La pelle che abito
Titolo: La piel que abito
Regia: Pedro Almodóvar
Sceneggiatura: Pedro e Agustin Almòdovar
Genere: drammatico
Durata: 120 minuti
Interpreti: Antonio Banderas: Robert Ledgard; Elena Anaya: Vera; Marisa Paredes: Marilla; Jan Cornet: Vicente
Nelle sale italiane dal: 23 settembre 2011
Trama: Vicente violenta ad una festa la figlia di Robert, che in seguito si suiciderà. Robert, quindi, rapisce Vicente e lo sottopone ad un trattamento sperimentale di chirurgia plastica, che lo trasformerà a tutti gli effetti in una donna (Vera). Adattamento cinematografico del romanzo “Tarantola” (“Mygale”), di Thierry Jonquet.
di Jacopo Giunchi
In questa recensione parlerò di un film uscito un paio di anni fa e passato quasi in sordina, nonostante la firma di un famoso regista. La pelle che abito è un film complesso, forte, a tratti inquietante, che cela un contorto intento poetico sotto l’epidermide di una rappresentazione oggettiva e distaccata. Si può considerare, infatti, l’opera “matura” di un regista che ci ha abituati a pellicole fin troppo intime e personali, dove psicanalismo e indagine sociale si mescolano per dare vita alla sua singolare visione.
Come un serpente troppo cresciuto, Almodovar si scrolla di dosso la sua vecchia pelle, e finalmente affronta il tema del travestitismo in forma idealizzata, avvalendosi di un mutamento di sesso così estremo da richiedere addirittura una piccola licenza fantascientifica. Vicente/Vera viene completamente rifoderato con un involucro femminile, che seppellisce ogni traccia di mascolinità, arrivando al punto di ribaltare la propria percezione di sé. Il parossismo mostra, in questo modo, la superficialità dell’identità sessuale, costruita unicamente sulla nostra immagine esteriore.
Dal punto di vista narrativo, La pelle che abito segue una struttura non lineare che rivela gli antefatti tramite un lungo flashback centrale. Almodovar sceglie di presentare Vera nella sua perfetta femminilità, e svelare solo in un secondo momento l’inquietante verità che cela. Un procedimento a ritroso nel tempo, che rispecchia l’inversione della dialettica interiorità\esteriorità; il travestito, infatti, è chi trasforma il proprio corpo per adeguarlo alla personalità, mentre Vicente diventa Vera per adeguare la propria personalità al corpo.
Antonio Banderas è un moderno Frankenstein, intriso di lucida follia che confonde le anime con i corpi e gli affetti con le ossessioni; la sua vendetta, metodica e fredda, è solo un travestimento del suo amore disperato, un tentativo malato di trasformare l’espiazione del suo carnefice in un mezzo per recuperare la sua perdita. Il processo di trasmutazione sessuale, prima tecnico e poi psicologico, è esposto con precisione chirurgica, mettendo a nudo le semplificazioni arbitrarie su cui si fondano le differenze di gender; così Almodovar, grande ritrattista di figure femminili, riesce nel miracolo di rappresentare la Donna tramite un personaggio che biologicamente non lo è, risultando più efficace che nei suoi consueti “ritratti”.
- Jacopo Giunchi