Negli anni ’80 non esistevano i computer; al loro posto, in parecchie famiglie c’era un oggetto chiamato macchina da scrivere. Anche in casa mia ce n’era una; se non sbaglio a ricordare, era stata Santa Lucia a regalarla a mio fratello, convinta che ne avrebbe fatto buon uso.
Illusa.
Andò a finire che, dopo anni di inutilizzo, gliela sequestrai e iniziai ad usarla per i miei primi esperimenti con le parole.
Era un modello manuale, con i tasti durissimi e un complicato sistema per inserire il nastro dell’inchiostro; per imparare a usarla c’erano due mezzi: trovare il libretto delle istruzioni, che mio fratello aveva beatamente perso, oppure andare per tentativi stando attenti a non rompere nulla.
Mi andò bene e non ruppi nulla.
Su quella macchina dai tasti più duri del pane vecchio imparai a scrivere con dieci dita; anni dopo iniziai a fare qualche lavoretto e coi primi guadagni riuscii a coronare il mio sogno proibito: una vera macchina da scrivere, elettronica, con i tasti più leggeri di una piuma.
Da lì non mi fermai più.
Risalgono a quel periodo – vent’anni fa – i miei primi scritti importanti: tre romanzi, tanti racconti e tante, tantissime poesie. Pezzi di cuore che custodivo nel cassetto, sognando un editore che potesse innamorarsene.
Di quei lavori conservo la copia cartacea – l’ho già detto: mica c’erano i computer.
Qualche giorno fa mi è venuta la strana voglia di riprendere in mano, dopo secoli di abbandono, quel malloppo; in un momento di tranquillità, quindi, mi sono armata di scala e sono salita in soffitta. Felice come una pasqua, tra polvere, ragnatele, calabroni e un caldo infernale ho ritrovato – ben sigillata – tutta la mia produzione dell’epoca.
Che ci crediate o no, ho avuto un moto di orrore leggendo la prima pagina di uno dei tre romanzi.
… Stiamo scherzando?… Come diavolo scrivevo vent’anni fa?
Che razza di vocabolario acerbo avevo?
Pensare che uno di quei lavori, un racconto, era stato premiato in un concorso… e non capisco, non mi capacito come possa essere successo, perché se in quella giuria ci fossi stata io – la donna che sono oggi, non la ragazzina di vent’anni fa – avrei preso quel racconto e l’avrei cestinato, definendolo ingenuo per scrittura, complicato per tematica ed esageratamente cervellotico per svolgimento.
Quella non sono io, eppure… eppure ero io, non ci sono dubbi.
I temi trattati sono quelli, li conosco perfettamente.
I miei pensieri dell’epoca sono conservati intatti tra le parole.
Piano piano riesco a vedermi, com’ero e come sono.
Vent’anni sono passati come un potente aspirapolvere.
Credo mi abbiano ripulita, in un certo senso.
Mi chiedo cosa succederà tra vent’anni, quando (e se) mi capiterà di rileggere quello che scrivo su questo blog.
Mi riconoscerò?
Sentirò imbarazzo?
Noterò uno strato di polvere sopra queste parole?
Credo che riporterò al più presto i dattiloscritti dov’erano: in soffitta.
Meglio che restino lì, sepolti dalla polvere del tempo.