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"la politica non serve a niente": luogo comune, errore di valutazione o fondata verita'?

Creato il 01 ottobre 2015 da Alessandro @AleTrasforini

A cosa dovrebbe servire la politica in un tempo di grandi problematiche aventi cause sia sociali che economiche? Il primario ruolo di prendere decisioni per la tutela della res publica può essere ( già stato?) messo in crisi e/o anche profondamente compromesso da situazioni di stasi volte ad incrinare pericolosamente gli ' equilibri' maturati e/o maturabili?
Le questioni che l'attuale crisi socio-economica ha creato, aggravato o strutturato dovrebbero proporre una qualche revisione nei confronti dei modelli pre-esistenti; servirebbero forse progetti di lunga durata, capaci di guardare davvero con consapevoli sguardi alle complessità esistenti.
Di fronte ad un crescendo di problematiche senza apparenti possibilità di soluzioni tanto totali quanto radicali, è molto facile trovarsi dinanzi ad una larg( hissim)a serie di questioni irrisolte ( e/o irrisolvibili?). Il punto maggiormente critico dovrebbe trattare la necessità di qualificare in maniera il più positiva possibile le sfide che si hanno davanti, a maggior ragione se in un periodo storicamente impegnativo come quello attuale. Quale può essere in questo contesto il peso attribuibile alla politica?
A questa domanda cerca di rispondere il libro " La politica non serve a niente - Perché non sarà il palazzo a salvarci", scritto da Stefano Feltri e pubblicato da Rizzoli Editore.
La questione fondamentale riguarda la modalità di districarsi nella serie di labirinti moderni causati dall'attuale crisi socio-economica:

"[...] La crisi economica, le ondate di profughi, il futuro dell'Europa: i Governi non sembrano in grado di affrontare le sfide più urgenti. Troppo lenti per un mondo che cambia troppo in fretta. Forse dobbiamo fare a meno della politica. Non è detto che sia una cattiva notizia. [...]"

La necessità di vincere certe battaglie politiche passa direttamente attraverso la credibilità del meccanismo di governo della cosa pubblica, mediante una precisa serie di livelli istituzionali di differente estrazione: mondiali, continentali, nazionali, regionali e locali.
Qualsiasi meccanismo di controllo e di governo può riscontrare cali di credibilità ed autorevolezza dinanzi allo scoppiare di alcune questioni che possono assumere contorni assai problematici a vari livelli di percezione. Il punto più difficile da inquadrare converge proprio verso questa serie di specifiche questioni, a detta dell'autore del libro in questione:

"[...] E' la prima volta che i cambiamenti della società sfuggono completamente al controllo della politica. L'innovazione si sviluppa lontano dai Parlamenti, i nuovi protagonisti sono troppo potenti e globali per essere affrontati da piccoli Stati. [...] Oggi gli utili si fanno conquistando miliardi di consumatori a cui migliorare la vita offrendo prodotti e servizi quasi gratis.
Ma non di solo profitto si tratta: mentre i Governi tagliano su welfare e investimenti, i nuovi modelli di business hanno reso conveniente per i privati cercare di risolvere alcuni grandi problemi del mondo. Allora la politica è diventata inutile? Forse sì, almeno nella forma in cui l'abbiamo conosciuta finora. E non è detto che sia una cattiva notizia.
Se le scelte collettive, quelle dei Governi, sono sempre meno rilevanti, cresce il peso delle scelte individuali. In questi anni difficili abbiamo quindi due possibilità: continuare a lamentarci dei politici che non ci aiutano, aspettando che le cose cambino e arrivi la 'ripresa'. Oppure prendere atto delle enormi opportunità che la fine della politica tradizionale sta aprendo e provare a sfruttarle, prendendo in mano il nostro destino. [...]"

Il cuneo di decisione e competenza della politica nazionale potrebbe quindi risultare minato e compromesso dall'immensa mole di problematiche esistenti, alla luce del fatto che le potenzialità di manovra diminuiscono drasticamente con l'avanzare e con l'accrescersi di alcune delle questioni socio-economiche che rendono ardue le modalità di uscita dalla crisi stessa.
La consapevolezza di questa situazione rischia di creare un cortocircuito, tanto complicato quanto radicato da estirpare con coscienza e piena consapevolezza:

"[...] Dalla caduta del muro di Berlino a oggi mai si era avvertito tanto un bisogno di politica, di leadership [...]. Di idee, di visioni, di scelte, di qualcuno che si prenda la responsabilità di decidere. Invece ci troviamo di fronte sempre più spesso al vuoto. Di contenuti, di decisioni, di potere.
Gli slogan della politica nazionale si accumulano nei titoli dei giornali, fanno discutere in qualche talk show e poi svaniscono, privi di conseguenze. [...] La frustrazione deriva dal fatto di essere costretti a occuparsi di una politica che sembra impotente. [...]"

E' proprio l'impotenza della politica a causare le maggiori insoddisfazioni, a rimettere in discussione la sua stessa validità nell'elaborazione di proposte tanto corrette quanto coerenti per le sfere sociali che si vorrebbero rappresentare e/o tutelare. Per fare questo ciò che è politica deve combattere con una lunga serie di ' nemici', alcuni dei quali creati in via quasi privilegiata da lei stessa:

"[...] I Governi devono essere efficienti e fulminei, e per rispettare le loro promesse sono applauditi quando travolgono le resistenze dei 'burocrati', ma se lo fanno davvero finiscono per essere attaccati: Parlamento scavalcato, umiliazione di professionalità consolidate [...], mancanza di dialogo con le Parti sociali [...], provvedimenti giudicati incostituzionali. [...]"

La possibilità di cercarsi un'uscita possibile da questa crisi potrebbe rendere piena consapevolezza al primario ruolo che la politica stessa potrebbe ancora rivestire nella risoluzione delle difficoltà. Condizionale d'obbligo, per una lunghissima serie di motivazioni e ragioni. Il rapporto fra percezione dei problemi e reale dimensione degli stessi costituisce un altro conflitto radicato sul quale alla base possono generarsi altrettante percezioni:

"[...] Di questa crisi del potere tradizionale, però, c'è una consapevolezza parziale: vediamo tutti i giorni che le decisioni dei nostri Governi non sono più in grado di incidere sulle scelte di fondo della nostra vita, eppure è sempre a loro che continuiamo a rivolgerci in cerca di aiuto. [...]"

A fronte di questa polivalenza di domanda ed offerta, pertanto, la possibilità di fornire una proposta politica all'altezza delle aspettative rischia di incrinarsi enormemente. Tanti sono, infatti, i punti che rischiano di restare irrisolti nel dibattito contemporaneo: complessità della società, radicalità dei danni economico-finanziari prodotti e/o producibili, estremizzazione e compenetrazione di alcune tematiche solo apparentemente distanti le une con le altre, [...]. ( Quasi) Tutto si tiene e si intreccia, dunque? Si può davvero parlare di crisi socio-politica dalla quale è molto difficoltoso uscire? Dinanzi a queste domande, rischia di allargarsi il cuneo di mancata credibilità della politica stessa:

"[...] se nella religione una certa distanza tra aspettative e risultati ottenuti è data per accettabile, in politica non è così. E si sta allargando il gap delle aspettative: noi elettori chiediamo sempre di più ai nostri politici che, in cerca di consenso, si sentono incentivati a promettere risultati mirabolanti, riforme radicali, prosperità per tutti. Lo hanno sempre fatto, è ovvio, ma ora il divario tra quanto offrono e quanto possono mantenere si sta ampliando. [...]"

Quali margini di differenza ( r)esistono fra proposte politiche di destra, sinistra e/o centro? Sono davvero così radicali le peculiarità che separano gli schieramenti politici, nella sempre più disastrata e disperata ricerca del consenso di cui sopra? La sola possibilità di amministrare una res publica tanto complessa ed intricata passa attraverso la necessità di governare e/o ammaestrare le diversità emerse in questo percorso? Con quali competenze e tratti distintivi vanno governate le precedentemente citate difficoltà? Si deve procedere con semplificazioni ulteriori o con progressive educazioni alle complessità crescenti? Il fenomeno del populismo deve essere così radicale da estirpare o può in qualche modo essere ' sfruttato' per divulgare la dimensione trasversale assunta da alcune tematiche di fondo? A queste domande sarebbe possibile trovare altrettanto numerose risposte, in richiamo alla necessità di fare luce sui bisogni di popoli a tutt'ora sferzati da una crisi che rischia di avere componenti non solo di matrice economica. A prescindere dai punti di vista, il bivio al quale ci si trova di fronte sembra essere alquanto complesso da dirimere:

"[...] E' la prima volta che i grandi cambiamenti della società sfuggono così completamente alle scelte della politica. Il processo decisionale è troppo lento per inseguire e indirizzare i cambiamenti dell'innovazione, lo spazio in cui si crea il valore aggiunto troppo impalpabile, i protagonisti del cambiamento troppo potenti e globali per essere affrontati da piccoli Stati nazione.
Ma il fatto che la politica sia diventata inutile [...] non è detto che sia una cattiva notizia. [...]"

Esiste una riscoperta dei margini di credibilità, dignità e potenzialità di costruzione di rinnovati significati e campi d'azione su cui ( ri)costruire una proposta politica capace di assolvere in maniera reale e tangibile alla serie di obiettivi primari che la politica dovrebbe proporsi di risolvere?
La risposta a questa domanda passa attraverso la necessità di analizzare con occhio e consapevolezza critica alcune fra le tematiche maggiormente intricate esistenti.
Alcune fra le parole chiave che dovrebbero ( forse) richiamare alle opportunità da coltivare per ristabilire rinnovate serie di possibilità e di Governo sono estesamente definibili, anche se in termini tanto sintetici quanto generici: conoscenza dello Stato ' minimo', sintomi ed ( in)evitabili segni di declino, forme di populismo forse inevitabile, appiattimento delle differenze esistenti fra proposte politiche ( solo teoricamente?) diametralmente opposte le une dalle altre, modalità di descrizione e definizione di crescita economica da attivare ed incentivare, prospettive e scenari delusi di sviluppo economico, tentativi di crescita e ( r)esistenza da parte di lobby e ( banalizzati) ' poteri forti', potenzialità di sviluppo affidate all'istruzione contrapposte ad opportunità di crescita riposte nello sviluppo tecnologico, dimensione e prospettive affidate al virtuale ed al suo rapporto con tutto ciò che è reale. Le questioni sono tante quanto molto complesse ed intricate l'una con l'altra.
Leggerne per ( cercare di) aumentare indubbiamente i margini di spirito critico ed opportunità con le quali guardare al declino ( forse evitabile?) della politica stessa.



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