C’è modo e modo di perdere la testa. C’è quello ovvio di chi dà in escandescenze o è preso da una crisi di panico, c’è quello meno ovvio di chi nasconde il fuori di testa dietro affabili ragionamenti. Quando questi affabili e pazzi ragionamenti si moltiplicano nei media è d’uopo che qualcuno faccia scattare la sirena d’allarme col lampeggiante rosso. Nei giorni scorsi a favore di un governo tecnico che raddrizzi le sorti italiche si sono pronunciati economisti come Nouriel Roubini, intervistato da Repubblica, Luigi Guiso e Luigi Zingales in un articolo apparso sul Sole24Ore, e visto che ormai siamo alla frutta, persino il presidente del liberalissimo Istituto Bruno Leoni, Nicola Rossi. Il succo dell’articolo del Sole24Ore è questo: questa classe politica è impotente e lo sa; i politici guardano ai loro interessi e quindi sono legati a tattichette di cortissimo respiro, mentre gli statisti dovrebbero guardare agli interessi del paese nel lungo termine, ed essere disposti a sfidare l’impopolarità dando il via libera a necessarie e radicali riforme strutturali; consapevole di tutto ciò, e come suo ultimo atto di responsabilità – quasi una forma di riscatto fuori tempo massimo – la nostra classe politica dovrebbe garantire in anticipo una fiducia di durata biennale ad un nuovo governo tecnico, ossia dare carta bianca ad una specie di dittatura a tempo determinato guidata da personaggi autorevoli e disinteressati.
Basta poco per capire che questa è una favoletta ingenua. O reticente. 1) Non si vede perché una classe politica che trovi la forza e il senso di responsabilità di sacrificarsi in faccia alla necessità, ammutolendosi di fronte ad un comitato di salute pubblica incaricato di fare la cosa giusta, non faccia invece di necessità virtù, sobbarcandosi essa stessa il compito di fare la cosa giusta, sacrificandosi lo stesso ma portandosi a casa almeno la gloria postuma. 2) L’impotenza, gli interessi miopi e meschini, la generale assenza di visione a lungo termine, sono fenomeni connaturati alla vita parlamentare democratica di un paese “libero”. E’ una delle facce quotidiane e prosaiche del progresso. Così è, e così sempre sarà. Scriveva Tocqueville a proposito di quella inglese successiva alla rivoluzione del 1688:
Spesso riteniamo caratteristici di noi e della nostra epoca le storture, le debolezze e i vizi che invece sono inerenti alla forma stessa delle nostre istituzioni e alla loro particolare azione sulla parte corrotta del cuore umano. Il ruolo che giocano le passioni egoistiche, la venalità, l’assenza di principi, la versatilità delle opinioni, la demoralizzazione e la corruzione quasi costante degli uomini politici in questa storia costituzionale d’Inghilterra è immenso. La potenza degli intrighi individuali, la piccolezza e particolare meschinità delle passioni creano infinite possibilità, in un’epoca di calma in cui gli eventi sono incapaci di produrre grandi sforzi e di mettere in luce grandi personalità. Se si penetra in questi dettagli, è difficile poi credere che, nel mezzo di queste miserie e di tutti questi vizi in qualche modo incoraggiati dal meccanismo delle libere istituzioni, la nazione possa intraprendere e realizzare le cose prodigiose che ha fatto nel mondo nel corso di questo secolo.
3) Quello che non si ha la forza di dire, o di confessare a se stessi, è che in realtà l’abdicazione temporanea della classe politica non sarebbe frutto di resipiscenza, ma della semplice paura di fronte all’aggressività della magistratura e di una pubblica opinione aizzata dalla grancassa dei media. Di fatto commissariata, al governo tecnico o “istituzionale” si aprirebbe la via per mettere in opera tutti i suoi virtuosi propositi. Hayek, ne “La Via della schiavitù”, a proposito dei compiti vasti e minuziosi – chimerici – che la filosofia statalista affida ai parlamenti delle democrazie novecentesche, scriveva che
L’incapacità delle assemblee democratiche nel realizzare quanto sembra un esplicito mandato del popolo produrrà un’inevitabile insoddisfazione nei confronti delle istituzioni democratiche. I parlamenti verranno considerati come «lavatoi» dove si fanno chiacchiere inutili, istituzioni incompetenti o incapaci di realizzare i compiti per i quali sono stati eletti. E così prende corpo la convinzione per cui, se dev’essere attuata una pianificazione efficace, la direzione dev’essere «tolta ai politici» e posta nelle mani di esperti funzionari stabili o autonomi organismi indipendenti.
Nell’articolo in questione non si fa cenno ad “esperti funzionari stabili” ma si parla pudicamente, mettendo le mani avanti, di “persone che senza autoproporsi siano disposte a dedicarsi temporaneamente alla vita politica e che non intendano restarvi.” Insomma, si spera nei Cincinnato, senza che peraltro si sia in guerra e col nemico alle porte. Beata ingenuità. Le soluzioni emergenziali che manomettono il normale funzionamento delle istituzioni tendono ad avere sempre riflessi duraturi. Culturali più ancora che politici in senso stretto. 4) Perché, per essere veramente efficiente, questo nobile consesso sarà costretto accentrare sempre più poteri. Infatti, ammesso, e non concesso, che i salvatori della patria (di conserva col presidente della repubblica Napolitano: questa la voglio proprio vedere!) trovino l’armonia necessaria per partorire epocali, impopolari e dolorose riforme, le dovrebbero poi far accettare non solo ad un parlamento spaurito, esautorato e controfirmaiolo, ma anche alla schiera innumerevole delle “parti sociali” (questa pure la voglio vedere!) e a quella piazza che li ha portati più o meno indirettamente al potere. E allora con tutta probabilità alla necessità di un “governo tecnico” verrebbe ad aggiungersi la necessità, nobilmente spiegata, di provvedimenti emergenziali per far fronte a problemi di ordine pubblico. 5) I risultati del risanamento economico avrebbero bisogno di ben più di due anni per farsi sentire tangibilmente nelle tasche di un popolo impaziente, impaziente perché non ha mai sentite “sue” queste riforme, nemmeno attraverso il filtro del parlamento. Un parlamento nuovo di zecca rischierebbe di mandare tutto a monte nel bel mezzo del cammino. E allora “nell’interesse del paese” ci sarebbe bisogno di una “proroga” di questa sorta di stato di eccezione. 6) La fiducia nella democrazia parlamentare crollerebbe ancora di più.
Inutile andare avanti a descrivere questo compunto avvitamento liberticida che tanto sembra piacere ai giornali dell’establishment nostrano. Le possibilità di un governo tecnico-istituzionale in carne ed ossa che faccia “riforme strutturali” sono pari a zero. Quelli che ora lo invocano al centro e alla sinistra dell’arco parlamentare sarebbero i primi a soffocare il raggio d’azione della nuova creatura. Il governo tecnico-istituzionale ideale è invece solo un sogno. Il brutto sogno di una notte di mezza estate. Una sconfitta etica prima ancora che intellettuale, come sempre succede quando i tempi si fanno duri.
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