Le relazioni tra l’Unione Europea e la sponda meridionale e orientale del Mediterraneo hanno vissuto diverse stagioni. L’articolo offre una breve storia delle politiche europee verso il Maghreb e il Mashreq dagli anni novanta ad oggi: l’iniziale concentrarsi sui Balcani e l’Europa Orientale; lo spostamento d’attenzione verso sud con la Conferenza di Barcellona del 1995; la creazione di un’unica politica di vicinato nel 2007. Dal 2014 inizierà il primo periodo di programmazione dopo la Primavera Araba del 2011.
La politica orientale degli anni novanta
Nel 2014 inizierà il prossimo settennato di programmazione dell’Unione Europea, l’arco temporale nel quale l’Unione Europea, attraverso le sue politiche interne ed esterne, cercherà di raggiungere gli obiettivi di Europa 2020, dopo il parziale fallimento della Strategia di Lisbona. Prenderà avvio, quindi, anche la nuova fase della Politica di Vicinato, l’azione che l’Europa rivolge verso i suoi confini esterni, terrestri e marittimi, orientali e mediterranei. Una politica che, inevitabilmente, sarà segnata dai recenti accadimenti e che, come vedremo, presenta interessanti elementi di novità rispetto la programmazione 2007-2013, il primo periodo dopo il Big Bang, il grande allargamento del 2004-2007, a seguito del quale l’ UE ha spostato il suo baricentro verso oriente.
Un confronto con i territori circostanti, che oltrepassi la mera cooperazione allo sviluppo, si comincia a fare nei primi anni novanta, allorché i rapidi mutamenti politici verificatisi in Europa orientale e balcanica, impongono l’adozione di scelte e strategie che abbiano un respiro di lungo periodo. L’azione esterna dell’Unione Europea (Comunità Economica Europea fino al 1992), quindi, si concentra soprattutto verso oriente. Grandi cambiamenti coinvolgono i territori da Varsavia a Mosca e da Tallinn a Sofia. L’Unione Sovietica si scioglie, così come il Patto di Varsavia e scoppiano le guerre iugoslave.
L’UE si trova quindi a confrontarsi con una duplice nuova prospettiva che, da un lato, pone l’unità europea un’evenienza realizzabile e non confinata alla sua parte occidentale e, dall’altro, deve confrontarsi con la prima guerra interna dalla fine del secondo conflitto mondiale. La Repubblica Democratica Tedesca cessa di esistere e viene incorporata alla Germania Occidentale e alla CEE, la Cecoslovacchia si divide e l’economia socialista viene soppiantata dal libero mercato. Mosca diventa la capitale di uno stato fisicamente molto più distante da Parigi, Berlino e Londra (e Bruxelles) di prima e molte ex repubbliche sovietiche si rivolgono ad occidente, spesso in chiave antirussa. Le repubbliche baltiche sottoscrivono gli Accordi di Associazione all’UE a metà degli anni novanta e, tra il 1999 (Cechia, Ungheria e Polonia) e il 2004 (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia) quasi tutti gli stati dell’ex blocco aderiscono alla NATO.
Era necessario intervenire con questo Drang nach Osten per evitare pericolose derive autoritarie o l’intromissione di altri soggetti, caduto il sistema bipolare. Di qui, l’insieme europeo di aiuti erogati ad alcune ex repubbliche sovietiche1 attraverso il programma TACIS, finalizzato a sostenere la transizione verso l’economia di mercato e promuovere la democratizzazione e il consolidamento dello stato di diritto, e attraverso il programma PHARE2 che, dal 1994 al 2006 rappresenta il principale strumento finanziario per la preadesione e il raggiungimento dell’aquis communautaire. Del programma PHARE, a cui si aggiungono dal 2000 le componenti ISPA e SAPARD rispettivamente per infrastrutture e sviluppo rurale, sono destinatari tutti i paesi dell’Europa Orientale che diverranno membri dell’Unione tra il 2004 e il 2007. Per i Balcani, invece, c’è prima il programma Obnova (1996-1999) che finanzia progetti, programmi e azioni per la cooperazione alla ricostruzione, il ritorno dei profughi e degli sfollati e poi, nel periodo di programmazione 2000-2006, il programma CARDS3 al quale accedono Bosnia-Erzegovina, Croazia, Iugoslavia (poi Serbia e Montenegro), Albania e Macedonia. Dal 2007 il programma ha cambiato nome e finalità ed è diventato IPA – Instrument for Pre-Accession, strumento che, attraverso le sue cinque componenti, condurrà i Balcani Occidentali verso l’Unione Europea.
Sostanziose iniezioni di denaro per evitare derive autoritarie, spinte revansciste o il riaccendersi di focolai balcanici. Tutto quest’attivismo però, spostava troppo verso oriente l’asse dell’Unione Europea, rischiando di marginalizzare i paesi sudoccidentali (Spagna, Portogallo e Italia meridionale), già caratterizzati da un PIL pro capite inferiore a quello degli altri stati membri.
La Conferenza di Barcellona e le prime iniziative euromediterranee
A metà degli anni novanta, il versante meridionale, il Mediterraneo, è ancora visto come qualcosa di distante, sia perché geograficamente non è Europa (e non c’è nemmeno spazio per disquisizioni accademiche o politiche come nel caso della Turchia o delle repubbliche caucasiche) sia perché i flussi migratori non sono ancora importanti. I profughi, immigrati e richiedenti asilo arrivano da est, non da sud. La situazione non è completamente tranquilla, né nel Maghreb né nel Mashreq ma si tratta di problemi che non travalicano i confini nazionali e che non incidono in maniera sostanziale sull’economia europea. L’Unione Europea prende coscienza della necessità di ampliare il suo raggio d’azione anche verso sud con la Conferenza di Barcellona del 1995 con la quale si propone di includere tutto il Mediterraneo nel quadro delle relazioni privilegiate europee e promuovere l’integrazione economica e politica tra le due sponde. Erano stati da poco firmati gli Accordi di Oslo, successo diplomatico di Bill Clinton e del Ministro degli Esteri norvegese Johan Jørgen Holst, tra ʿArafāt e Rabin e sembrava di assistere anche all’inizio di una nuova era di pacificazione tra arabi e israeliani.
Il Partenariato Euromediterraneo costituitosi a Barcellona coinvolge tutti i membri dell’UE di allora e i seguenti paesi terzi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità Palestinese. La Libia, sotto embargo ONU ne è esclusa e sono invitate, come osservatori, la Lega Araba e la Mauritania. Fine ultimo di quest’iniziativa è la creazione di uno spazio comune di pace e stabilità, obiettivo da raggiungere attraverso azioni di cooperazione multilaterale sviluppate in tre dimensioni: il partenariato politico e di sicurezza, il partenariato economico e finanziario e il partenariato sociale, culturale e umano.
Con la prima dimensione, i partner si impegnano a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, l’integrità territoriale e la sovranità degli altri stati, combattere il terrorismo e la criminalità organizzata e promuovere la sicurezza regionale.
Il secondo asse, che concentra quasi il 90% dei fondi messi a disposizione dalla Commissione Europea, è volto all’instaurazione di una Zona di Libero Scambio senza dazi doganali e altre barriere commerciali che ostacolino la libera circolazione delle merci e dei capitali. La terza dimensione invece, intende promuovere tutte quelle azioni che favoriscano il dialogo interculturale, la reciproca conoscenza e il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile. Al di là delle lodevoli intenzioni e degli auspici dei governanti, poco è seguito alla Dichiarazione di Barcellona e, nel 2008, è stata costituita, su impulso francese, l’Unione per il Mediterraneo4 con l’obiettivo di rilanciare la strategia del 1995, concentrandola su sei macro obiettivi a cui corrispondono altrettanti grandi progetti:
- Disinquinamento del Mar Mediterraneo comprese le zone costiere e le aree marine protette;
- Creazione di autostrade del mare e terrestri che colleghino i porti e miglioramento dei collegamenti ferroviari al fine di facilitare la circolazione di persone e merci;
- Piano mediterraneo per l’energia solare che indaghi le possibilità di sviluppare fonti energetiche alternative nella regione;
- Programma di protezione civile congiunto sulla prevenzione, la preparazione e la risposta alle catastrofi naturali o causate dall’uomo;
- Costituzione di un’Università Euro-Mediterranea a Portorose, in Slovenia, inaugurata nel giugno 2008;
- Iniziativa Mediterranea di Sviluppo Imprenditoriale che assista la piccola e media impresa in una prima analisi del fabbisogno, offra assistenza tecnica e favorisca l’accesso al credito.
Si prevedeva altresì l’insediamento di un Segretariato Permanente, inaugurato a Barcellona nel marzo 2010, che ha il compito di valutare proposte progettuali di cooperazione euro mediterranea anche supportando i proponenti nella ricerca di finanziamenti.
Nel Consiglio europeo di Barcellona del 2002, al fine di dare ulteriore sostegno, anche finanziario, alle iniziative di cooperazione, viene istituito il FEMIP – Fondo Euro Mediterraneo di Investimento e Partenariato, ulteriormente rafforzato dal Consiglio di Bruxelles dell’anno seguente. Questo strumento finanziario, gestito dalla BEI – Banca Europea per gli Investimenti, sostiene i cosiddetti PPM (Paesi Partner del Mediterraneo) a centrare gli obiettivi della modernizzazione economica e sociale e dell’integrazione regionale, coerentemente a quanto previsto dalla Politica Europea di Vicinato (PEV) e dall’Unione per il Mediterraneo. Esso unifica tutti gli strumenti utilizzati dalla BEI in precedenza per operare nel Mediterraneo. In particolar modo, finanzia soprattutto i progetti relativi ai primi tre macro obiettivi summenzionati. Ad oggi ha contribuito con più di 11 miliardi di euro a sviluppare soprattutto progetti nel campo dell’energia, telecomunicazioni, PMI e gestione dei rifiuti nei 9 paesi destinatari5 con una netta prevalenza di Turchia, Tunisia, Algeria, Egitto e Marocco, garantendo sostegno al settore privato attraverso l’iniziativa locale o gli investimenti diretti esteri e promovendo la creazione di un ambiente favorevole agli investimenti. Il sostegno finanziario si sostanzia in erogazione di prestiti, private equity o assistenza tecnica.
Nel 2010 il FEMIP ha avviato, assieme alla BEI, alla Cassa Depositi e Prestiti italiana, alla Caisse des Dépôts francese e a due istituzioni finanziarie nordafricane, la marocchina Caisse de Dépôt et de Gestion e l’egiziana EFG Hermes, il Fondo InfraMed per le Infrastrutture, che rappresenta il primo strumento finanziario dell’Unione per il Mediterraneo gestito dal predetto Segretariato di Barcellona al quale sono assegnati anche due funzionari della BEI. Ad esso, si affiancano, per progetti di importi minori, due altri fondi regionali di investimento, InfraEgypt e InfraMaroc.
Dal punto di vista politico, il passo successivo nell’avvicinamento delle due sponde è stata, nel dicembre 2003, la costituzione dell’APEM – Assemblea Parlamentare Euro Mediterranea, composta da membri dei parlamenti dei PPM e del Parlamento Europeo. Istituito con il Regolamento comunitario 1488 del 1996, il programma MEDA (MEDA I dal 1996 al 1999 e poi, leggermente modificato, MEDA II dal 2000 al 2006) è stato il principale strumento attraverso il quale la Commissione Europea ha finanziato gli interventi di cooperazione economica e finanziaria del partenariato euromediterraneo. Costruito sulla base di TACIS e PHARE, il programma ha sostenuto, nell’arco di dieci anni, progetti che promuovessero la realizzazione dei tre obiettivi del partenariato euromediterraneo attraverso finanziamenti a fondo perduto, finanziamenti in conto interessi e iniziative di venture capital. L’intervento comunitario non doveva essere superiore all’80% del costo totale dei progetti, i cui beneficiari non erano solo le autorità centrali ma anche i comuni, le associazioni di categoria, le organizzazioni non governative, i consorzi di produttori, le associazioni e le fondazioni. La dotazione finanziaria di MEDA I era di 4,6 miliardi di euro, portati a 5,35 miliardi per il periodo di programmazione 2000-2006.
Il nome del programma, che a differenza degli anglofoni CARDS, PHARE e TACIS, prevedeva un bilinguismo anglo-francofono, trae origine dal titolo “Mesures d’accompagnement financier et technique a la réforme des structures économiques et sociales dans le cadre du partenariat euro-méditerranéen”. Con MEDIA II si assiste ad alcuni significativi cambiamenti volti ad aumentare l’efficacia e l’efficienza delle iniziative portate avanti. Dal punto di vista programmatorio, si definiscono documenti programmatici uniformi: i Country Strategy Paper e i Programmi (pluriennali) Nazionali o Regionali Indicativi. Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, invece, dal 2001 a Bruxelles, accanto alla DG Relex6, che mantiene funzioni d’indirizzo politico e strategico di lungo periodo, è istituito l’Ufficio EuropeAid, con compiti più operativi legati alla gestione e attuazione del programma. Di pari passo, inizia la devoluzione delle competenze alle Delegazioni che si completa nel 2004.
Verso un unico programma di vicinato
Nel 2007 si apre un nuovo settennato europeo di programmazione con il quale si formalizzano gli orientamenti già proposti dalla Commissione nella Comunicazione al Consiglio e al Parlamento “Europa ampliata — Prossimità: Un nuovo contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali” del marzo 2003. Non si parla più di diversi programmi di cooperazione esterna, ognuno con proprie caratteristiche e rivolto ad aree geografiche omogenee (CARDS per i Balcani, TACIS per la Russia e le ex Repubbliche sovietiche, PHARE per i paesi in preadesione e MEDA per la costa meridionale e orientale del Mediterraneo) ma di paesi ENPI, dall’acronimo inglese del nuovo strumento finanziario European Neighbourhood Policy Instrument, i paesi ai quali si rivolge la Politica Europea di Vicinato, o di Prossimità. Questi paesi diventano quindi una sorta di rimland, una cintura territoriale che è disciplinata da un unico regolamento comunitario, il 1638/2006 e che, per alcuni aspetti, viene distinta tra ENPI Sud (Algeria, Autorità Palestinese, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia) ed ENPI Est (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldavia e Ucraina). La Russia è beneficiaria dei fondi ENPI anche se le relazioni con l’UE non rientrano nella PEV ma sono definite da un apposito Accordo di Partenariato Strategico. Questa visione si allinea peraltro con quanto indicato, molto chiaramente, nella Strategia Europea in materia di sicurezza, adottata dal Consiglio Europeo del dicembre 2003, laddove si stabilisce che l’integrazione degli Stati aderenti aumenta la nostra sicurezza ma ravvicina altresì l’Europa alle zone problematiche. Il nostro compito consiste nel favorire l’esistenza di un cerchio di paesi ben governati ad est dell’Unione europea e lungo il Mediterraneo, con cui possiamo intrattenere rapporti stretti e cooperativi.7
Con l’introduzione della PEV – Politica Europea di Vicinato (detta anche di Prossimità) dal 2004, la politica mediterranea dell’UE si è sdoppiata: da un parte la PEV, che riguarda fondamentalmente il secondo pilastro di Barcellona e che si attua attraverso programmi nazionali o transfrontalieri e dall’altra il PEM (Partenariato euromediterraneo), che si concentra sul I pilastro mentre il raggiungimento degli obiettivi del III pilastro è garantito anche dalla Fondazione Euromediterranea per il Dialogo tra le culture Anna Lindh8, struttura costituita nel 2005 grazie ad un finanziamento di 7 milioni di euro da parte della Commissione Europea. La Fondazione Anna Lindh, il cui network raggruppa enti locali e organizzazioni della società civile provenienti da 43 paesi, ha sede ad Alessandria d’Egitto e finanzia piccoli progetti di cooperazione tra la sponda settentrionale e quella meridionale nei seguenti settori: istruzione e giovani; arti e cultura; pace e convivenza; valori, religione e spiritualità; città e migrazioni; mezzi di comunicazione.
L’Unione Europea definisce i suoi confini. Chi sta dentro e chi sta (e starà) fuori. La PEV riguarda i paesi che l’Europa considera il suo confine e che, anche dopo l’adesione a Bruxelles dei paesi candidati9 e potenzialmente candidati10, rimarranno, anche nel medio-lungo periodo, frontiera esterna. Questa decisione soffoca quindi le eurosperanze moldave e ucraine, che auspicavano, dopo il periodo di TACIS, di essere inserite nella programmazione IPA – Instrument for Pre-Accession 2007-2013 e rientrare nelle prospettive di allargamento. L’area ENPI diventa quindi uno spazio con il quale la UE vuole intrattenere rapporti privilegiati e costruire un partenariato solido e fidato, anche perché, a sua volta, confinante con paesi particolarmente caldi, instabili o bellicosi, dall’Africa Sub-sahariana all’Iraq, all’Iran.
ENPI sostituisce quindi e unifica i programmi MEDA e TACIS e, per il periodo di programmazione che ora volge al termine, dispone di una dotazione finanziaria pari a 11,18 miliardi di euro, di cui il 95% è destinato ai programmi di sviluppo nazionali, multinazionali o tematici. Il rimanente 5% è riservato invece ai programmi di cooperazione transfrontaliera che possono essere bilaterali (nel Mediterraneo abbiamo solo il programma Spagna – Marocco e Italia – Tunisia) o multilaterali (Bacino del Mediterraneo). ENPI prevede una programmazione composita: dal Country Strategy Paper, il documento settennale di inquadramento politico economico del paese beneficiario che comprende l’analisi della situazione e la strategia di risposta, discende il Programma indicativo pluriennale (3-4 anni) che stabilisce i finanziamenti globali e settoriali previsti. A cascata, si giunge allo strumento operativo, il Piano d’Azione Annuale che descrive i progetti identificati per il finanziamento, definisce il costo di ogni progetto e determina lo stanziamento dei fondi. I primi piani sono stati sviluppati con i paesi con cui l’Europa ha già siglato degli Accordi di Associazione o di Partenariato e Cooperazione come Giordania, Marocco, Tunisia, Israele e Autorità Palestinese. La grande novità rispetto al passato è data dal fatto che i paesi partner presentano un programma operativo congiunto alla Commissione Europea che, a seguito di un negoziato per verificarne la conformità al regolamento di base e ai documenti strategici, lo adotta. Le attività sono ammissibili a finanziamento solo da quando i singoli stati sottoscrivono la Convenzione di finanziamento.
Dal 2007, l’Italia è interessata da due programmi ENPI in virtù delle sue frontiere marittime: il transfrontaliero bilaterale Italia-Tunisia11 e dal Programma “Bacino del Mediterraneo” i quali cofinanziano al 90% progetti promossi da partenariati composti da enti pubblici o del privato non profit provenienti dall’area ammessa12 e afferenti ai pilastri di Barcellona. I partenariati candidati devono essere formati da almeno un partner della sponda settentrionale e uno proveniente da quella meridionale. Il Marocco ha aderito al programma ma non ha ancora sottoscritto l’Accordo Finanziario con la Commissione Europea, mentre Algeria, Libia e Regno Unito (Gibilterra), pur essendo paesi ammissibili secondo l’ENPI CBC (Country Cross-border cooperation) Strategy Paper, non partecipano al programma. La Turchia, invece, ha fatto richiesta di non essere inclusa tra i territori ammissibili al programma, avendo fatto richiesta di aderire all’Unione Europea.
L’Autorità di Gestione dell’Italia-Tunisia è in capo alla Regione siciliana mentre la Regione Sardegna gestisce il “Bacino del Mediterraneo”. L’aver ottenuto l’Autorità di Gestione di un programma così esteso rappresenta un ottimo risultato in un’ottica di posizionamento strategico anche se le lingue ufficiali di lavoro sono l’arabo, il francese e l’inglese. Molto spesso, però, questi successi non fanno riferimento ad una strategia chiara e articolata di politica estera italiana, ma sono il frutto del lavoro della singola regione o del singolo ministero che riescono, attraverso un’azione di lobbying istituzionale, a portare a casa i risultati. Risultati che però, inevitabilmente, non vengono capitalizzati. Va anche detto che di alternative non ce n’erano molte, posto che l’Autorità di Gestione sarebbe comunque dovuta essere insediata in uno stato membro e che la Francia aveva già
La Grecia poi, avendo già gestito in maniera inadeguata il Programma Archimed 2000-2006 non era un candidato forte mentre la Spagna era geograficamente troppo decentrata. Valencia ospita comunque la sede del Branch office per il Mediterraneo Occidentale, mentre la sede di riferimento per il Mediterraneo Orientale è ad Aqaba, in Giordania, bagnata dal Mar Rosso. Nonostante i molti richiami alla semplificazione delle procedure in un’ottica di aumento dell’efficacia e dell’efficienza da valutare sulla base dei risultati conseguiti, i programmi hanno registrato considerevoli ritardi nell’attuazione, dovuti molto spesso alla complessità delle procedure da seguire e al forte divario, soprattutto amministrativo e organizzativo, esistente tra le due sponde del Mediterraneo.
Il futuro della politica europea di vicinato
L’avvio dei negoziati e delle riflessioni sulla nuova programmazione è iniziato, come previsto, nel 2011, in un clima di grandi cambiamenti nei paesi ENPI sud, segnati dalla Primavera araba. Sono tre i documenti comunitari14 che, ad oggi, delineano gli orientamenti sulla politica di vicinato 2014-2020 e su come si intendono raggiungerne i risultati attraverso l’ENI15 lo strumento finanziario che sostituirà l’ENPI. L’ultimo documento in ordine di tempo che è stato fatto circolare è la proposta di regolamento per l’ENI. Può ancora essere soggetta ad alcune modifiche ma, sulla base delle esperienze pregresse, si può affermare con un ampio margine di sicurezza che l’impianto complessivo non sarà stravolto.
Sono apportate rilevanti modifiche alla programmazione precedente: oltre ad una semplificazione amministrativa e a uno snellimento del percorso programmatorio16, invocate peraltro anche per la Politica di Coesione che regolamenta i Fondi Strutturali, l’aspetto più importante è dato dall’introduzione del principio more for more. Ciò significa che il sostegno comunitario sarà condizionato agli effettivi progressi compiuti dai paesi vicini nell’istituire e consolidare la democrazia nonché nel rispetto dello Stato di Diritto. Fortunatamente, non si definisce un modello democratico di riferimento ma si richiamano alcuni indicatori di contesto: elezioni libere ed eque; libertà di associazione, di espressione, di riunione e di stampa; indipendenza della magistratura e diritto al giusto processo; lotta alla corruzione e riforma del settore della sicurezza e democratizzazione delle forze armate e di polizia.
Per rendere più incisiva quest’azione, la Commissione prevede anche di costituire un Fondo Europeo per la democrazia che sosterrà i soggetti politici che lottano per il cambiamento democratico nei loro paesi17. Un fondo che però, se non gestito in maniera indipendente, potrebbe orientare il sostegno finanziario verso forme più gradite, intervenendo sulla libera scelta di un sistema “democratico” più rispondente alle caratteristiche proprie dei singoli paesi. Applicando il nuovo principio della differenziazione, l’Europa destinerà quindi un volume più consistente di fondi laddove ritenga che il suo aiuto possa produrre risultati migliori: nelle regioni e nei paesi più bisognosi, compresi gli Stati fragili. I paesi in grado di generare risorse sufficienti a garantire il loro sviluppo non riceveranno più sovvenzioni bilaterali, ma beneficeranno di nuove forme di partenariato e continueranno a ricevere fondi attraverso i programmi tematici e regionali. A complemento, saranno introdotte diverse modalità innovative di cooperazione come la combinazione di prestiti e sovvenzioni.
Dal punto di vista economico, il fine ultimo è la creazione di una zona di libero scambio globale e approfondita18 nella quale sia armonizzata la normativa in materia di concorrenza e appalti pubblici, siano rispettate le medesime norme sanitarie, fitosanitarie e sul benessere degli animali e dove siano abbattute le barriere commerciali. Questo passerà anche attraverso una riduzione dei 29 settori tematici attualmente previsti nella programmazione ENPI a 6 obiettivi specifici.
La cooperazione economica, inoltre, sarà integrata anche dal supporto della BERS, la Banca Europea per la Ricostruzione e Sviluppo che espanderà il suo raggio d’azione al Mediterraneo meridionale e orientale.
Il partenariato con la società civile sarà rafforzato attraverso la progressiva integrazione dei paesi beneficiari nei programmi a gestione diretta della Commissione Europea. In particolare, si intende promuovere la cooperazione nel settore dell’istruzione superiore attraverso un sostegno alla mobilità degli studenti e alla cooperazione interuniversitaria con i programmi ricompresi in Youth on the Move, una delle cosiddette “iniziative faro” individuate nella strategia Europa 2020, quali, ad esempio, TEMPUS e ERASMUS MUNDUS e con HORIZON 2020, il successore dei Programmi Quadro per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico.
Per quanto riguarda la tipologia di programmi da adottare, si conferma la logica attuale: programmi bilaterali a sostegno di un unico paese partner, programmi multinazionali tematici e di cooperazione regionale o sub regionale tra paesi partner e programmi di cooperazione transfrontaliera tra uno o più stati membri da una parte e uno o più paesi mediterranei dall’altra.
Dalla Dichiarazione di Barcellona ad oggi molte cose sono cambiate: due paesi terzi firmatari degli accordi sono divenuti membri dell’Unione Europea (Cipro e Malta), la Turchia ha ottenuto lo status di candidato e molti stati hanno vissuto delle trasformazioni che non accadevano dalla fine del colonialismo. La politica europea di vicinato rappresenta quindi lo strumento che, se ben utilizzato, può attrarre questi territori al polo europeo, garantendo al contempo all’Unione una fascia di protezione da possibili minacce esterne.