MAN, Nuoro - fino al 10 aprile 2016. Lo spazio da abitare di Michel Blazy dove convivono assemblaggi di materiali organici e oggetti d’uso comune che evolvono a seconda del contesto.
Il Terzo paesaggio, territorio d'elezione della diversità, dunque dell'evoluzione, favorisce l'invenzione, si oppone all'accumulazione. Attinge al concetto del Terzo Paesaggio di Gilles Clément, Michel Blazy (Monaco, 1966), che sovverte il modello dell’hortus conclusus a favore di “spazi indecisi”, ossia territori privi di ordine e pertanto rappresentativi di un’evoluzione naturale. Quella stessa evoluzione che scaturisce dalla reazione data dall’integrazione tra materiali organici e oggetti d’uso comune, spesso tecnologici, che col tempo, grazie alla strategia della sopravvivenza, sfuggono al controllo dello stesso artista.
Non a caso nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma attraverso quel processo di metamorfosi del ciclo vitale, che in questo frangente ribalta anche il concetto di museo, che da statico diventa spazio fisico vivente. Museo come teatro, come spazio vitale che accoglie pezzi di natura domestica che sottoposti a mutamento biologico si trasformano in organismi autonomi. Dall’acquario che funge da vetrina, contenente un micro-ecosistema fatto di pullover impilati, scarpe da ginnastica e fotocamere digitali sui quali l’artista ha innestato erbe, muffe e muschi che crescono e mutano sotto l’influenza di luce, umidità e temperatura. Al quadro ottenuto dalla sovrapposizione di creme da dessert su una tavola - originariamente utilizzata come esca per topi nel suo atelier - e che conserva il passaggio dei roditori. Fino ad arrivare alla pianta di avocado inclinata da oltre un decennio che da allora cresce nel vaso orizzontale, e alla sezione di un “minerale” ottenuto dall’assemblaggio di colla per carta da parati, colorante alimentare e acqua, per finire con un wall painting, site specific di agar agar, acqua e colorante blu che, stesi a caldo sulla parete, si ritirano creando fratture fino a decomporsi.
Quello che Michel Blazy mette in scena è un complesso sistema, dal carattere effimero, in perenne trasformazione, confacente alla riflessione tra natura e cultura. A tratti straniante per la contrapposizione tra macchina e natura ma che allo stesso tempo restituisce una visione poetica all’intera operazione. Rifacendosi alle composizioni kusamono, all’arte povera e a Beuys, l’artista assembla materiali organici e non per dare vita a sculture vegetali che evocano, tra le altre, le nature morte delle vanitas e i mirabilia delle wunderkammer. Per una riflessione sull’ambiguità dell’opera ma soprattutto sulla caducità dell’esistenza e dove la dimensione temporale e il potenziale di crescita e deterioramento la fanno da padrone dal momento che è la materia ad agire. Questi condizionamenti sono il quadro entro il quale io faccio in modo che le cose succedano.