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La politica del casting nel salone da barbiere

Creato il 08 gennaio 2013 da Albertocapece

saloni2“Monti sono me”. Mezz’ora di intervista di Bersani hanno dato questo risultato di sostanza, senza che venisse fuori, nemmeno per sbaglio la più piccola idea sul Paese e nemmeno un giochino a trova la differenza. Certo la cosa si presentava difficile visto che a fare le domande era la bilderberghina Lili Gruber, “giornalista prestata alla politica” come si definisce e sulla quale pesa il fitto mistero su chi mai l’abbia prestata al giornalismo, ma non c’è dubbio che si rimane sconcertati dalla totale  auto referenzialità ai problemi di schieramento e manovra nella quale annega la campagna elettorale del centro-sinistra.

E se Berlusconi si presenta con i medesimi argomenti del 2008, appena appena liftati, il Pd ripropone pari pari la strategia di  Veltroni dove al posto delle idee per rappresentare il proprio elettorato vengono recuperati candidati  che dovrebbero costruire un’ecumenica allegoria della società: la politica si trasforma nel casting come per un talk show e un reality con tanto di grande fratello dietro l’angolo.  Così alla giornalista anticamorra, viene associato il papà di Ichino, quel Carlo dell’Aringa che formulò la precarizzazione del lavoro, usata poi per la legge Biagi, al giornalista economico del Corrierone, eretico da salotto, viene aggiunta l’innocua femminista Marzano che non hai mai fatto male a una mosca, nemmeno di sesso maschile e  per fare da contrappeso al bolscevico Vendola, quello che se la rivoluzione d’ottobre avesse lu mere sarebbe una piccola Regione Puglia, viene candidato l’ennesimo bocconiano ed ex direttore generale di confindustria, Giampaolo Galli.

Ovvio che tutto questo serve a fare terra bruciata attorno a Monti e alla sua improvvida quanto proterva salita in politica che ne rivela i limiti di supponente burocrate ed esecutore. Chiaro che si vuole rassicurare Bruxelles così come il passo indietro di Berlusconi serve a rassicurare il Ppe. Però una volta usciti da questa divertente partitina a scacchi cosa sappiamo di più sul Paese e su cosa si vuole fare per non farlo finire come la Grecia e il Portogallo? Cosa sappiamo in più sul nostro futuro se non quell’agitarsi del feticcio europeo come a una processione di flagellanti? Esiste e in che modo, con quali mezzi, una differenza tra le agende? Esiste un’idea di società o è diventata solo quella gaia scienza da bar sport che viene così familiarmente narrata nella Repubblica degli Zucconi of America?

No, non esiste perché se ci fosse, qualche indizio salterebbe fuori anche non volendo.E’ una battaglia di potere nella quale si misura una casta ormai indistinta. E non perché destra e sinistra non abbiano più significato, anzi mai come in questo momento hanno un senso, ma perché è la loro rappresentanza ad essere venuta meno, ad essersi stemperata, confusa, confricata dentro uno stesso alambicco. Così dopo mezz’ora abbiamo appreso che Monti è stretto in un angolo, a meno che non intervengano i cannoni allo spread della Bce, ma l’agenda rimane con le sue funeste scadenze e i giorni della civiltà sociale cancellati.

Bersani, lasciate le bambole, sta pettinando Monti ancor più di quanto non faccia lo stesso professore con quel vezzo da liceale degli anni ’50.  Che uno si chiede se lo facesse anche “dopo”, al posto della sigaretta. Ma non ha molto senso saperlo, né lasciarci prendere dagli strumenti di questo salone da barbiere, quando è a noi, alla nostra Costituzione, al modello sociale da essa disegnato e mai realizzato che stanno facendo tutti insieme barba e capelli.


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