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La poesia di Fernando Lena

Creato il 13 gennaio 2016 da Wsf

fernando1Fernando Lena è nato a Comiso in Sicilia nel 1969. Diplomato all’istituto d’arte, vive e lavora nella stessa città. Ha pubblicato diversi libri di poesia, il primo risale al 1995 dal titolo “E’ vola via“, Libro italiano edizioni. Dopo alcune plaquet, a distanza di dieci anni, ha pubblicato prima una silloge ispirata da otto tele del pittore Piero Guccione (omaggio per i suoi settant’anni) edito dalla Archilibri di Comiso, poi con la medesima casa editrice, un libro più corposo: “Nel Rigore di una Memoria Infetta“, dal quale è stato tratto uno spettacolo itinerante dal titolo “La smorfia Crudele di un Bambino“. L’ultimo suo libro fa parte della collana del prestigioso cenacolo letterario di Pisa “I Quaderni Dell’Ussero“, un poemetto dal titolo “La Quiete dei Respiri Fondati” Edizioni Puntoacapo Editrice, recensito in blog come Compitu Re Vivi di Sebastiano Aglieco, Mosche in bottiglia di Giuseppe Grattacaso, Blanc de ta Nuque di Stefano Guglielmin ed altri. Suoi testi inediti sono risultati finalisti o hanno vinto premi come il Mario Luzi, premio Astrolabio, premio Torre Dell’Orologio, premio Tivoli Europa Giovani ecc.
Diverse sue poesie sono presenti in blog come Lirici Greci, Larosainpiù, Alle Volte di Leucade. Ha partecipato a diversi reading ed è stato ospite di festival come quello della “Follia” a Torino, “Congiunzioni” a Spinea (Ve), o al premio “La Balena Di Ghiaccio” a Capo D’Orlando. Attualmente ha in preparazione due libri: uno di arte, in collaborazione con un artista grafico e una raccolta poetica, in collaborazione con un altro poeta.

Fernando, come ti sei avvicinato alla poesia?


Il mio approccio con la poesia è avvenuto nel periodo in cui ho iniziato a frequentare l’istituto d’Arte di Comiso, ma più che poesie erano brevi prose intimiste ispirate dal mio amore per la musica che in quegli anni offrivano diversi generi che hanno influito sul mio modo di scrivere. Di pari passo alla scrittura è iniziato il mio viaggio con gli eccessi, culminato, qualche anno dopo, con l’esperienza dell’eroina. Quindi, anche quello che scrivevo era influenzato dal mio sguardo lisergico poco lucido. Quei testi, poi,  ho tradotto in canzoni per band di amici, ma non avevo ancora focalizzato la scrittura come vera passione che limitavo alla creazione di gioielli, essendo io un orafo. Dopo alcune vicissitudini e una esperienza come orafo a Valenza Po’, ho azzerato tutto per rimanere in vita, poiché l’eroina stava seppellendomi.

Come sei uscito dalla droga?

Devo la mia vita a Don Pierino Gelmini. Sono stato ospite della sua comunità per 30 mesi. In quel periodo ho iniziato a capire che la sola parola amica che avevo avuto in tutti quegli anni era il verso. Lì ho maturato inconsciamente quello che poi sarebbe divenuto un libro “La quiete dei respiri fondati“. Appena uscito dalla comunità ho avuto l’opportunità di instaurare un rapporto intellettuale con Gesualdo Bufalino e la cerchia di ragazzi che ruotavano attorno alla fondazione da lui creata. Bufalino è stata la persona che mi ha più spronato a leggere, ma dopo esperienze esistenziali e sentimentali sbagliate mi sono ritrovato nuovamente nel tunnel della dipendenza e, quindi, ho mollato gli interessi culturali, cercando nuovamente di rimanere a galla. Ancora una volta mi è venuta in aiuto la poesia. Da questa esperienza è scaturito il libro edito nel 2004, grazie all’interesse dell’editore Salvatore Schembari, unico vero giovane che sia stato in contatto con G. Bufalino.

Quale libro senti più rappresentare la tua maturità poetica?

Nel rigore di una memoria infetta” più che rappresentare, ha confermato la mia vocazione poetica anche grazie all’interesse della Fermenti Editrice, nella veste di Elio Pecora, e dopo essere arrivato secondo al “Premio Tivoli Europa Giovani” sponsorizzato dalla rivista Poesia (Crocetti). Lì avrei potuto finalmente allacciare rapporti con poeti diventati ora importanti e curatori dei migliori blog in circolazione, ma trascinato dall’ombra del mio passato sono stato inghiottito dalla noia e dai soliti eccessi. Solo dopo la morte di mio padre, esattamente 10 anni, facendo seguito ad una promessa, ho cambiato totalmente il mio modo di vivere, anche grazie anche ad un sostegno psicologico che negli anni ha influenzato anche la mia scrittura.

Quali sono stati i tuoi maestri?

I miei primi “maestri” sono stati i cantautori americani, ma anche i poeti francesi, i cosiddetti maudit, da loro ho imparato la musicalità. In seguito, la prosa poetica di G.Bufalino, P. Paolo Pasolini e il suo “Poeta delle ceneri”, la scuola poetica ” Linea Lombarda” e qui il mio grande amore per G. Raboni che leggo continuamente. La mia poesia anche se è scritta in un epicentro rurale, isolano, ha sempre risentito dell’ influenza metropolitana, forse perché ho sempre pensato che il mio futuro dovesse avere il suo epilogo nel nord Italia, ma purtroppo certe vicissitudini mi hanno costretto a sopravvivere in Sicilia, certo terra bellissima, ma per me che ho conosciuto parte delle sue spigolature violente e incivili starci è un continuo ripiegamento sul passato.

Da cosa scaturisce il poemetto “La quiete dei respiri fondati”?

Due anni fa, dopo essermi classificato finalista al “Premio astrolabio di Pisa”, ho conosciuto la prof.ssa Serofilli che mi ha proposto di far parte della collana dei quaderni dell’Ussero e, allora, in appena due mesi ho composto il poemetto “La quiete dei respiri fondati“, pubblicato dalla casa editrice Puntoacapo.
Gli inediti sotto riportati, vogliono costituire la parte terminale del poemetto. Tracciano il percorso poetico di un addio o diciamo l’altro sguardo di chi sta per lasciare il caos inevitabile di un manicomio. Sempre mantenendo la tensione tra il prosastico e l’epigrammatico l’azione è segnata da un’ alternanza di voci, dove la lucidità si confronta ininterrottamente con la schizofrenia.

QUASI UNO SPROLOGO
manicomio di Aversa,ore 20.00

Questa volta il mondo me lo lascio dietro,
dietro a mura altissime
Lascio il tempo coltivato a mais,
Le zolle ferree,il fischio degli irrigatori. A quest’ora le benzodiazepine
Tengono in ostaggio i pazienti
E niente trattiene il buio come i viali
Niente come le arterie
Riesce a farsi calpestare dai fantasmi
Ormai troppi per un massacro
Durato un grido.
Con te la follia è un sole in sovrappeso,
Una giornata che si spezza
Per la fragilità dei ricordi.
Con te i padiglioni
Sono dialoghi serrati dall’elettroschoc
E non dovrebbero chiamarla violenza
La scarica che riporta all’origine
L’odore molecolare delle bestie.
Noi apparteniamo
Alla luce sfumata del rito
Solo quando il grafico innalza
Le percentuali della dipendenza:
Fottuti masochisti
Ci siamo infettati per non curarci
Con un raggio di sole.
(Vuole nascondersi nella valigia Italo
Anche solo per vagare
Qualche ora nella civiltà dei semafori
Carlo si china per l’ultimo mozzicone
Dopo fumerà le arterie rinsecchite
Ma la malinconia in certe ore è fumo
Che tocca le nuvole
Per ricadere febbricizzante nelle celle..)

I

Adesso l’autunno
Riporta le vene sui viali
E puoi riprenderti i pomeriggi con l’amore,
La regola mortale del preservativo
Prima di scivolare nell’imperativo del dolore.
Forse piove oppure
Sono smottamenti del tuo godere
Le precipitazioni..però
Siamo corpi decisi da un fiato lucido..

II

I fuochi d’artificio
Sopra l’agonia d’Aversa stasera
Li sfioro con un respiro di certezze,
Non tremano le ossa anche se
L’aria scheletrica dell’autunno
Scarnifica la felicità.
Prima che la memoria diventi
L’unica foto di questi mesi
Fisso il prato..la follia calcistica
Dei pomeriggi domenicali,
In punta di piedi percorro il sonno della pietà,
Bagno la libertà
Nell’acqua oscura dei piatti da lavare,
Mi cerco nell’ambizione
Di questa disperazione via via
Concessa a un piccolo sogno:
Dio dovrebbe non esserci da queste parti
Ma le foglie hanno scritto nell’aria
L’undicesimo suo comandamento
“Onora la schizofrenia”.

III

Ernesto con i suoi vent’anni
Passati a fissare fughe inarrestabili
Qui è il guardiano eppure
Non pensa come tale
E respira da prigioniero
Dopo aver capito
Che nessuno spazio è infinito
Se gli occhi inforcano regole
Ormai vivere per incenerirsi
Lascia già in bocca l’amaro del presagio,
La pena redentiva del germoglio

IV

Elisa mi regala uno dei suoi disegni
Per un bambino che non ho
O per il bambino che dovrei essere
Se avessi avuto la forza
Di non abbandonare l’innocenza.
Credo che lei sia un po’ una veggente
Se ha visto nella mia tristezza
Un adolescente immobilizzato
Nello sguardo di un farmacista
Mentre l’urlo di una siringa
Annunciava un castigo durato una eternità:
Perché il grammo
Nell’attimo in cui si offre al caos
Azzera il tempo,i movimenti,
Quei colori sfaccettati di un’alba e di un tramonto.

V

Le notti in infermeria sono tutte uguali.
Dopo qualche urlo bloccato con una cintura
I corridoi stagnano come paludi,
La puzza di stantio stordisce perfino le zanzare,
Non c’è una presenza di libertà
A parte il peso chimico del sonno,
Lentamente così le menti
Diventano arcipelaghi taciti
E matteo incomincia a navigarci attorno,
Con un telecomando fissa mondi
Di una felicità estemporanea disarmante.
A volte poi si addormenta
Per esplodere nella schizofrenia improvvisa dell’alba.
Quando tutto ricomincia a morire
Un solo avvertimento di luce non esclude
La potenza di un futuro fatiscente.

VI

La notte scrive vite disordinate.
Tra gl’incubi delle pareti
Ogni creatura cerca la parola per il disgusto,
C’è chi l’attende dal viaggio
Melmoso di uno scarafaggio
O chi fissando la didascalia di un ragno:
Lei però rimane immobile,
Soffocata dalle catene
Non va oltre il digiuno
Di un paesaggio picchiato.

VII

Vivo..per quel poco che ti resta
Prendi la luna con il bicchiere,
Sorseggi i palazzi adombrati
Da un accendino e un filo di rovina,
Non sei tu quello che in erezione pretendeva
Un figlio in affitto?
Troppo marchiato nelle vene eri allora per comprendere
La grazia di un sogno indifeso.
Un albero e la voglia di sdradicarmi dalla tua vita
Non ricordi nient’altro
Mentre la luce d’autunno tra il verde
Era come adesso
Proporzionata alla speranza di guardare
Un metro d’asfalto..Vivi
Per quel poco che immaginiamo
Siamo figli di questa follia e allora:
Ridi come fanno loro nei giorni di sole
Quando tutto regge
Nella quiete dei respiri fondati.


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