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La politica del disfare

Creato il 27 luglio 2013 da Albertocapece

discaricaAnna Lombroso per il Simplicissimus

In fondo tutto era cominciato con la proprietà che non è più un furto. Poi con lo sfruttamento della prostituzione minorile a scopo di beneficienza.  E  con il familismo, accorgimento lecito quando precarietà e crisi costringono a aguzzare l’ingegno e percorrere scorciatoie. E che dire di condoni e scudi, misura indispensabile a riportare in patria e all’ombra della legalità patrimoni sottratti e irregolarità profittevoli. Ieri è stata la volta dell’evasione se non opportuna e legittima, certo comprensibile a scopo di sopravvivenza. Oggi il lavoro nero, che, come diceva la Fornero, meglio stare in un call center che disoccupati, via d’uscita obbligatoria e lenitivo fondamentale per temperare  la durezza dei tempi neri.

Ormai hanno preso coraggio: presto dichiaratamente verranno sdoganate le morti bianche, doveroso prezzo da pagare per compensare gli onerosi costi della manodopera. E come non aspettarsi il riconoscimento bipartisan del contributo offerto all’economia nazionale dal brand della corruzione, seguito dalla nomina a cavaliere del lavoro di Provenzano preliminare al  definitivo avallo del tributo concesso alla società   nazionale dall’industria delle mafie, col suo 10% del Pil.

La chiamano da sempre economia informale, anche se un tempo era meno sguaiata e meno sfrontata. Ma una volta c’erano movimenti, organizzazioni e partiti che rappresentavano nei parlamenti e nella società i poveri, i lavoratori, i diseredati, con viltà, paure, prudenze, tentennamenti, lotte intestine, malattie infantili. Ma c’erano.

Oggi c’è invece un fronte compatto omogeneo che ha raggiunto il risultato unitario, mai conseguito dai lavoratori, e che è robusto, denso, indivisibile, contro di noi. Che vive fuori dalla legittimità democratica e mira all’illegalità, se permette licenze, favorisce privilegi, nutre disuguaglianze, eroga elargizioni smantellando gli edifici dei diritti e delle garanzie, in uno stravolgimento di regole, leggi e imperativi morali. Mica vorrete che aumentino i salari o alzino la base imponibile, mica vorrete che impongano investimenti in sicurezza e innovazione, mica vorrete che obblighino al rispetto delle sentenze dei tribunali che censurano i comportamenti antisindacali, mica vorrete che conducano una lotta di contrasto alle grandi evasioni, mica quelle degli scontrini al bar, mica vorrete che rintraccino le tortuose peregrinazioni di conti esteri eccellenti grazie a quei fantomatici accordi con la Svizzera periodicamente annunciati, mica vorrete che prima di svuotare la scomoda a fastidiosa costituzione obbediscano a qualcuna delle sue moleste imposizioni.

Così quella economia informale occupa quella formale, sconfinando nel sommerso e nell’illegale, stringendo le maglie dell´intreccio sempre più stretto che esiste tra lavoro regolare e lavoro nero o sommerso, per convincere che l´organizzazione produttiva delle imprese contemporanee, piccole medie o grandi che siano, non può che fondarsi su quel vincolo e addirittura si bloccherebbe se esso dovesse venire improvvisamente meno. E che i rapporti tra aziende e settore pubblico ha bisogno di alleanze opache e di una commistione tossica di interessi e influenze. E che laddove lo stato è assente o impotente, le burocrazie estreme e inefficienti, i controlli avvelenati o corrotti è inevitabile fare ricorso a protezione criminali, a padrini potenti, a famiglie oscure ma provvidenziali. Ormai a promuoverla come necessaria anzi inevitabile, desiderabile, auspicabile,  è proprio quel partito passato dallo stato liquido a quello liquefatto e gassoso di idee e principi rinnegati e valori traditi, che ha sostituito le radiose visioni del futuro con quelle pragmatiche e funzionali che indicano nell’economia formale la soluzione demiurgica dei   problemi vitali dell’individuo e della società in cui vive. Così che la patologia diventi normalità, l’illegittimità  si cambi in necessità improrogabile, l’illegalità si converta in  opportunità, rimuovendo leggi e regole che ostacolano la prepotenza privata e la sregolata libera iniziativa.

La neo barbarie e il neo feudalesimo confermano le profezie di 2  Karl, Marx e Polanyi,  sulle prevedibili aberrazioni del capitalismo, alimentando il Terzo Mondo interno e promuovendo le sue percentuali di successo, se nei paesi che si affacciano sullo scenario mondiale,  tra il 50 e l’80% della popolazione vive in sistemi economici informali fino all’illegalità. Ed è per quello che il loro Fare ha bisogno di abbattere l’ostacolo maggiore: la democrazia.


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