“La percezione da parte delle testate giornalistiche delle piccole e medie, ma anche delle case editrici medio grandi” oppure “La percezione di un editore da parte delle testate giornalistiche”, si sarebbe potuto intitolare così questo breve pezzetto, che prende spunto da una recensione che ho letto sabato scorso, il libro in questione è “Volevamo essere giganti” di Angela Scarparo, edito da Gaffi. Non ho ancora letto il romanzo, quindi non posso esprimere giudizi, tuttavia leggendo un inciso in parentesi, nella recensione di Piersandro Pallavicini, mi sono messo a rimuginare, ecco l’inciso: “Angela Scarparo (esordio in narrativa per Mondadori nel ‘92, seguito da libri con editori più appartati)”. Lo stesso Piersandro Pallavicini ha pubblicato con Theoria, Pequod, Verdenero; vi consiglio di leggere una sua bella intervista concessa qualche tempo fa a Angelo Ricci (http://nottedinebbiainpianura.blogspot.it/2011/03/intervista-piersandro-pallavicini.html) dalla quale si evincono interessanti posizioni circa la natura del mestiere di giornalista culturale, in relazione a ciò che accade di nuovo nel panorama editoriale.
Gli editori “più appartati” in questione sono, dopo Mondadori: Transeuropa, Pequod, Manni. La domanda è, quali sono i requisiti che una piccola, media, mediopiccola, mediogrande, piccolomedia, grandemedia, casa editrice deve avere per uscire dall’”appartamento”? La distribuzione? Il catalogo? La riconoscibilità degli autori? La fattura del prodotto? La proposizione dello stesso? È evidente che con queste coordinate non sono riuscito a darmi una risposta, anche perché il panorama è davvero molto, molto ampio.
Proprio ieri ho letto, su suggerimento di Marco Montanaro, un interessante articolo di Romano Luperini (http://www.leparoleelecose.it/?p=6562) che mi ha dato interessanti spunti proprio attorno all’idea di lavoro intellettuale; in fondo la questione è ancora aperta, dalla Generazione TQ ad esempio e dall’aumento di consapevolezza da parte degli impiegati e dei non-impiegati del lavoro intellettuale nel nostro paese. Il periodo storico, molto particolare, ha messo in evidenza il grande quantitativo, enorme, di persone che ruotano attorno a un libro, a una redazione, a un giornale, al fatto culturale.
Tengo a precisare che questo post non intende avviare discussioni o considerazioni su nulla che abbia a che vedere con gli autori, né della recensione, né del libro; la sfumatura di grigio che mi piacerebbe approfondire è di tipo antropologico-letterario, e inerisce alla “percezione”, al pour-parler che crea il concetto, a quell’area semantica in cui il giudizio di valore, pur essendo categorico, non si rifa a una categoria ben precisa ma a una somma di giudizi, appunto, percettivi; il panorama editoriale italiano è così vasto e complesso che anche gli aggettivi “vasto” e “complesso” sono minimi. Gli inserti culturali ci aiutano a definire una bussola.