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Anche a sinistra si è diffuso l’approccio calcistico. Di recente Renzi ha rivendicato la battaglia all’interno del Pd, un’autentica guerra culturale volta “a prendere in contropiede il gruppo dirigente”, “per non fare melina nella partita con Berlusconi”, immaginando una sinistra capace “di giocare all’attacco” e di “fare squadra” per il bene del paese. Per grazia di Dio non siamo arrivati a sostenere che Letta sia il nuovo Batistuta, ma l’esempio del sindaco toscano non è un caso isolato: prima di lui D’Alema, Rutelli e Bertinotti si erano lasciati andare a metafore sportive degne di Italo Cucci. Qualcuno ha certamente ironizzato sulle somiglianze più marcate fra l’inquilino di Arcore ed il primo cittadino di Firenze. Si è osservato come l’Italia stia vivendo una fase di transizione, dal meneghino “ghe pensi mì” al toscano “ghe Renzi mì”, ma sono banalità che distolgono l’attenzione dalla comprensione del fenomeno. In realtà dovrebbe inquietare la triviale semplificazione del quadro politico che viene posta in essere in siffatta maniera.Abbandonarsi alla nostalgia non serve, lo sappiamo, ma la rivisitazione storica può servire alla maturazione di un sereno giudizio critico. Ora, l’eurosocialismo di Craxi, l’eurocomunismo di Berlinguer, le convergenze parallele di Moro, l’asse laico-liberale, la costituente di Destra di Almirante e prima ancora il dissidio fra Saragat e Nenni, erano tutte elaborazioni politiche che affondavano le proprie radici in un quadro culturale sensibilmente in movimento. Il processo era chiaro: dalle idee sorgevano i programmi, poi le strategie d’azione, solo successivamente venivano gettate le linee direttrici sul piano comunicativo. Negli anni ’70 – ’80 Mondoperaio ebbe una funzione straordinaria nel dibattito culturale a sinistra, laddove la società manifestava evidenti segnali di discontinuità rispetto ad un certo modo di intendere la cosa pubblica. Oggi tutto è cambiato: la cultura somiglia ad uno stagno, la cui cifra fondante è il marketing, e su questo elemento siamo chiamati collettivamente ad una riflessione. Abbiamo giganteschi apparati finanziati dal pubblico, contenitori privi di senso che ripudiano giustamente l’approccio ideologico, salvo poi finire nel paradosso di trovarsi senza la spina dorsale di qualsivoglia identità. Partiti chiusi in se stessi, che hanno rinnegato l’approccio ortodosso dei congressi nella convinzione che il mero leaderismo potesse costituire la risposta ai problemi della società. Così il Parlamento è divenuto ostaggio di opposte fazioni che sbraitano, gridano e urlano slogan su commissione. Dalla democrazia diretta alla direzione carismatica. Bell’affare.