La più aspra delle stagioni

Da Tatianamartino @pointlessmuse

La corteccia della Vecchia Quercia vicino casa mia

"Una volta, prima che la stirpe delle fate
cacciasse Ninfe e Satiri dai boschi rigogliosi,
prima che il re Oberon, col suo diadema splendente,  e il suo scettro e il mantello fermato
da una gemma di rugiada, Driadi
e Fauni spaventasse in fuga
dai giunchi verdi, dalle fitte felci, dai prati
sparsi di primule [...]"
                                   Lamia, 1820, J.Keats  

Quando ho bisogno di capire vado sotto la Vecchia Quercia. Proprio a ridosso della strada alla quale do le spalle. La maggior parte dei passanti (pochi in verità), non si accorgono neanche che sono dietro il tronco, tanto mi protegge dallo sguardo.
Da bambina, mi separava da lei un muretto che ora non c'è più. Mi arrampicavo su quello per poter arrivare a ficcarmici sotto. Oggi le spunta attaccato al "collo" un cartello rosso con scritto "vendesi". Temo e tremo al pensiero che l'abbatteranno, in fondo, per i miei compaesani è solo legna da ardere. Non importa quanto sia vecchia, quanto sia bella, quanto sia saggia. Il tempo degli alberi e delle amadriadi è finito. Un Tempo che, invece, a me è rimasto dentro, dal quale non so prescindere e che costituisce Immaginario e Ispirazione. Cose senza le quali non posso vivere.

La Vecchia Quercia

Soffro l'imbarbarimento della popolazione di qui giù, così presa dall'essere contemporanea e moderna da pensare di poter distruggere tutto quello che le ricorda da dove viene. Ha fatto di tutto per pulirsi le scarpe dalla terra dei campi, per togliere l'odore degli animali da pascolo sugli abiti al punto da arrivare a vergognarsi delle proprie radici. Io dico con orgoglio che mio nonno aveva un frantoio, faceva l'olio, si prendeva cura degli ulivi, aveva le mani sporche di terra e appena la quinta elementare. E mia nonna l'aiutava. Fu mia nonna a insegnargli a scrivere. Eppure mio nonno, con la sua presenza statuaria e muta, mi ha dato di più -in cultura, bellezza e saggezza- di tutti quei palloni gonfiati di baroni universitari con cui ho avuto a che fare (e che depreco e di cui ho disgusto). E fu mia nonna, che amava leggere le vite dei santi, a insegnarmi nomi e usi delle piante, lei che le sapeva "manìà" e "signà" (maneggiare e segnare). Lei a insegnarmi quello che dovevo dire, quello che dovevo fare per chiamare vento e pioggia. Lei a insegnarmi compassione e pazienza. Lei a additarmi uno per uno gli animali del folto con il loro nome "vero". Da loro ho imparato a trama-ndare. A tessere trama e ordito delle narrazioni che si devono passare agli altri.
La maggior parte di quelli che passeggiano per questa via, la strada della Vecchia Quercia, che porta a "I Fossi", si guarda intorno e vede erbacce. Io vedo tesori vegetali, minerali e animali ovunque. Posso chiamarli per Nome e ognuno di loro si "adopera" per me e attraverso di me. La maggior parte non conosce i nomi di quelle "erbacce", degli animali, o degli alberi: non sa riconoscere più una cornacchia da un piccione, tutti gli alberi sono semplicemente alberi, tutte le pietre sono solo sassi, tutti i serpenti sono vipere e tutti gli insetti fanno ribrezzo. Non posso che guardare alla loro vacuità, pochezza e stupidità se non con -per niente celati- compassione e disprezzo.
La Stirpe delle Fate che scacciò la Stirpe delle Driadi e dei Fauni, è stata scacciata dalla Stirpe degli Uomini che nulla hanno dell'antica poiesis e hanno perduto il dono. Pochi ormai lo conservano "anche in novembre, la più aspra delle stagioni" come dice R. Graves ne La Dea Bianca. E questa è la più aspra delle stagioni. Spero solo un giorno di poter dire con le parole di W. B. Yeats
I giorni degli affanni son finiti; lascia il vivace orgoglio del tuo corpo sotto l'erba e il trifoglio [...] conduci tutta quella bellezza dolorosa al profumato abbraccio della quercia.



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