La politica religiosa del Kazakhstan tra concordia sociale e lotta all’estremismo

Creato il 17 settembre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Paese multietnico che ospita circa 130 nazionalità e 40 confessioni differenti, il Kazakhstan è sempre stato considerato lo Stato più liberale della regione centroasiatica grazie alla politica religiosa moderata imposta dal Presidente Nazarbaev. Costretto a fronteggiare l’espansione degli estremisti islamici e dei gruppi religiosi minoritari, il Governo negli ultimi anni è intervenuto adottando misure restrittive per quanto concerne la registrazione e le attività delle associazioni religiose, scatenando forti critiche sia in patria che all’estero. La sfida presente e futura per il Governo kazako è quella di riuscire a garantire la sicurezza interna senza intaccare i diritti delle comunità presenti sul territorio nazionale e la politica di concordia interreligiosa.

 
Con il dissolvimento dell’Unione Sovietica nei Paesi dell’Asia Centrale si è riaperta la questione religiosa, legata al risveglio dell’Islam e alla presenza di numerose altre confessioni. Se i decenni precedenti furono caratterizzati dall’ateismo di Stato imposto dalla dottrina comunista, dai primi anni Novanta si è assistito ad una decisa inversione di tendenza e il ritorno di comunità e associazioni religiose si è in qualche modo legata ai tentativi di formazione di una nuova identità nazionale. Delle cinque Repubbliche centroasiatiche ex-sovietiche il Kazakhstan è probabilmente il caso più interessante, sia per ragioni di carattere storico che per gli sviluppi successivi all’indipendenza. La steppa kazaka è stata plasmata nel corso di secoli dai continui incontri-scontri tra popolazioni di culture e fedi differenti: dalle invasioni delle tribù mongole ai coloni russi giunti con la progressiva acquisizione dell’Asia Centrale da parte dell’Impero zarista, le terre kazake sono state culturalmente e demograficamente rimodellate di continuo fino a diventare oggi un crogiuolo multi-etnico e multi-religioso.

Il Kazakhstan era, ed è ancora, lo Stato centroasiatico più russificato della regione a causa della presenza di comunità etniche slave e tedesche che fino alla metà degli anni Novanta risultavano essere numericamente maggioritarie. A seguito di alcuni cambiamenti demografici (l’esodo di massa tra le nazionalità di etnia russa, ucraina, bielorussa e tedesca da una parte, il maggior tasso di natalità tra i kazaki dall’altra) il rapporto numerico tra la componente kazaka (di fede islamica) e quella slava (di fede cristiana) si è capovolto a favore della prima. Nonostante ciò, il Paese oggi è dimora di circa 130 nazionalità e 40 religioni differenti. Secondo i dati ufficiali relativi al censimento del 2009 e riportati dall’Agenzia Nazionale di Statistica, su un totale di oltre 16 milioni di abitanti il 70% è di religione islamica, mentre il 26% è di fede cristiana.

Nazarbaev e la politica di concordia inter-religiosa

La politica di concordia inter-religiosa ha rappresentato uno dei motivi di orgoglio del Presidente Nazarbaev, che ha mostrato il proprio Paese al mondo quale modello di convivenza pacifica tra popoli di nazionalità e fedi diverse. L’obiettivo è quello di promuovere lo sviluppo di un modello di armonia nel quale la tutela della libertà di culto e il rispetto dei vari gruppi sono concepiti nell’ambito della stabilità sociale e politica. Pur ritendo l’Islam un valore positivo per la società, più che sull’islamizzazione dello Stato Nazarbaev ha puntato sul dialogo tra le confessioni. Come accaduto per i rapporti tra le comunità etniche, anche in ambito religioso è stata adottata una politica più prudente al fine di evitare la frammentazione sociale del Paese Il Presidente, infatti, preferisce parlare di un “Islam moderato” e di una “via kazaka” per la convivenza pacifica tra culture e religioni diverse, cercando in questo modo di porre al riparo il Kazakhstan dalle tensioni presenti a livello globale. Assieme allo sviluppo di una convivenza pacifica tra i vari gruppi, interesse costante del governo è quello di mantenere alta la guardia conto l’estremismo. Il timore non nascosto è la proliferazione dei gruppi estremisti islamici molto diffusi negli altri Paesi dell’Asia centrale. Per quanto la riscoperta delle tradizioni spirituali sia stato un fenomeno accettato dalla stessa classe politica, allo stesso tempo la capacità dei movimenti religiosi di essere presenti nel tessuto sociale del Paese in maniera a volte più profonda dello Stato è ritenuta uno dei principali pericoli per la stabilità interna.

Queste tematiche sono state ribadite anche nei documenti ufficiali elaborati dal Governo. Nel capitolo dedicato alla “Religione nel Kazakhstan del XXI secolo” della “Strategia Kazakhstan 2050”, Nazarbaev ha rinnovato le preoccupazioni riguardanti le infiltrazioni da parte di gruppi religiosi che, seppure minoritari, compiono un’attività aggressiva di proselitismo. In questo documento, il Presidente kazako conferma la scelta a favore di uno stato secolare, che sostiene un Islam compatibile con la tradizione nazionale e con i valori di una società moderna. Soprattutto, egli richiama una volta di più l’unità tra Stato e popolazione contro l’estremismo, il radicalismo e il terrorismo, nella quale la laicità dello Stato assume una grande rilevanza:

Una particolare preoccupazione è data dalla minaccia del cosiddetto estremismo religioso. Questo timore è condiviso dalla gerarchia religiosa. L’estremismo e il terrorismo in Kazakhstan ha un fondamento criminale e non ideologico. La retorica pseudo-religiosa nasconde attività criminali che minano le basi della società1.

La riforma della legge sulle attività e sulle associazioni religiose del 2011

Le preoccupazioni che il risveglio religioso si tramuti nella diffusione di ideologie”incompatibili con il sistema politico sono state la ragione di alcune riforme legislative che hanno scatenato non poco clamore in patria e all’estero. Già nel 2009 il Governo aveva apportato delle modifiche alla legge che regola le attività religiose sul suolo kazako che, tuttavia, furono bocciate dalla Consiglio Costituzionale in quanto confliggenti con il principio di eguaglianza di tutti i gruppi religiosi. Nell’autunno del 2011 Nazarbaev ha riproposto un nuovo pacchetto di norme teso a rendere più stringenti i requisiti per la costituzione di associazioni religiose e a ostacolare la presenza e le attività di “sette” o di confessioni religiose considerate “non tradizionali” (e pertanto non gradite al governo). Per poter richiedere la registrazione governativa, infatti, le associazioni devono dimostrare di avere un minimo di 50 associati a livello locale, 500 su scala regionale e 5.000 a livello nazionale. Senza registrazione, qualsiasi tipo di attività è considerata illegale. Gli effetti dell’entrata in vigore della nuova normativa ha portato a una drastica riduzione del numero delle rappresentanze religiose dopo che, nei 20 anni successivi al crollo dell’URSS, c’era stata una vera e propria fioritura di comunità in tutto il Paese.

Secondo i dati forniti dall’Agenzia per gli Affari Religiosi, con l’applicazione delle nuove norme il numero del totale delle associazioni si è ridotto di circa un terzo, passando da 4.551 in rappresentanza di 46 confessioni religiose (al 1° gennaio 2011) alle 3.088 associazioni in rappresentanza di sole 17 religioni (in data 25 ottobre 2012)2. Molte autorità religiose e ONG internazionali hanno criticato questa svolta da parte del Governo. Alte autorità islamiche hanno sostenuto che inasprire la legislazione in tema di affari religiosi non avrebbe fatto altro che fomentare l’estremismo in un Paese che non aveva mai registrato episodi di violenza. E, probabilmente, non è un caso se, proprio in coincidenza con la discussione su queste norme, si sono verificati attentati di matrice islamica (a maggio 2011 è stato riportato il primo caso di attacco suicida avvenuto nel Paese; a giugno l’ esplosione di un’autobomba nella capitale Astana ha ucciso due poliziotti, mentre nell’autunno dello stesso anno delle esplosioni si sono verificate nella città di Atyrau. A novembre sette persone sono state uccise a Taraz a colpi di arma da fuoco e ordigni da un militante islamico la cui azione, assieme alle altre, è stata rivendicata dal gruppo Jundallāh, “l’esercito di Dio”)3.

Nel rapporto pubblicato nel 2013 la Commissione sulla Libertà Religiosa Internazionale degli Stati Uniti (organo indipendente bipartisan i cui membri sono nominati dal Presidente e dai leader dei due schieramenti nella Camera e nel Senato) ha denunciato i risvolti negativi della politica religiosa kazaka, catalogando il Paese centroasiatico nella categoria “Tier 2”, costituita da quegli Stati nei quali sono riscontrati trend negativi in materia di libertà religiosa. La Commissione sostiene che nonostante le rassicurazioni del Governo, in realtà, in Kazakhstan vige un sistema doppio in cui alcune confessioni o gruppi religiosi sono visti con sfavore dalle autorità rispetto ad altre. Ciò sarebbe in netto contrasto con l’uguaglianza formale garantita dalla Costituzione. Secondo il rapporto (che contiene un elenco degli atteggiamenti arbitrari adottati delle autorità nei confronti di associazioni religiose non gradite e dei loro membri) a soffrirne le conseguenze sarebbero non solo le sette e i gruppi cristiani minoritari (che spesso non ottengono la registrazione anche quando possiedono i requisiti numerici e ai quali è impedita qualsiasi attività di proselitismo) ma anche gruppi islamici “non allineati” alle direttive governative, che intendono intraprendere la propria attività religiosa in maniera del tutto indipendente4. A seguito dell’arresto di due attivisti per la libertà di culto, nello scorso luglio il Presidente della Commissione Robert George ha aspramente criticato lo Stato centroasiatico guidato da Nazarbaev, sostenendo che l’intransigente applicazione della nuova legge voluta nel 2011 fa sì che in materia di diritti religiosi il Kazakhstan non possa più essere considerato liberale in materia di libertà religiosa5.

Critiche e timori sulla regressione in tema di libertà religiosa sono state reiterate in seguito alle notizie riguardanti la preparazione della bozza del Programma Statale per contrastare l’estremismo religioso e il terrorismo. Il Programma, annunciato da Nazarbaev nella “Strategia Kazakhstan-2050”, ha come scopo principale quello di fermare un radicalizzazione crescente in alcuni settori della popolazione. A giudizio dei critici, ulteriori restrizioni e controlli contribuirebbero a limitare la libertà religiosa; inoltre, sarebbe stata posta poca attenzione agli errori commessi dalle autorità nello scambiare pacifiche associazioni religiose con gruppi che minacciano la stabilità sociale del Paese6. La questione fondamentale che il Kazakhstan in futuro dovrà dirimere sarà proprio quella di trovare una soluzione adeguata per sconfiggere la minaccia posta dall’estremismo e dal fanatismo, riuscendo però a preservare il patrimonio multiculturale che costituisce la sua eredità storica.

L’intento di Nazarbaev di favorire un versione moderata dell’Islam rischierebbe di venire sopraffatto qualora ampi strati della popolazione dovessero cedere al richiamo delle frange più radicali, spesso foraggiate da soggetti stranieri. La risposta dello Stato, tuttavia, non può e non deve risolversi unicamente in un atteggiamento repressivo. Spesso le cause di instabilità vanno ricercate nelle difficili condizioni economiche e sociali che colpiscono una parte della popolazione e che il governo ancora non ha affrontato. Perseguire solo un atteggiamento repressivo, inoltre, non farebbe altro che far precipitare il Paese in divisioni pericolose per la stabilità interna. Compito del governo dovrebbe essere quello di affiancare, alle novità introdotte negli ultimi anni, una serie di provvedimenti “positivi” per concretizzare quell’idea di armonia inter-religiosa e inter-etnica che è diventata la vera sfida del Kazakhstan moderno. A questo proposito devono comunque essere sottolineate alcune iniziative intraprese da Astana, come gli incontri a livello internazionale e i progetti realizzati sul territorio nazionale per promuovere la cultura del rispetto e della tolleranza tra culture differenti. Tra queste spiccano l’istituzione e l’organizzazione del Congresso dei Leader Mondiali delle Religioni Tradizionali (che a partire dal 2003 si tiene ogni tre anni ad Astana); del Forum Mondiale della Cultura Spirituale; l’organizzazione del summit Common World: Progress through Diversity tra i Ministri degli esteri dei Paesi islamici e di quelli occidentali (avvenuto nel 2008) e l’istituzione del Centro Internazionale delle Culture e delle Religioni che ha sede ad Astana.


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