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La politica responsabile e il teorema di Al Capone

Creato il 13 luglio 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti

La politica “responsabile” e il “teorema di Al Capone”. Quando è auspicabile il ricorso storico Il problema è che si dovrebbero mettere d’accordo sul significato del termine “responsabilità”. Da molto tempo ormai, la “teoria del bipolarismo fra entità contrapposte” (destra e sinistra o quello che ne resta) ha portato all’assurdo che perfino sul significato delle parole ci siano scuole di pensiero diverse. L’ultimo esempio è stato quello che abbiamo ricordato ieri, in un breve inciso, a proposito del libro del Ministero dell’Interno nel quale il periodo storico che ha visto la nascita della Resistenza è stato spacciato per “guerra civile”, visione cara ai revisionisti, manganellatori fascisti vecchi e nuovi e nostalgici di Salò. Lo stesso discorso lo si potrebbe fare per quanto riguarda la parola “libertà”, per non parlare del significato di “amore”, “giustizia” e “democrazia”. Quando si arriva alla “responsabilità”, che è l’atteggiamento auspicato da un ampio arco di forze che vanno dalla Presidenza della Repubblica e finiscono dalle parti di Confindustria, il ragionamento si fa arduo perché nel frattempo è stato incarnato dalla Scilipoti Band&Co., nulla di meno responsabile dei “responsabili”. La situazione dell’Italia è critica anzi, criticissima. Se n’è accorto perfino Berlusconi svegliandosi, per una volta da solo, nel lettone di Putin. Se n’è accorto l’avvocato Niccolò Ghedini che, in un momento come questo, ha ritenuto opportuno convincere il principale a pagare i 560 milioni di euro a De Benedetti per non indispettire l’opposizione che non avrebbe mai tollerato la riproposizione della norma “rinvio” in gestazione al Senato. Se ne sono accorti Calderoli, scendendo dalla palma, e il suo collega di partito Paolini che si è rifiutato di fare il relatore pro-Milanese in commissione autorizzazioni a procedere. L’imperativo categorico, per far fronte agli attacchi degli speculatori internazionali nei confronti dell’Italia, è diventato “approvare la manovra economica subito, possibilmente ieri”. Per metterlo in atto occorreva che l’opposizione assumesse un atteggiamento costruttivo, traducibile nella rinuncia a presentare 130.425 emendamenti che avrebbero rasentato l’ostruzionismo e allungato pericolosamente i tempi. Con la faccia solenne di chi vuol far credere di essere diventato improvvisamente uno statista, Silvio vostro che è nei cieli ha detto: “Occorre coesione”, dimenticandosi di tutte le volte che ha sbandierato la sua autosufficienza, la delega a governare ricevuta dal popolo, l’arroganza con la quale ha trattato da sempre gli oppositori e tutti gli italiani, il “ghe pensi mi”, il concetto che “Scilipoti è un eroe, Fini un traditore”, l’applicazione scientifica del “metodo Boffo” contro quelli che non sono d’accordo con lui, le quasi 50 leggi ad personam, i suoi avvocati, tirapiedi, maggiordomi, massaggiatori e igieniste orali pagati dai contribuenti e via dicendo. Questo è l’uomo che oggi, in barba a tutte le vergogne, chiede quella “coesione” che potremmo tranquillamente tradurre in “collaborazione”. Se non fosse che si corre seriamente il rischio che la “collaborazione” si trasformi in “collaborazionismo”, qualcuno potrebbe dire: “beh, in un momento come questo è giusto che tutti remino nella stessa direzione per il bene dell’Italia”. Ma il ragionamento non regge, perché Silvio ha i mezzi, e le possibilità, di ribaltare a suo favore anche quella che è una scelta forzata imposta dalla Storia e non un’ispirazione dello spirito santo. E se Bersani crede davvero che il giorno dopo l’approvazione della manovra Silvio se ne va, forse il suo futuro lavorativo non è quello del leader politico ma del piadinaro sul lungomare di Riccione, mestiere tra l’altro di tutto rispetto. Diverso il discorso se accadesse a Silvio quello che successe negli anni ’30 a Chicago ad Al Capone. Alfonso Capone, noto gangster spacciatore, pappone e pluriomicida, non finì in galera per le sue malefatte né per i suoi delitti efferati, ci andò dritto per evasione fiscale. Un’agguerrita squadra di poliziotti, guidata da Eliot Ness, scoprì che non aveva pagato le tasse sui proventi della prostituzione e della vendita di alcool durante il proibizionismo. Se per gli omicidi dei quali era stato esecutore e mandante non si trovava uno straccio di prova, i registri contabili fornirono tutte le chiavi di lettura possibili. Capone finì i suoi giorni malato di sifilide in galera e l’America si liberò di un pericolosissimo delinquente. Non sappiamo se Mario Monti guiderà il prossimo governo di “responsabilità nazionale”, quello che ci piacerebbe accadesse è che si ripetesse la storia della Chicago degli anni ’30. Capiscimi a me.PS. Nessun nesso esiste fra Silvio e Al Capone. Se qualcuno dovesse leggercelo sappia che è un Pierino e pure in malafede.


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COMMENTI (1)

Da roberto
Inviato il 06 agosto a 16:30
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CAPONE MOR' NELLA SUA VILLA IL 19 GENNAIO 1947 E ANCORA NEL 1964 IL FRATELLO DI AL CAPONE CONTROLLAVA TUTTA LA CATENA DEL VIZIO DI CHIGACO. CAPONE TENEVA SULLA PARETE IL RITRATTO DI LICOLN E QUELLO DI G.WASHINGTON IN SEGNO DI RINGRAZIA MENTO PER CIO CHE GLI STATI UNITI GLI HANNO DATO.e' miserabile che solo per evasione fiscale fu condannato al capone. d'altronde poi i vari genovese,gambino, luciano in combutta con poletti e hoover ebbero parte importante nello sbarco in sicilia nel 1943. saluti