Massimo Pizzoglio per il Simplicissimus
Premetto, forse inutilmente visto che chi mi conosce già lo sa e chi avrà la pazienza di continuare a leggere lo scoprirà presto, che sono visceralmente anticlericale. Ritengo che il clero sia una jattura, quale che sia la religione di cui è braccio secolare, spesso armato, e il clero romano, sia per la vicinanza geografica, sia numericamente, in quanto principale corrente della più diffusa religione al mondo, particolarmente nefasto.
Questa organizzazione politico-burocratica nata e cresciuta per conservare il potere conquistato sulla credulità popolare, in Italia è diventato un vero parastato. Con una gerarchia, costruita e raffinata nei millenni, da far invidia ai più torvi politburo sovietici. Con una struttura così rigidamente piramidale da obbligare i suoi membri a imparare rapidamente tutti i trucchi, gli inganni, le blandizie , le vendette e i ricatti necessari a sopravvivere e, possibilmente, far carriera in questa struttura antidemocratica e corrotta.
Una struttura così conservatrice da non poter accettare l’evoluzionismo essendo essa stessa la negazione dell’evoluzione, da emettere editti morali sulla procreazione essendo, teoricamente, all’oscuro dei suoi meccanismi fondamentali, da dare rigide norme procedurali sul trapasso finale, anche qui ignorandone, ovviamente, l’iter…
I suoi dirigenti e capataz raccontano il futuro vestiti come a una rievocazione storica a Marostica.
Questo monolite nero ha qui da noi effetti particolarmente devastanti perché ce l’abbiamo proprio sopra, come l’astronave di Independence day, e ha come conseguenza più evidente l’interesse dei media a ogni accadimento che lo riguardi: media di ogni indirizzo politico, filosofico, lobbistico, opportunistico, ecc…
Anzi, più “sinistro” è il medium, più si sente in dovere di dare notizie delle ambasce di oltretevere, per dimostrare di non avere prevenzioni (e anche per non mettersi di traverso, si sa mai nella vita).
Così oggi era un florilegio di coccodrilli, alligatori, gaviali e jacarè sul decesso del cardinal Martini: “ma che bravo”, “sant’uomo”, “l’uomo del dialogo”, “troppo avanti per i suoi tempi”…
Al di là della considerazione per il Martini “uomo”, come giustamente diceva Licia Satirico, su cui, ovviamente, il rispetto è dovuto, mi lasciano molto perplesso le considerazioni di carattere politico-amministrativo sul Martini “cardinale” lette su molta stampa.
“L’uomo del dialogo” è il più diffuso: ma il dialogo di chi con chi?
Suo personale, da persona colta e illuminata, con altre realtà religiose e sociali, verso le quali si è sicuramente speso senza risparmio, ma a cui è seguito cosa?
“Fece affermazioni coraggiose e rivoluzionarie” (ormai Repubblica “rivoluzione” lo mette ovunque, anche nella pagina degli spettacoli, forse per recuperare quel pubblico veramente progressista che l’ha abbandonata da mò): sì, vero, “per essere un porporato”, ma che tipo di apertura portarono in Vaticano?
“Prese posizioni di rottura…”, ma per rompere cosa? Le scatole a qualche suo collega, certo, ma cos’altro?
Cosa ha cambiato nella struttura ecclesiastica, ma anche solo nel sentire comune degli alti prelati la sua apertura culturale e morale? che seguito è riuscito ad assicurarsi? chi lascia a continuare la sua opera? e, soprattutto, quale opera?
Non sono, come è evidente dall’incipit, un vaticanista e mi occupo delle vicende del clero romano solo perchè indissolubilmente legate alle nostre, per le conseguenze che inesorabilmente si ripercuotono sulle nostre schiene, credenti o nolenti.
Ma di tutte le belle affermazioni e la vita grama che Martini ha fatto nella sua vita non ho visto scalfire un ette del monolite, anzi…
La sua presenza è servita a poter dire, da parte dei politici cattolici, che in Vaticano qualcosa si muoveva, che “una voce autorevole” sosteneva posizioni avanguardiste, che “è vero che molto è ancora da cambiare, ma i segnali di una svolta sono evidenti”, “c’è un dialogo aperto e costruttivo”.
Quando, invece, la cupola decisionale riprendeva alla lettera i principi del concilio di Trento.
Non l’ho sentito alzare la voce contro la Beatificazione di Pio XII, che quanto a nequizie è secondo solo al suo predecessore Pio V, il massimo propugnatore della bieca Inquisizione.
Non metto in dubbio la buonafede della buonanima, ma mi par strano che una persona intelligente come Martini non si sia reso conto del gioco a cui si prestava.
Forse, come molte persone, riteneva che l’unica maniera di cambiare la struttura fosse dall’interno (nessuna struttura di grande potere è mai stata cambiata pacificamente dall’interno).
Ma come ha fatto ad arrivare al soglio cardinalizio senza inciampare mai nelle sue convinzioni, senza essere mai fermato dai superiori per le sue affermazioni?
E’ stato “bravo” fino all’ultimo e poi ha vuotato il sacco? e se sì, perchè non ha creato un seguito corposo, un’eredità spinosa, una vera speranza per il futuro dei credenti (per gli italiani anche non)?
Come detto, non sono obiettivo, forse sono anche un po’ maleducato a dubitare di un morto ancora tiepido, a non accodarmi al cordoglio.
Ma è morto un essere umano che ha potuto scegliere con quale dignità morire proprio mentre il potere di cui faceva parte da dirigente, dissentendo o meno, impediva la stessa scelta a migliaia di altri esseri umani come lui (a parte la carriera ecclesiastica).
Mi interessano poco, non umanamente, ma sociologicamente, le sue affermazioni in vita: alla porpora, e a ciò che significa, non ha mai rinunciato e senza ottenere nulla di ciò che propugnava, salvo una morte migliore per sé.
L’abito non farà il monaco, ma l’ametista fa il cardinale, eccome.