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La peste a Roma

Creato il 19 ottobre 2011 da Sogniebisogni

È notte, sono stato chiamato da qualcuno perché è scoppiata un’epidemia di peste ed io devo dare una mano. Entro in un edificio esternamente simile al Pantheon, ma che all’interno è un cinema enorme, con decine di file di posti. In questi posti sono seduti i malati, perché non c’è spazio per metterli distesi. L’atmosfera è tranquilla, non c’è quasi luce, le persone sono sedute, in silenzio, ma non si lamentano. (…) Mi viene incontro un frate, grasso dall’aspetto gioviale e mi ringrazia di essere venuto ad aiutarlo. Gli offro una banconota da 20 euro perché so che per essere ricoverati lì bisogna pagare. Lui ride e mi dice: «Vuoi anche pagare il biglietto?» Io rispondo che avremo bisogno di soldi per badare a tutta questa gente. (…) Chiedo al frate se tra i ricoverati c’è anche il paziente zero. Mi dice di sì e me lo indica. Penso che questo sia una cosa buona, per stroncare l’epidemia, tutti i malati devono essere ricoverati nel cinema. Chiedo anche: «E se arrivasse altra gente?» Il frate mi fa notare che ci sono ancora posti vuoti, anche in alto, in una specie di galleria. Penso che ho già preso la peste una volta e quindi forse sono diventato immune, ma non sono sicuro. Mi chiedo se resisterò. (…) Io e il frate parliamo con un appestato che fa il giornalista. Gli chiediamo se sta bene, ma ci dice che nell’ospedale c’è troppa nebbia. Penso che forse è un sintomo e non ci vede bene. (Mi sveglio).


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