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La pasta (o il lievito) madre

Da Papio54

lievito madre

Vi ricordate il tamagotchi, quel giochino elettronico in voga negli anni ’90, dove un personaggio virtuale doveva essere nutrito, pulito e accudito a scadenza, sennò, ahimè, moriva? Così è la pasta madre, un impasto visibilmente vivace che, se ne accetterete la convivenza, vi guarderà dal vostro frigo ogni volta che l’aprirete, sempre con un’aria leggermente diversa. Perché la pasta madre è viva, va accudita e nutrita con regolarità, sennò si richiuderà su se stessa e non farà più l’unica cosa che sa fare (ma la sa fare molto bene): lievitare.

Io ne ho avuto un po’ in omaggio dalla mia amica Francesca, e la ringrazio enormemente, non solo per la qualità del prodotto e per l’input interessante che ha generato, ma soprattutto perché ho poi scoperto che non è impossibile generarla in casa, salvo però lavorarci per due settimane di fila, e senza sicurezza dell’esito finale. Ho visto che esiste anche il lievito madre liofilizzato e pronto all’uso, ma i costi sono completamente diversi.

La mia esperienza con la pasta madre è ancora recente, sufficiente però per capire che non è quel mostro inquietante che qualcuno teme: ha sì tempi un po’ lunghi, è un po’ laboriosa, ma nel contempo è docile e desiderosa di assecondare tutti i nostri esperimenti, anche quelli un po’ più azzardati, insomma è capace di farsi amare. Sappiate però che se una sera arrivate a casa e vi scatta la voglia di questa pizza, dovrete avere il lievito di birra, o almeno il liofilizzato. La pasta madre ha tempi lunghi, desueti, e richiede programmazione.

La gestione della pasta madre prevede due fasi: quella del rinfresco e quella dell’impasto vero e proprio.

Il rinfresco deve essere fatto ogni 3-4, massimo 5 giorni senza eccezioni. Sappiate che più è lungo l’intervallo e più il lievito si indebolisce. Come si fa? Si prende la pasta madre già in frigo,  si pesa, la si scioglie in un po’ meno di metà peso di acqua non del rubinetto (eventualmente se ne aggiungerà un po’ dopo) e si reimpasta con uguale peso di farina e mezzo cucchiaino di miele. Tanto per capirci meglio: per 100 grammi di pasta madre ci vorranno 100 grammi di farina e 50 di acqua (ripeto, tenetevi scarsi, non si sa mai la reazione di assorbimento, si fa poi presto ad aggiungerne altra). Alla fine la pasta deve “incordare”, parolone che non conoscevo e che semplicemente significa quello che raccomando sempre io, ovvero che la pasta deve essere morbida ed elastica, ma asciutta, deve lasciare le mani pulite.

Una volta fatta questa operazione, mettete metà dell’impasto in un vasetto di vetro a chiusura ermetica, alto e stretto, fatelo riposare mezz’ora a temperatura ambiente, poi riponetelo sul ripiano più alto del frigorifero. Servirà per la prossima volta.

L’altra metà andrà lasciata riposare in una ciotola, coperta con un po’ di pellicola perché non si asciughi troppo. Dopo due o tre ore la vedrete bella gonfia e vispa, pronta per entrare in azione.

Impastatela, nella proporzione di 150 gr. di pasta madre con 500 gr. di farina (20-25% circa di pasta madre rispetto al peso totale delle farine), acqua quanta ne serve, un cucchiaino di sale e un cucchiaino di malto, necessario per contrastare il sapore un po’ acido dei lieviti.

Queste indicazioni sono preziose la prima volta, quando ci si muove con un po’ di incertezza e perplessità, ma capirete subito che invece è un invito alla sperimentazione, e viene subito voglia di provare miscele diverse di farine, semi, frutta secca, tutto quello che piace.

L’attenzione va ai tempi di lievitazione: dopo le due, tre, quattro ore di riposo della pasta madre, potete preparare il vostro pane, o meglio l’impasto per farlo, e poi metterlo a lievitare in frigorifero per 12 ore e anche più, fino a un massimo di 24 . Poi togliete l’impasto dal frigo, dategli la forma che volete (filone di pane, pagnotta, panini …) e trasferitelo nella teglia dove lo cuocerete, e lasciatelo lì ancora un paio d’ore. Infine potete finalmente cuocerlo, mettendolo subito in forno a 250° e, dopo 10 minuti, abbassando a 200° e lasciandolo cuocere almeno 40-50 minuti (per i pani grandi) o un po’, ma non molto, meno (per i panini e i filoncini). In ogni caso, prima di spegnere, pungetelo con uno stecchino o uno spiedino e controllate che esca perfettamente pulito, vuol dire che il pane è cotto.

Per la pizza vanno rispettati gli stessi tempi, ricordo solo, al momento di trasferirla nella teglia per stenderla, di farlo con molta delicatezza, perché in questo modo la pasta sarà poi più docile da lavorare, e non tenderà a “tornare indietro” mentre la stendete.

Tutto qui. Dicono che il pane fatto con il lievito madre dura anche una settimana. Per il momento, in casa mia, ha avuto difficoltà, lui, il pane, ad arrivare alla sera dopo.

pane bianco

 

Strategie: una volta ho sbagliato e ho impastato un pane di sola farina di grano saraceno. Ne è uscito un blocco pesantissimo, che anche il lievito madre faceva fatica a gonfiare. Non contenta, l’ho tolto dal forno troppo presto, così, al momento di tagliarlo, mi sono accorta che all’interno era ancora un po’ crudo. Che fare, buttare? Mai più! L’ho affettato, tostato nel forno e ho poi usato le fette come friselle, da gustare con i pomodori. Al momento del consumo ho bagnato di acqua e olio le fette di pane, le ho cosparse di pomodoro fresco tagliato a dadini e foglie di basilico, ho lasciato riposare un po’, di modo che l’umidità dei diversi ingredienti ammorbidisse il pane, e infine ho gustato: buonissime!

Se notate che il vostro lievito perde un po’ di energia, potete facilmente rivitalizzarlo facendo alcuni rinfreschi ravvicinati, per esempio tutti i giorni per tre o quattro volte, scartando a ogni passaggio la parte più esterna, meno vivace, e conservando il cuore.

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In chiusura: se fate qualche ricerca in rete, vi accorgerete presto che ci sono molte pagine dedicate al lievito madre, alla sua manutenzione e al suo utilizzo, che passano dalla più estrema semplicità al più complicato e snervante processo. Quello che vi ho illustrato è un buon compromesso per partire senza troppi patemi, liberi poi di seguire, o meglio, provare, percorsi diversi, sempre divertendosi.

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