La pesca miracolosa di Piero Taroni. I Coregoni del Lago di Como

Da Pietroinvernizzi

Immagine Coregone o Lavarello (da Google immagini)

Correva l’anno 1989, eppure a leggere il racconto sembra una storia di cento anni fa… sì perché oggi a noi non sembra possibile che la pesca professionale sia permessa in acque interne. Certo il  ”Coregone” o più comunemente il “Lavarello” è un alloctono immesso nel 1885 per la prima volta  proprio per la pesca professionale, quindi a pescarlo con le reti “non si fa peccato”…ma con innumerevoli specie ittiche a rischio di estinzione o quanto meno ridotte a popolazioni esigue, con tutte le minacce che gravano sugli ecosistemi acquatici, è possibile riempirsi la barca di lavarelli per profitto? Ha senso farlo se, per mantenere decenti i profitti della pesca professionale, si deve sviluppare un’incubatoio dedicato a questa specie (dal 2001 a Fiumelatte – Lecco)? Eppure, leggendo il racconto, non possiamo non simpatizzare con il pescatore, che non conosciamo ma che immaginiamo essere una bravissima persona … si evince chiaramente che è un uomo vero ed un vero pescatore e che la sua storia è sincera e non porta colpe ma ardimento.

Piero Taroni in pesca

Le colpe sono sempre in primo luogo del legislatore miope e dei preposti al controllo ciechi. Forse anche la pesca professionale nei laghi sarebbe possibile e potrebbe dare lavoro a tante famiglie, se si osservassero severe norme di tutela dello stock ittico, se si potesse limitare a specie “sacrificabili” come il Coregone. Forse il Coregone non lo si sarebbe mai dovuto immettere, come i bass, i perca, gli aspi, i siluri, il gardon e molte altre specie… forse oggi è da tutelare come specie ben integrata all’ecosistema e risorsa preziosa per l’ecosistema e per un prelievo professionale misurato, con finalità gastronomiche.

Al di là di tante considerazioni, la storia resta bella, di quelle d’altri tempi, quei tempi lontani in cui si poteva riempire la barca di pesci… ma forse non si sarebbe dovuto. Sembra una pagina di Albertarelli quando racconta dei temoli e delle marmorate in Ticino, dove adesso si va a prendere solo il sole e qualche siluro… ma era il 1989, neanche 30 anni fa; era il lago di Como di quando ero piccolo io, non quello di Renzo e Lucia. La storia è bella da leggere e raccontare, speriamo di avere sempre pescatori veri e nuove storie da raccontare.

Liberamente tratto dal libro “Gente Comune”

di Giuseppe Guin. 

(Ed. La Provincia, Como)

Una lanterna sul lago e la Pesca miracolosa. Piero Taroni, il pescatore sul lago.
Ci fu davvero la pesca miracolosa! E la prova di quel prodigio lui la tiene ancora appesa in casa. E’ la foto scattata dal parroco di Carate, don Sergio Mazzina che, uscito di chiesa dopo la Messa non credette ai propri occhi.
Era stata una notte strana quella del 10 giugno del 1989, notte di nubi cupe che arrivavano da nord, venti improvvisi che scendevano da Argegno e, di tanto in tanto, anche di qualche violento acquazzone.
Lui, Piero Taroni, una vita da pescatore, subito dopo il tramonto aveva calato in acqua la solita rete per lavarelli e aveva posizionato la testa vicino alla villa Pliniana e la coda in direzione di Molina.
Passavano le ore, ma il tempo non ne voleva sapere di rimettersi al bello e lui, per evitare che le reti gli finissero chissà dove, trascinate dalle onde, montò sulla lancia e tornò a recuperarle addirittura con un’ora di anticipo, quando il campanile aveva da poco suonato i tre rintocchi del mattino.

Appena cominciò a tirare in barca la prima bracciata, rimase sbalordito. Gli era già successo di pescare in abbondanza ma quella volta, dentro le maglie, c’era impigliata una quantità di pesci che proprio non aveva mai vista.
Cominciò a liberare i lavarelli e a buttarli sul fondo della barca, ma più sollevava la rete e più il numero di pesci impigliati aumentava.
Impiegò ore a recuperare le reti e, quando finalmente tirò fuori anche la boa di testa, il campanile stava suonando le 8.
Mai successa una cosa del genere! C’era la lancia così stracolma che il Taroni faticò persino a tornare a riva e la barca, sprofondata tra le onde, attirò talmente l’attenzione, che quando arrivò in porto c’era la gente che lo aspettava.
C’erano i vecchi del paese, sbalorditi, ma c’erano anche le donne appena uscite dalla Messa e il prevosto, al vedere tutto quel movimento, si presentò anche lui al porticciolo incuriosito.
Appena vide il Taroni con tutta quella marea di pesci, si mise le mani giunte davanti alla bocca e borbottò: «Ma questa è davvero una pesca miracolosa!».
I vecchi stimarono che su quella barca poteva esserci più di un quintale e mezzo di pesci e il Faustìn, senza contarli, sentenziò con certezza: «Saranno più di mille!».
La notizia che il Piero aveva pesce fresco per tutti, fece il giro del paese e, di lì a poco, cominciarono ad arrivare barche anche da Pognana, Careno, Torno e persino da Como. Tutti a comprare i lavarelli della pesca miracolosa e ci volle l’intera giornata, per riuscire a vendere tutto quel ben di Dio.
Gli ultimi esemplari se li portò via ul Tabàc, ma una bella sporta se la riempì anche la Pinuccia e, soprattutto la Maria, che di bocche da sfamare ne aveva parecchie.
Quattro lavarelli, e pure belli grossi, il Piero li mise anche nelle mani della perpetua <<Tenga! Va bene cosi!>>, le disse, e quel regalo fu per ringraziare il prevosto che aveva immortalato il prodigio della pesca miracolosa.

Un’altra notte indimenticabile, fu quella del temporale del luglio 1970.
Quella volta, il Piero, per non rischiare che le reti, spinte dalla corrente finissero contro gli scogli, le aveva calate proprio in mezzo al lago.

Non bastò. Alle 3 di notte, dopo un tuono che fece tremare le montagne, puntò il binocolo verso il largo, ma la luce delle reti era scomparsa. Montò in barca e cominciò a cercarle. Solitamente, a quei tempi, sulla testa della rete c’era una lanterna ad olio, ma sull’altra estremità veniva montata una campana. Era una accortezza per riuscire a sentire almeno quel rintocco, nel caso in cui il vento avesse spento la fiamma.
Quella notte, per via dei tuoni e del vento, né si intravedeva la lucerna, né si sentiva la campana.
Il Piero cominciò a girare la costa in lungo e in largo, ma niente.
Superò la punta di Torno, arrivò persino a Blevio ma, per trovare le sue reti, dovette arrivare fino alla diga foranea di Como.
Riuscì a portarle a casa, tutte strappate, quando ormai erano le 9 del mattino e, quella volta, la Marisa era sul molo in lacrime, terrorizzata all’idea che in quella brutta notte di stratempo, il lago le avesse portato via il suo Piero. Una notte da dimenticare!
Il resto della vita da pescatore, però, è invece pieno di ricordi felici.
Uno è quello degli stormi di gabbiani che rincorrevano la barca quando lui usciva con gli scarti dei pesci. Quella scena era sempre uno spettacolo e i bambini rimanevano sulla riva estasiati: tutti in fila a guardare la nuvola bianca, che scendeva in acqua a sfamarsi, direttamente dalle mani del Piero.
Un altro risale ai primi tempi della licenza di pesca. Il sole era già tramontato da un pezzo e lui aveva deciso di fare un regalo ai suoi due figli e anche ad altri tre ragazzi del paese: li avrebbe portati tutti al largo di notte.
Quella volta ci fu solo il tempo per accendere la lanterna e poi improvvisamente, il lago cominciò a ribollire di cavedani: nuotavano intorno alla barca e rincorrevano la luce. I cinque ragazzi erano estasiati, ma lo stupore maggiore, quello che li lasciò addirittura a bocca aperta, fu il vedere che alcuni cavedani saltavano tanto che finivano persino dentro la barca. Uno spettacolo del genere non l’avevano proprio mai visto e, quella notte, non ci fu nemmeno
bisogno di mettere la lenza in acqua.
È tutta una una vita intrisa di ricordi quella del Piero e ce n’è uno che risale addirittura a quando andò a pescare per la prima volta, insieme al Giuseppe Fioroni, che avrà avuto a malapena 10 anni. La canna era un legno di bambù e le esche le avevano tirate fuori loro stessi dal terreno dietro casa. Gliel’aveva insegnato suo padre come si faceva. Bisognava infilzare nell’erba un’asta di ferro e poi cominciare a scuoterla. Le ambròtole, spaventate, salivano in superficie e diventava un gioco da ragazzi riempire i secchielli.
A dire il vero, quella non fu una gran pesca, ma fu l’inizio di una passione.
Oggi, anche se è l’Antonio Aquilini che va a pescare con la sua vecchia barca, lui qualche rete antica la conserva ancora in casa.
E conserva soprattutto il ricordo della pesca miracolosa.
Quella immortalata nella fotografia del parroco di Carate… e che lui, orgogliosamente, tiene ancora appesa in casa.


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