Un giorno, D. mi raccontò il suo sogno.
Sedevamo al cafè, il tavolo d’angolo. Chissà perchè, le mie rivelazioni io le ricevo sempre nei tavoli d’angolo, di preferenza vicino alle finestre.
E’ un sogno strano, lo faccio periodicamente.
Cammino al bordo di questa strada, ci sono macchine veloci che non si fermano, sole a picco e l’asfalto caldo.
Sfocato per il caldo, un orizzonte bianco.Mi guardo le braccia e mi accorgo di essere scheletro. Non ho la pelle, qualche muscolo appeso e sbrindellato, ulna e radio che riflettono il sole. Chiari come l’orizzonte, impolverati come la strada.
Strano, ma non mi impressiono. Anzi, mi pare pure di starci bene, in questa forma da non-morto.Mi siedo sul guard-rail e dalla tasca estraggo un amuleto. Rotondo, con un serpente arrotolato e un rubino rosso scuro a segnarne l’occhio. Un oroborus affamato, con denti lunghi come un vampiro. Come si ricorda nei sogni, ricordo di averlo usato per qualcosa di importante e di aver finito. Qualche immagine di un incendio, qualche sbuffo di sabbia, cielo senza nubi.
Sorrido come sorride un teschio e mi sento bene.La sensazione di non aver più freddo.
La consapevolezza di non seguire la strada, di esser lì per caso.
La polvere si posa sullo scheletro, lo accarezza, lo riveste. Fa una pelle nuova.E’ un sogno in cui nessuno potrebbe mai farmi del male.
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