione intellettuale?

Tutto rischia di concludersi nel famoso " so di non sapere" di filosofica memoria? Potrebbero invece esistere altre ' leve' da sollecitare che, a loro volta, cerchino di modificare sensibilità ed attitudini ' nascoste' di chi spende il proprio tempo per approfondire? Come viene visto chi investe una parte ( più o meno consistente) della propria vita a studiare? Quali sono le ' atmosfere' più adatte per incanalare nella propria testa conoscenze utili per ( provare a) padroneggiare le sempre crescenti complessità del mondo esterno? Le attività di studio devono rispondere ad una serie di ragioni specifiche o devono muoversi in libertà con la sintonia che l'anima di qualcuno prova nei confronti di qualcosa di non meglio definito? Il perché ( cercare di) investire del tempo a studiare rende piena consapevolezza di una massima attribuita ad Albert Einstein, strutturata valutando il rapporto che può arrivare ad esistere con il mondo circostante:

"[...] Non considerate mai lo studio come un dovere, ma come una occasione invidiabile di imparare a conoscere l'effetto liberatorio della bellezza spirituale, non solo per il vostro proprio godimento, ma per il bene della comunità alla quale appartiene la vostra opera futura. [...]"

Lo studiare potrebbe e/o dovrebbe quindi costituire una sorta di ' missione' sociale, finalizzata alla presa di coscienza e conoscenza verso quanto è possibile fare individualmente per contribuire alla crescita del mondo. Lo studio è anche un'attività troppo spesso plasmata su convinzioni e convenzioni troppo poco flessibili, per nulla adatte all'anima di chi cerca in giovane età di assimilare tutto con spirito di ' spugna'. Quanti casi si potrebbero contare di persone disilluse ed allontanate dalla conoscenza, nonostante infinite potenzialità, qualora fosse possibile valutare con mano ferma le gesta di cattivi maestri e/o di metodi non adeguati di trasmissioni valoriali? A questo proposito ritorna, implacabile, un'altra massima attribuita allo scienziato Einstein:

"[...] La scuola deve far sì che un giovane ne esca con una personalità armoniosa e non ridotto ad uno specialista. [...]"

A questa ed altrettante domande cerca di rispondere il libro " La passione ribelle", scritto da Paola Mastrocola e pubblicato da Laterza Editori.

"[...] Chi studia è sempre un ribelle. Uno che si mette dall'altra parte rispetto al mondo e, a suo modo, ne contrasta la corsa. Chi studia si ferma e sta: così, si rende eversivo e contrario.

Forse, dietro, c'è sempre una scontentezza: di sé, o del mondo. Ma non è mai una fuga.

E' solo una ribellione silenziosa e, oggi più che mai, invisibile. [...]"

Chi studia per davvero, molto spesso, finisce per ribellarsi in silenzio ad un sistema circostante che ( pur)troppo spesso finisce per esaltare trionfi di vuoto ed inconsistenza reali.

Le atmosfere dello studio rischiano di essere cupe, minimali, riservate e prolungate nel tempo di vita ed esistenza di una generica persona. Tali circostanze vengono dalla stessa autrice sintetizzate e ricondotte ad una sorta di ' odor di muffa' che a troppa parte del mondo esterno causa disagio e stranezza:

"[...] Lo studio è sparito dalle nostre vite. Nessuno studia più. Se ne può fare a meno. [...] Lo studio sa di muffa, è passato, è vecchiume. E' la scuola, l'adolescenza coi brufoli, la fatica, la noia, il dovere. Fuori c'è sempre il sole, e noi dentro a studiare. Gobbi, chiusi, soli. [...] Già solo la parola ci suscita un malessere, un'avversione. [...] Ci viene in mente l'immagine di un anziano professore seduto a un tavolo di biblioteca, ossa infreddolite, cappotto ancora addosso, [...], odor di armadio chiuso, buio, occhiali a metà naso, cordicella penzola, occhio presbite, a un palmo da pagine ovviamente ingiallite. [...]"

Certe percezioni delle attività di studio rischiano quindi di influenzare pesantemente il contenuto e le scelte di quanti hanno determinate affinità nei confronti di precise materie e discipline. Il contesto nel quale adoperarsi restituisce pertanto visioni sbagliate di chi sceglie lo studio come attività di crescita e maturazione intellettuali:

"[...] Chi studia è uno sfigato.. E chi è bravo lo è perché ha una bravura innata, spontanea, inconsapevole e selvaggia. Chi studia, diventa solo uno studioso. Genio invece si nasce.

Il semplice studioso, di per sé, non porta da nessuna parte. E causa anche malattie, depressioni, errori di postura, mal di schiena, miopia, scoliosi. [...]"

Attraverso quali condizioni poter ( cercare di) costruire piacere ed attitudine allo studio se le premesse rimangono queste? Il primo passo fondamentale consiste nell'adoperarsi davvero per abbattere certi pregiudizi e luoghi comuni; basta sottolineare quanto le attività di studio costante e/o prolungato senza perdere molto tempo possano costituire solide basi sulle quali costruire il futuro di un Paese civile e consapevole sia dei propri limiti che delle proprie potenzialità collettive.

Le attività di studio si vivono e si elaborano in relativo silenzio, cercando di fare il possibile per trarre spunti costruttivi dal mondo esterno:

"[...] Studiare vuol proprio dire questo, dal verbo latino studeo: impegnarsi, sforzarsi. [...] Impegno è in pegno, è mettere in pegno qualcosa per averne in cambio qualcosa. Perché ci piace così poco? [...] Lo studente che si impegna [...] mette in pegno qualche anno della vita che poi, con lavoro e fatica, si riprenderà, più arricchito perché quegli anni gli avranno reso dei guadagni.

Naturalmente parlo di guadagni e ricchezze impalpabili, e indicibili. [...]"

La versione contrapposta a queste attività di impegno costante ed applicazione invisibile presuppone giudizi e sensibilità distorte, emesse da una società che ( purtroppo) lascia sempre meno spazio all'introspezione ed alla riflessione interiore:

"[...] Oggi non si studia più. E' da predestinati alla sconfitta. Lo studio evoca Leopardi che perde la giovinezza, si rovina la salute e rimane solo come un cane.

E' Pinocchio che vende i libri per andare a vedere le marionette. E' la scuola, l'adolescenza coi brufoli, la fatica, la noia, il dovere. E' un'ombra che oscura il mondo, è una crepa sul muro: incrina e abbuia la nostra gaudente e affollata voglia di vivere nel presente. Lo studio è sparito dalle nostre vite. E con lui è sparito il piacere per le cose che si fanno senza pensare a cosa servono.

La cosa più incredibile è che non importa a nessuno. [...]"

La ribellione da esercitarsi quotidianamente prevede la possibilità di costruire una sorta di ' fuga', andando ad incidere in maniera complessiva e pesante sulla necessità di fuggire da certi stereotipi e luoghi comuni. Viene richiamata dall'autrice dell'opera, a questo proposito e per indicare l'ambiente e le consapevolezze entro le quali ( cercare di) costruire una qualche forma di fuga, una poesia attribuita a Costantinos Kavafis:

" E se non puoi la vita che desideri

per quanto sta in te: non sciuparla

nel commercio con la gente

con troppe parole e in un viavai frenetico.

Non sciuparla portandola in giro

gioco balordo degli incontri

fino a farne una stucchevole estranea."

Il meccanismo di ribellione deve e/o potrebbe presupporre, pertanto, una qualche forma di allontanamento e riflessione nei confronti di un mondo che sembra consumare tutto ( o quasi) in un disperato ' viavai frenetico'. Come pervenire davvero a tale modo di agire ed operare?

Il suggerimento dell'autrice risulta essere, a questo proposito, estremamente chiaro e consapevole. Magari non gradito ma estremamente lucido e metodico:

"[...] Abbiamo solo un modo di cambiare le cose, mandare a stendere questo nostro Universo: metterci a studiare. [...] Vorrebbe dire far girare diversamente la vita, allungare il viaggio, rallentare le lancette. Ti vogliono tutti di qua e di là? E tu non vai. Devi fare questo e quell'altro? E tu non lo fai. Non puoi. Stai studiando. Hai bisogno di pace, solitudine, concentrazione, silenzio. Andate a quel paese, io studio. [...] mi troverete poi. [...] Questo sarebbe ribellarsi al mondo: fare una cosa che gli va contro, che è per sua natura contrario a tutto ciò che il mondo ti impone di fare. Ti ribelli [...]. Spegni. Te ne vai. Tanti saluti. Pensi. Studi. Allora sì che lo studio diventerebbe il gesto più rivoluzionario che possiamo compiere. [...]"

Rivoluzionare le abitudini per ( cercare di) rivoluzionare sia la propria interiorità che le proprie consapevolezze nei confronti del mondo esterno. Sia mai che, prima o poi, riesca a migliorare anche lo stesso universo circostante ed estremamente complesso.


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