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La "potenza della metafora" (I)

Creato il 04 agosto 2010 da Bruno Corino @CorinoBruno

Effettivamente, non si è riflettuto abbastanza sulla potenza della metafora. È vero delle acute e sempre istruttive osservazioni si possono leggere nella Sacra Famiglia (1844) di Marx ed Engels, nel § 2 Il mistero della costruzione speculativa capitolo V; ma la critica dei due fondatori del materialismo storico era, appunto, indirizzata al linguaggio filosofico. Dopodiché bisogna attendere il Nietzsche di Su verità e menzogna in senso extramorale (1873) per avere un’interpretazione radicale sulla potenza della metafora. Questa volta la riflessione non è circoscritta al linguaggio filosofico, ma investe la “natura” stessa del genere umano, affonda la sua analisi nelle nostre radici antropologiche. Detto in termini gehleniani, la riflessione di Nietzsche riguarda L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, vale a dire quell’uomo «sospeso nei suoi sogni sul dorso di una tigre». La strada all’inconscio freudiano sarà aperta dallo stesso Nietzsche. Sennonché, in Freud la potenza della metafora viene paradossalmente “rimossa” e sostituita con il “linguaggio simbolico”, per cui al posto della “metafora” troviamo il “simbolo”, che finisce con l’occupare un posto centrale nella psicoanalisi. Il “simbolico” scava la sua strada e arriva a Jacques Lacan, il quale, designandolo come l’ordine della cultura, della legge e del linguaggio, ne afferma la supremazia rispetto al reale. L’inconscio è strutturato come un linguaggio. Di nuovo, la potenza della metafora viene catturata e rinchiusa in un recinto. Serve a spiegare il meccanismo della formazione dell’inconscio, assimilato a quello del linguaggio, attraverso le sue due figure principali: la metafora o il processo di condensazione, e la metonimia o il processo di spostamento. Bisogna, secondo me, attendere altri due saggi fondamentali per far compiere alla riflessione sulla potenza della metafora una “virata” sorprendente: Massa e potere (1960) di Elias Canetti e La violenza e il sacro (1972) di René Girard. Sono due testi importanti perché mettono al centro della loro analisi il fenomeno del mimetismo da punti di vista diversi. Forse, non è un caso che i due autori provengono dalla letteratura. Girard aveva già analizzato questo fenomeno in un testo precedente: Menzogna romantica e verità romanzesca. Le mediazioni del desiderio nella letteratura e nella vita (1961). In questo saggio, l’autore aveva analizzato questo meccanismo in alcuni opere e personaggi della letteratura moderna: Cervantes, Flaubert, Stendhal, Proust, Dostoevskij. Tuttavia, l'analisi della mimesi ancora non è posta al centro della sua riflessione, è troppo intrisa di letteratura; non ha una sua autonomia ed è, pertanto, ancora priva della riflessione sulla potenza della metafora, come invece avverrà nei testi successivi, da quello citato, La violenza e il sacro, al Capro espiatorio, fino ad arrivare a Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Neanche nel citato testo canettiano troviamo un'analisi diretta sulla potenza della metafora, ma ci sono due fondamentali capitoli, Massa e storia, e soprattutto La metamorfosi, che possiamo definire come delle vere e proprie svolte sul tema. Come si può osservare salto completamente a piè di pagina tutte quelle teorie critiche, letterarie o semiotiche che si sono occupate di metafora ma non sono uscite fuori dal recinto della creazione poetica; le salto non perché non le ritengo interessanti, ma semplicemente perché non hanno posto al centro della loro analisi “la potenza della metafora”.

 

La metafora, dunque, non è soltanto un meccanismo che può essere analizzato a livello linguistico o inconscio, e non è neanche soltanto una figura poetica da interpretate esteticamente. La metafora è un “costruttore” sociale e culturale. Voglio dire se all’interno della nostre culture o delle nostre società venisse a mancare (per assurdo) questo “costruttore” esse crollerebbero o si scioglierebbero come neve al sole. La metafora è un’immagine (linguistica, ma non solo) che prende il posto di un’altra immagine. Diciamo allora che è un’immagine sostitutiva. Per esempio, nella metafora pascaliana, all’immagine “uomo fragile”, si sostituisce quella “l’uomo è un fuscello”: il termine intermedio è la “fragilità”, valido tanto per l’uomo quanto per il fuscello. In questo esempio, si tratta di un meccanismo puramente retorico, che serve a “potenziare” soltanto il linguaggio poetico. Si accosta un’immagine con un’altra immagine, cercando di trovare un elemento comune, e si crea un’immagine nuova. Insomma, l’immagine nuova che si è creata non è la “duplicazione” né della prima né della seconda immagine. Tuttavia, questa nuova immagine si sostituisce alla prima. La trasposizione viene effettuata in forza di un processo di assimilazione: la fragilità dell’uomo viene assimilata a quella del fuscello, e l’immagine del fuscello prende il posto dell’uomo. Sulla forza dell’unico tratto che l’uomo e il fuscello hanno in comune, la loro fragilità, si costruisce un’immagine nuova. In questo caso si parla di un processo di sostituzione.

Ma ciò che viene meno in questa riflessione sulla “potenza della metafora” è capire in “forza” di che avviene questo meccanismo. Da un lato potrei semplicemente rispondere: avviene in forza della facoltà creativa del genere umano; ma questa spiegazione non è affatto esaustiva, anzi, serve soltanto a spostare il problema, perché si dovrebbe cominciare a spiegare a cosa corrisponda questa “facoltà creativa”. Dall’altro è vero, alla base di ogni processo metaforico v’è una buona dose di creatività – e su questo versante i poeti hanno tanto da insegnarci – tuttavia, il rimando a questo processo, valido nell’ambito estetico, appare piuttosto limitativo, in quanto questo meccanismo, come abbiamo premesso all’inizio, non è affatto circoscritto soltanto all’ambito linguistico, ma sottende anche quello delle relazioni umane.

Soffermiamoci ancora una volta sulla metafora linguistica: in forza di che la fragilità umana viene assimilata a quella di un fuscello? Mettiamo da parte la risposta “in base a un atto creativo”, e vediamo più nel concreto come s’attiva questo processo metaforico. Anzitutto, questo processo avviene in forza di un scambio: “Oggi, mi sento uno straccio”, dice qualcuno di sé. Il sostantivo “straccio” sostituisce (o viene scambiato) il significato di “debole”, “abbattuto”, ecc. Scambiare qualcosa vuol dire porre qualcosa al posto di qualcos’altro. Nella forma del baratto, ad esempio, un oggetto viene scambiato con un altro oggetto, oppure, in un’economia monetaria, un valore (moneta) viene scambiato con una merce. Alla fine di questo processo possiamo parlare di un rapporto di “sostituzione”. In ogni transizione, chi ha ceduto un oggetto riceve in cambio un altro oggetto. Si presume che ogni scambio sia basato sul “principio di reciprocità”, cioè che i beni e i servizi siano scambiati sulla base di reciproche aspettative, rispettando modalità e tempi fissati da norme socialmente condivise. Cosicché, ogni dare implica un ricevere, che poi a sua volta si può tradurre in un successivo ricambiare, in modo tale che tra gli individui si creino legami sociali sempre più intensi e stabili. Nello scambio di un bene o di un servizio, ciò che viene scambiato deve avere un valore equivalente, in modo che la rinuncia di un bene in cambio di un altro non avvantaggi uno dei due contraenti (questo ovviamente in linea di principio).


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