Magazine Cinema

la pelle che abito

Creato il 27 settembre 2011 da Albertogallo

LA PIEL QUE HABITO (Spagna 2011)

locandina la pelle che abito

Ci eravamo lasciati, quasi due anni fa, con il deludente Gli abbracci spezzati, uno degli Almodóvar, a mio parere, più deboli di sempre. Ecco, dimenticatelo: La pelle che abito è tutta un’altra cosa, uno dei film se non migliori sicuramente più intensi e spiazzanti del regista spagnolo.

La trama è quasi impossibile da svelare se non ficcandoci dentro massicce dosi di spoiler, cosa che stavolta, per rispetto alla vostra cinefilia, preferisco non fare: vi basti sapere, se ancora non l’avete visto, mancanza cui vi consiglio di rimediare al più presto, che La pelle che abito è un thriller molto pesante e molto drammatico avviluppato – come la pelle sui tessuti di un corpo, o come il fil di ferro che uno dei personaggi ripiega meticolosamente per rinforzare (o soffocare?) i rami di una pianta – intorno al sempreverde tema della vendetta: a metà strada tra Old boy, Un borghese piccolo piccolo, La donna che visse due volte e Time di Kim Ki-duk (ma sto già svelando troppo), e con qualche accenno all’E.A. Poe più morboso, il film vede tornare in veste di protagonista un classico attore almodóvariano dei bei tempi andati, Antonio Banderas (la prima volta dai tempi di Légami!, 1989), qui nei panni finalmente invecchiati – toh, il tempo passa anche davanti alla macchina da presa! – di un chirurgo plastico dalla mente geniale e malata.

Mai film di Almodóvar è stato tanto inquietante e hitchcockiano: di abusi sessuali, di gente legata e imbavagliata, di morti violente, di situazioni estreme, insomma, nei film del regista se n’è sempre viste tante. Ma per la prima volta è completamente assente quell’ironia, quell’intelligente leggerezza femminile, quel distacco un po’ divertito che ha caratterizzato gran parte della passata produzione almodóvariana. Certo, chi segue il regista sa bene che la sua filmografia può essere grossolanamente divisa in due tronconi principali (da una parte le pellicole leggere o relativamente leggere a forte componenente femminile – cfr. Donne sull’orlo di una crisi di nervi; dall’altra quelle più cupe con protagonisti spesso maschili – cfr. La mala educación) e che La pelle che abito dovrebbe essere inserito nel secondo. Eppure qui, dal punto di vista narrativo, sembra che Almodóvar abbia voluto sfondare molti muri in precedenza soltanto scalfiti: il muro dell’angoscia, il muro della malattia mentale, quello dell’ambiguità dei generi sessuali, dell’identità… E anche quello della verosimiglianza: mai come in questo caso l’Autore ha preteso dal suo pubblico dosi tanto forti di sospensione dell’incredulità (in un certo senso questo film estremizza alcune tematiche già affrontate nella Mala educación – ma di nuovo sto dicendo troppo).

E l’estetica? Be’, lo stile di Almodóvar rimane sempre quello, riconoscibile, esibito, colorato e spesso geniale: qui, come in qualsiasi altra pellicola del regista, la composizione dell’immagine possiede qualcosa di memorabile, di autoriale, di unico, di inconfondibile. Particolarmente toccanti sono, tanto per fare un esempio, le scene in cui il medico osserva la sua “cavia” attraverso un megaschermo televisivo – elegante e non banale discorso sul voyeurismo e, dunque, sul cinema stesso.

Forse La pelle che abito (titolo per altro azzeccatissimo) non piacerà a tutti: troppo estremo, troppo crudo e crudele, troppo poco realistico, troppo disinteressato a distinguere i personaggi buoni da quelli cattivi. Eppure, nonostante un finale non del tutto all’altezza, questo è grande cinema.

Alberto Gallo



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazines