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Strano il destino del lettore.Sì, perché dovete sapere che i libri da leggere gli scelgo a istinto. Cioè, io acquisto dei libri perché la trama mi ispira, ok, ma a casa, quando finisco di leggere qualcosa, studio la mia libreria e non rileggo la trama. Mi getto su un titolo trasportato da qualche segreto richiamo. Quindi può essere che io non ricordi esattamente di cosa parli, quel volume prescelto.Quindi ho trovato estremamente interessante che, dopo aver letto Swamplandia!, un romanzo in cui si parlava di una famiglia che aveva perso la madre, io mi sia quasi casualmente gettato su di un altro libro che parla di una famiglia senza madre. L'ho trovato interessante perché la mancanza della figura materna, intesa proprio come tristezza per la sua perdita, nelle due famiglie viene espressa in maniera molto diversa. E' stata una bella esperienza, leggerla una dopo l'altra.Anzi. Ora che ci penso, la perdita viene espressa sì, in maniera diversa, ma i desideri della famiglia sono gli stessi. Le conclusioni a cui si arriva sono le stesse, e tutto questo è davvero stupendo, se pensiamo che un romanzo è ambientato sulle dolomiti, mentre l'altro nelle paludi americane. Gli uomini rimangono sempre uomini.Ne La pelle dell'orso, però, abbiamo anche un rapporto padre-figlio che c'è ma non si vede, e che quindi deve essere ricostruito. L'occasione giusta per farlo arriva quando i due si mettono sulle tracce de El Diàol, un orso gigantesco che da qualche tempo terrorizza gli abitanti dei luoghi del romanzo. Luoghi tutti reali.Il bello di questo romanzo è che con un tocco molto delicato, una scrittura semplice e diretta e, perché no, anche un'impaginazione molto scorrevole, racconta cose molto dure e molto intense. La pelle dell'orso è un po', infatti, una poesia sulla crudeltà della vita. E non è poi un caso se di mezzo c'è anche la vicenda del Vajont (il romanzo è ambientato in quei luoghi e in quegli anni).In questa piacevole poesia, poi, ci sono alcuni momenti che lasciano il segno. Un segno pesante.Nel culmine della caccia all'orso, per esempio, c'è una scena straziante e brutale, che però ho trovato di un toccate unico. Un'esplosione d'amore in mezzo al caos e alle fatalità del mondo. Un paio di pagine bellissime e strazianti.Ammetto poi che gran parte della fascinazione che questo libro ha creato su di me, è dovuta al poter scorgerci dentro i miei luoghi, le mie realtà.Certo, il libro parla di paesi delle Dolomiti, mentre io sono nato sulle Piccole Dolomiti. Vero, si parla di realtà di un po' di tempo fa, realtà che non ho visto coi miei occhi, però... però è impossibile non vederci dentro un po' tutti i paesini montani delle mie zone. E' difficile non pensare, quando si leggono certe descrizioni, o di certe mentalità chiuse, ai miei territori.Per questi motivi, io ho 'sentito' questo racconto. E l'ho 'visto'.Di orsi non ce ne sono più dalle mie parti, a parte il famoso Dino di qualche anno fa. Però è ancora impressa nel mio cuore la paura che può fare un semplice bosco, anche di giorno. Nel bosco la natura è selvaggia, prepotente e misteriosa. E da piccolo, per quanto possa essere affascinante e stupendo, un bosco da anche un grande senso di inquietudine. Quando senti un rumore ma non vedi chi o cosa l'ha provocato. Quando non vedi un sentiero. Quando scorgi un intreccio di vegetazione fitto e scuro. Il bosco è un po' la natura ignota.E ho trovato bellissima l'idea di raccontare una storia di mancanza e ricongiunzione proprio in mezzo ai boschi. La natura diventa un modo per raccontare l'umano.Per concludere, credo che La pelle dell'orso sia una storia semplice che racchiude in poche pagine grandi cose. Grandi cose che hanno a che fare col cuore.
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