“Nella nostra giungla urbana sterilizzata i nostri cervelli si sono iper-sviluppati, mentre i nostri corpi hanno perso il contatto con le sensazioni fisiche. Non siamo più coscienti di cosa significhi essere vivi. Le città non rappresentano il mondo. Non sono altro che barche senza timone che fluttuano nel mare della natura… Escluderci dal contesto della morte ci porta a esserne in contatto in modo precario, senza un appropriato senso di rispetto e di timore reverenziale.” (Shinya Tsukamoto )
Daniel Sabater y Salabert – La Cocaína (1932)
Si fa presto a dire ” vita” , ma ciò che c’è sotto questa parola lo conosce solo la paura, o per meglio circoscrivere, la paura e l’idea della morte. Vita e morte, due stati incompatibili in qualche modo sempre conviventi che disegnano la strada della nostra avventura emozionale, tra desiderio di invincibilità e terrore per l’inesorabile ombra in cui ogni essere si vedrà prima o poi proiettato. Così la morte, con la sua paradossale natura di unica certezza rompe l’ortodossia della vita , lasciando agire in modo anche eccentrico il caso e la biologia e decentrando ogni ordine e senso verso linee di fuga che convergeranno all’unisono verso l’orizzonte ultimo degli eventi.
Questo pensiero ricorrente imprescindibile al pari di una angosciante e latente malattia sembra perciò aver costituito una sorta di incantesimo artistico di tutti i tempi , sì che la morte ed i suoi simboli diventano i protagonisti di una produzione artistico- allegorica che incarna mistica e ludicità, erotismo e disperazione, masochismo ed esoterismo , sacro e profano, terreno ed ultraterreno. La morte, che nei tratti onirici e ombrosi si rivela come una attesa archetipica non solo universalmente condivisa, ma anche spesso universalmente simbolizzata, l’impossibilità di trattenere per sempre lo spazio che si vive, l’ineluttabilità di ogni storia, la caducità dell’esistenza sugellano perciò il viaggio dell’artista nel tempo attraverso un’ iconizzazione che fornisce non solo una interpretazione , ma anche una sorta di reazione e sfida alla caducità dell’esistenza.
Attraverso il talento visivo e metaforico di artisti straordinari infatti, vita e morte vengono poste in un rapporto di simbiosi tanto atavico quanto scisso, nella incapacità dell’uomo di guardare fino in fondo a quella che è la sua reale esistenza, segnata da una civilizzazione che lo ha reso asettico, alienato dalla natura , inetto nel cogliere perciò fino in fondo la sua transitorietà. Sotteso ai dipinti di seguito riportati, trionfa il concetto di perdita di memoria su cosa siamo, di quanto sia non semplice esternare l’ombra che ognuno di noi contiene, le nostre piccole morti cioè , sempre fluttuanti come magma interiore pronto a scardinare tutto in pochissimi istanti.
Allusioni alla precarietà della vita dell’uomo, sentieri alchemici, torbida sensualità, irreversibilità del tempo , credenze, miti, moniti religiosi, visioni ipnotiche : attraverso l’analisi dei dipinti del nostro secolo e non solo, si ritrova un filo conduttore sotteso alla rappresentazione del destino di ogni uomo, schiavo di un tempo fagocizzante che non concede alcuna continuità. L’arte perciò è scrigno in questo senso di un filo di Arianna che ci rammenta una strada inesorabile , un viaggio la cui ingiunzione emotiva ci viene perennemente ricordata nella dualità metaforica di morte e rinascita. Infatti nell’arte storicamente , contrapposta all’iconografia della vita e della bellezza, mai viene accantonato lo spettacolo agghiacciante del vuoto che ci attende, del mutamento, dell’ombra, cose alle quali si cerca ancora di dare un senso, esorcizzandolo e moltiplicandolo nei significati, nell’immagine, nel simbolo.
Daniel Sabater (Valencia, 1888 – Barcellona, 1951) né ” La Cocaina ” ha usato nella sua pittura un linguaggio crudo per rappresentare l’ipocrisia dilagante nel mondo . Pittore di fama mondiale dimenticato in patria e pressochè sconosciuto alle nuove generazioni, ha amato fondere nella sua pittura satira e poesia malinconica. Se la vita è una corsa verso la libertà, le proprie passioni e desideri, ecco che una forza arcana e incontrollabile ne provoca l’arresto . Cocaina rappresenta la fine di un gioco passionale e rischioso, al limite dove si affolla la fragilità umana.
G. Cagnacci – Maddalena Svenuta
La Maddalena di Cagnacci (1601-1663), così denudata ed esposta, se da un lato non dispensa l’osservatore dal rimando allo scandalo e al peccato, dall’altro richiama il fascino e l’erotismo di ogni donna dato dalla bellezza, dalla pienezza e dalla sua sessualità. Il drappo consunto che copre la parte inferiore del corpo sembra animato da una forza centrifuga attraverso cui le parti interne vengono sospinte verso l’esterno creando quel misto sospeso tra evidente e nascosto in cui si intreccia un gioco mistico ed al contempo erotico senza che sia distrutto il carattere proprio dell’immagine, ovvero il segreto sotteso alla sua rappresentazione. Immobile nello stato di uno svenimento, la Maddalena diventa lo spettacolo allucinato della seduzione nello spazio ideologico in cui consuma la propria alienazione.
Natura morta con libri, un manoscritto e un teschio” (1663) di Edwaert Collier
Edwaert Collier ( Breda, c. 1640 – Londra, 1708 ) rappresenta lo scorrere della vita, la fluidità dell’esistenza terrena. La cornice complessa di elementi iconografici, dimostra l’affezione per il mistero del creato, e nel contempo un distacco dalle cose del mondo. L’immagine stessa di fatto sembra sancire la netta cesura fra ciò che accade dentro e ciò che resta fuori casa. La composizione sembra essere l’allegoria di un travaglio intimo, in cui ogni oggetto affolla il dipinto in forma di costante malinconia e attesa silenziosa.
Luigi Miradori – Amorino addormentato ( after 1610 )
Teneramente disteso, l’amorino addormentato di Luigi Miradori, detto il Genovesino, ha un teschio per cuscino e una clessidra alle spalle come simbolo emblematico dello scorrere del tempo. Dorme e sogna la propria morte e al contempo la propria resurrezione. Metafora di Dio coniugata all’amore, l’amorino non perde la sua forza e capacità di leggere il mondo e dischiudendo con la sua nudità la polifonia della tenerezza e guarda alla morte come dissolvimento di ogni limite terreno.
Carl Dobsky – Skull with Earbuds (2009)
Dobsky con ” Skull with Earbuds” sembra voler dire che in vita costruzione e distruzione avvengono insieme, esaltazione e desolazione camminano affiancate, realizzazione e perdita di sé hanno intimi confini. Nella realtà delle astrazioni, delle statistiche, dei numeri, della tecnica , il binomio vita-morte diventa sempre più totalizzante e in questo spazio di anonimato sociale e radicale solitudine l’unico gesto plausibile è l’esorcizzazione e l’accettazione dell’alternanza di allegria e tristezza.
There Are Little People Inside Me – Takashi Murakami
Takashi Murakami ( 1962, Tokyo), artista parafulmine tra le diverse valenze culturali dell’ antico-moderno oriente e occidente, ha dichiarato che artista è colui che comprende i confini tra i mondi o colui che riconosce come propria la missione di compiere un continuo sforzo per conoscerli. Impiega la classica tecnica pittorica per rappresentare in un mix di super-carica pop, icone che traggono ispirazione da questioni etiche e culturali. Parallelamente ai temi utopici e distopici, Murakami ricorda e rivitalizza narrazioni di trascendenza e di illuminazione, attingendo anche alla tradizione occidentale romantica, non senza però scordarsi della propria biografia. Nel dipinto ” There Are Little People Inside Me ” , con vivace e audace spirito di individualism rappresenta la morte come parte di se stesso e della sua vita.
Maurizio Bottoni – Teschio
Maurizio Bottoni , artista milanese, dipingei suoi soggetti illuminandoli in una distaccata e surreale immobilità. Il suo teschio, autorevole quasi come un oggetto di culto pagano, sembra essere un elogio alla ripugnanza ma allo stesso tempo alla dignità biologica di ogni uomo e alla sua testimonianza lasciata in vita. L’arte come lotta, assedio e conquista dell’eternità, come linguaggio che non abbia limiti temporali nel sollecitare, nell’indurre, nel desiderare, nel pretendere, come strumento che non deruberà mai un uomo della sua interiorità, poiché vita e morte coesistono nell’orizzonte del possibile.
Assolutizzata e legata più che mai alla vita, la morte dunque assume una forza drammatica dalle mille sfaccettature metaforiche. E’ essa stessa simbolo di rivelazione, di mistica moderna e primitiva, ombrosa reviviscenza della vita con il suo corredo di imprevisti, rischi eccitanti, gioie languide o violente e se l’energia che si ricava da alcune opere d’arte dovesse apparire tetra o negativa, questo potrebbe essere non solo a causa di ciò che rappresenta. L’ombra che sovrasta ogni esistenza è spesso vista nell’arte alla stregua di una continua sollecitazione a guardare la vita come ad un fenomeno prepotente ed irresistibile come ad un processo idoneo per mutare in comprensione le nostre incomprensioni, come ad una condizione esistenziale che muta e si rinnova tra ombre e luce, in un sereno cioè , che come Montale scrisse in una sua lirica, è la più diffusa delle nubi.