La rielezione della persona di Giorgio Napolitano a capo del governo italiano, evidenzia come ognuno dei componenti dei partiti si sia concentrato su una figura caratteriale alla quale affidarsi piuttosto che a un generico garante delle istituzioni. La tendenza alla personificazione della politica non è solo italiana ma concerne un lungo processo di rielaborazione dello spazio pubblico e del ruolo della comunicazione in esso.
Si è delineata una materia accademica che studia la comunicazione politica (political communication), che si definisce in questi termini: ”Si considera politica la comunicazione se è relativa allo scambio di messaggi tra attori politici. Ad esempio, la maggior parte di quello che fanno i politici è comunicazione politica” (Winfried Schulz, 2008).
Le implicazioni del trasferimento dell’attività politica negli articoli e nelle trasmissioni televisive è una traslazione che merita una certa considerazione, sia per il rapporto del politico con la comunicazione, sia per il rapporto che il consumatore del messaggio politico instaura con la politica stessa.
Mi sembra opportuno riportare dagli studi di comunicazione politica, come le scelte elettorali dei cittadini comuni siano poi condizionate dal modo in cui appare un candidato piuttosto che un altro. E di come poi la comunicazione mediatica si nutra di un sistema di “gossip” di parti e controparti che mirano a distruggere l’avversario nell’arena politica.
Questo stato di cose sposta l’attenzione del cittadino sulla persona piuttosto che sul significato degli eventi a quali partecipa. Ne risulta un impoverimento dei contenuti e delle prospettive generali delle quali la politica dovrebbe essere espressione.
Il ruolo del giornalista e della necessità di vendere il prodotto “giornale” o “trasmissione” nei vari supporti , non sono esterne al processo di selezione dei contenti da riportare, tipo gossip e tratti negativi “scandalosi” e sono generalmente difesi dalle necessità dell’informazione “libera”.
Riporto di seguito la pregnante analisi di Manuel Castells della Annenberg School of Communication, in un articolo pubblicato dall’International Journal of Communication, e ripubblicato da Reset nella traduzione di Enrico del Sero, dove si esplora l’intreccio tra comunicazione politica, politica dei media, politica dello scandalo con un risultato di politica demagogica.
“Il principale canale di comunicazione tra il sistema politico e i cittadini è costituito dall’apparato dei mass media, in primis la televisione. Fino a non troppo tempo fa (ma in larga misura tuttora), i media rappresentavano un sistema articolato entro cui, in genere, la carta stampata produceva informazioni originali, la televisione le diffondeva a un’audience di massa, e la radio personalizzava l’interazione.
Nelle nostre società, la politica è in primo luogo una media politics, una politica dei media. I meccanismi del sistema politico si sono adattati ai media, al fine di ottenere più sostegno, o almeno la minore ostilità possibile, da parte dei cittadini, assurti a consumatori nel mercato politico. Ciò non significa, naturalmente, che il potere sia in mano ai media. Gli attori politici, difatti, esercitano un notevole influsso su questi ultimi. Di più: oggi, con un flusso di informazioni attivo 24 ore su 24, i politici sono ancora più importanti per i media, avendo questi ultimi inevitabile e continua necessità di argomenti di cui parlare.
La pratica di quella che Bennett (1990) definisce “indexing”, per cui direttori e giornalisti limitano il range di posizioni e temi politici da riferire a quelli espressi in seno all’establishment politico mainstream, influisce pesantemente sul processo di reporting dettato dagli eventi.
I media non sono i depositari del potere ma rappresentano, in termini generali, l’ambito ove quest’ultimo viene deliberato. Nelle nostre società, la politica è legata alla politica dei media. Il cui linguaggio ha leggi proprie. Si fonda, difatti, soprattutto sulle immagini. Non necessariamente visive, ma pur sempre immagini. Il messaggio più potente in assoluto corrisponde a un messaggio semplice abbinato a un’immagine. E il messaggio più semplice, in politica, è il volto di una persona.
La politica dei media porta alla personificazione della politica attorno a leader che possono essere opportunamente venduti nel mercato politico. Ciò che non andrebbe banalizzato, adducendo come esempi il colore della cravatta o l’espressione del viso. Si tratta della simbolica personificazione di un messaggio di fiducia rispetto a una persona e il suo carattere, e in termini di proiezione dell’immagine di quest’ultimo.
L’importanza della politica della personalità è legata all’evoluzione della politica elettorale, in genere determinata da elettori indipendenti o indecisi che, in tutti i Paesi, alterano l’equilibrio tra destra o centrodestra e centrosinistra. Così, sebbene vi siano differenze sostanziali tra partiti e candidati nella maggior parte dei Paesi, programmi e promesse sono confezionati su misura pensando al centro e agli indecisi, spesso dalle stesse società pubblicitarie e consulenti di marketing politico che lavorano alle linee dei partiti ad anni alterni.
Il cittadino comune non studia le piattaforme dei candidati. Piuttosto, fa affidamento su quanto riferiscono i media riguardo alle posizioni di questi ultimi e, in ultima analisi, la sua scelta finale avviene in funzione della fiducia riposta in un determinato candidato. Ragione per cui il carattere, così come dipinto dai media, assurge a elemento essenziale. Difatti, i valori – ciò cui la
maggioranza dei cittadini più tiene – sono incarnate nelle persone dei candidati.
Sì, i politici danno un volto alla politica.
Se credibilità, fiducia e carattere diventano fattori critici nel determinare un esito politico, la demolizione della prima e l’annientamento dell’ultimo divengono le armi politiche in assoluto più potenti. E dato che tutti i partiti vi fanno ricorso, ognuno di essi deve, in tale battaglia, accumulare quante più munizioni. Ciò che si traduce nella proliferazione di un mercato di intermediari alla continua ricerca di informazioni pregiudizievoli per l’avversario e dediti alla manipolazione di informazioni, o direttamente alla loro contraffazione all’uopo.
Il più delle volte, quindi, non è difficile trovare atti illeciti e materiale pregiudizievole per quasi tutti i partiti e candidati. Dato che raramente le vite private sono scevre di ombre, e considerato che molti (soprattutto se uomini) tendono alla millanteria e all’indiscrezione, peccati personali e corruzione politica danno vita a un potente cocktail di intrighi e gossip, che poi divengono pane quotidiano per la politica dei media. Così, quest’ultima, assieme alla politica della personalità cede il passo alla politica dello scandalo.
La politica dello scandalo ha un duplice effetto sul sistema politico. Primo, può pregiudicare il processo elettorale e decisionale minando la credibilità di quanti si ritrovano al centro di uno scandalo. Si tratta, però, di un effetto a impatto variabile. Talvolta, la politica “sporca” raggiunge un livello tale di saturazione nell’opinione pubblica da innescare ora una reazione generale, ora totale indifferenza. Talaltra, il pubblico diviene talmente cinico da relegare tutti i politici a un livello di apprezzamento infimo e, di conseguenza, da scegliere, tra tutti gli immorali, quello che trovano più affine o vicino ai propri interessi. Di più: in alcuni casi, i cittadini considerano lo smascheramento di un comportamento disdicevole un fatto divertente, senza tuttavia trarne alcuna lezione politica. Tale sembra essere la spiegazione dell’alto livello di popolarità raggiunto da Clinton al tramonto della sua presidenza, e motivato dal suo curriculum politico, a dispetto delle bugie pronunciate – e riprese dalla tv – davanti a tutto il Paese.
La politica dello scandalo ha anche un secondo effetto, il quale può avere conseguenze durature sulla prassi
democratica. Dato che tutti, in un modo o nell’altro, sbagliano, e la diffamazione è oramai generalizzata, i cittadini
finiscono col perdere ogni fiducia nei vari partiti, leader e promesse elettorali, mettendo tutti i politici sullo stesso
piano. La crisi di legittimità politica riscontrata in gran parte del mondo non può in alcun modo essere attribuita
esclusivamente alla politica dello scandalo o dei media. Resta più che verosimile, però, che gli scandali siano quantomeno un fattore precipitante, in grado – sul breve periodo – di innescare un cambiamento politico e – più a lungo termine – di radicare un profondo scetticismo verso la politica ufficiale.
Si direbbe che la politica dei media abbia tutte le potenzialità e caratteristiche atte a suscitare sfiducia nel processo democratico. Non che si voglia addossarne la colpa ai media, giacché il più delle volte, in realtà, sono gli attori politici e i rispettivi consulenti la fonte di indiscrezioni e informazioni compromettenti. Come già detto, i media rappresentano lo spazio di costruzione del potere, non la fonte della sua conservazione.
Si assiste, in ogni caso, a una profonda crisi di legittimità politica praticamente in tutti i Paesi, con la parziale
eccezione della Scandinavia. Stando ai sondaggi commissionati nel 2000 e 2002 dal Segretariato delle Nazioni Unite e
dal World Economic Forum, i due terzi dei cittadini di tutto il mondo ritengono che il proprio Paese non sia governato
dalla volontà popolare.
Ciò che in parte spiega come mai, in tutti i Paesi, la maggioranza della popolazione tenda a votare contro e non per qualcuno, scegliendo il male minore, o optando per un voto di protesta a favore di partiti terzi o candidati alternativi, spesso pungolata dalle pittoresche apparizioni mediatiche di questi ultimi che, per la gioia di registi e giornalisti, aprono le porte alla politica demagogica.
Le campagne elettorali si sono trasformate, per dirla con Philip Howard (2006), in “campagne ipermediatiche”, alterando di conseguenza dinamiche, forme e contenuti della politica dei media”.
In conclusione, se questo intricato processo di comunicazione pubblica e politica, di uomini e gossip, di poteri e contropoteri, di giornalisti ed eroi, caratterizza ormai l’epoca contemporanea, averne piena consapevolezza ci aiuta ad affrontare le prossime campagne elettorali con un maggior spirito critico (non polemico) ed una rinnovata attenzione ai contenuti. Con l’auspicio di un esito costruttivo per la democrazia italiana.
©Melissa Pignatelli
Fonte: Manuel Castells, “Comunicazione, Potere e Contropotere”, 2007 in © International Journal of Communication
© Reset (per la traduzione in italiano di Enrico Del Sero)