Tutto parte dal tempo. E dallo spazio. Dalla percezione mutata di una città in cui 32 secondi ne hanno cambiato il volto. L’orologio disegna un presente sospeso, come se macerie e puntellamenti ci fossero sempre stati. Da quella notte del sei aprile è cambiato tutto, ma quanto è difficile trovare le parole per raccontare il passato e il presente all’Aquila. Ecco che, a cinque anni e mezzo dalla tragedia, i versi di Anna Maria Giancarli si infilano tra gli angoli delle periferie disorientate e tra i puntellamenti del centro. “E cambia passo il tempo”, un titolo (presentato in forma di enjambement) che raccoglie 24 poesie su una città sospesa, in cui un nuovo orologio «si impadronisce del suo corpo mutato». Le poesie hanno ritmo, anzi ballano, tremano, trasmettono l’ansia del movimento. Circoscrivono immagini di una città che fu, dai colori delle finestre alle forme dei quartieri storici, ora dissolte nella nebbia. A tratti, il racconto si fa preciso e dettagliato. Suoni, profumi, odori, immagini vivide, come quella del mercato storico di piazza Duomo, lasciano il posto a sinestesie che meglio descrivono l’estraniamento di questa comunità. Le foto di Luca Bucci, a partire da quella di copertina, accompagnano il tessuto narrativo. Il libro verrà presentato martedì 9 dicembre alle 17,30 nella sala consiliare del Comune, con il sindaco Massimo Cialente e l’assessore Betty Leone a fare gli onori di casa. L’introduzione critica sarà affidata a Gabriele Lucci. Sabatino Servilio curerà l’intervento musicale, Lea Contestabile quello artistico. Ugo Capezzali leggerà alcuni versi.
La Giancarli affonda le radici nella formazione classica, ma spesso si lascia andare in sperimentazioni di vario tipo, anche con l’ausilio dell’elettronica. Partecipa e organizza numerosi reading, letture pubbliche e festival nazionali ed europei. Cura per la casa editrice Tracce di Pescara la collana “Segni del suono”. Era da tempo che non dedicava dei componimenti poetici al capoluogo abruzzese. «Afferrare il concetto del tempo è difficile», spiega la poetessa aquilana che al suo attivo ha dieci libri di poesia e due antologie tradotte in romeno e in spagnolo. «Il passato non esiste, il futuro neanche e tutto ciò che riusciamo ad afferrare è il presente, entità comunque effimera e mutevole. La relatività incide molto sulla nostra percezione. Pensiamo a quei 32 secondi un lasso di tempo minimo che però quella notte sembravano non finire mai».Professoressa Giancarli, sin dall’immediato post-sisma molti autori aquilani hanno pubblicato libri in prosa e in poesia. Perché aspettare cinque anni e mezzo?
«Non ho mai cessato di scrivere, ma in quei mesi così intensi, subito dopo la scossa, per me era tanto difficile legare le parole fra loro e comporre versi. Per me era necessario recuperare la giusta distanza dal dolore e raffreddare la mia parte emozionale nel parlare di perdite incalcolabili. Ho sacrificato le mie rivelazioni personali per dar spazio a una poetica di significati in cui tutti i miei concittadini possono ritrovarsi».
Che realtà metropolitana evoca nei suoi versi?
«L’Aquila appare ingabbiata, buia, silenziosa e disabitata nelle aree più storiche che ne hanno fatto nei secoli una città d’arte. I miei versi parlano della voglia di veder rinascere le sue bellezze artistiche e architettoniche».
In che modo la poesia può dare un contributo?
«Non si può ricostruire materialmente senza prima ricostruire le coscienze e riscoprire quello spirito autentico che tiene unita una comunità. Mi auguro che le mie parole costituiscano del “materiale caldo” su cui far leva per riaprire gli occhi».
Poesie come “fiction” e “Sei una storia molto italiana” affiancano immagini poetiche e spaccati di attualità. Quali sono le sue denunce personali?
«Tante cose non hanno funzionato, sin dalle risate di quella notte maledetta. E poi dopo, ancora, le scelte imposte dal governo e l’inerzia di un sistema politico che non ha saputo offrire alternative. Oggi L’Aquila rappresenta un’icona del degrado culturale, civile e umano di tanta parte del nostro Paese. Scandali, rapine e indifferenza diventano elementi prevaricanti a discapito della memoria e della ricchezza identitaria. Per questo è importante far leva su una poesia che “ricostruisca la voglia di ricostruire”».ù
di Fabio Iuliano – fonte il Centro