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Ogni tanto riemergono dal nulla politico delle loro esistenze e guadagnano prepotentemente la scena con qualche uscita pirotecnica. Difficile capire qual è il comico e quale la spalla. Il rapporto è paritario: per intenderci, niente a che vedere con la coppia Totò-Castellani. L’ultimo in ordine di tempo è l’inossidabile Mimmo, tirato in ballo dall’imprenditore calabrese Antonino De Masi per avere fatto ricorso al copia-incolla in una nota di denuncia del “racket delle banche” a danno di clienti tartassati dagli istituti di credito. Un vizietto non nuovo, quello del ginecologo barcellonese ex Idv, “pizzicato” già l’anno scorso a copiare – nientemeno – stralci del “Manifesto degli intellettuali fascisti” (1925) per il suo “Manifesto del Movimento di Responsabilità Nazionale”, costituito nel dicembre 2010 in soccorso dell’agonizzante governo Berlusconi per iniziativa congiunta con i deputati democrats Bruno Cesario e Massimo Calearo.
Proprio l’imprenditore vicentino è l’altro protagonista della settimana politica. Scelto da Walter Veltroni per “gettare un ponte” verso il mondo degli industriali, il “falco” di Federmeccanica non aveva impiegato molto tempo a salutare i casuali compagni di viaggio (“li avevo avvisati che non sono mai stato di sinistra”), aderendo prima all’Api di Rutelli, quindi al Mrn nella vicenda del salvataggio del Berlusconi IV, voto di fiducia ripagato dal Cavaliere con la nomina a consigliere personale del presidente del Consiglio per il commercio estero. Più volte distintosi per il putiferio scatenato da alcune sue dichiarazioni, ha raggiunto vette inarrivabili con il “provvidenziale” attribuito a Mastella (responsabile della caduta del governo Prodi) e la simpatia espressa nei confronti di Sua Emittenza (“Berlusconi è uno come me, in Parlamento dovrebbero esserci solo persone come noi”). L’ultima perla l’ha dispensata ai microfoni della “Zanzara”, confessando di essere andato alla Camera solo tre volte dall’inizio dell’anno: “schiacciare un bottone è usurante”. Non lo è, evidentemente, pagare con lo stipendio da parlamentare un mutuo di 12.000 euro al mese o possedere una Porsche immatricolata in Slovacchia, “perché si pagano meno tasse”.
Il problema è sempre quello della selezione della classe politica e dell’ineludibilità di una riforma elettorale che consenta di passare dal metodo della cooptazione alla possibilità di scegliere i parlamentari. E poi stabilire un minimo di etica. Se un lavoratore non si presenta sul posto di lavoro, non viene pagato e rischia, giustamente, il licenziamento. Il problema non è Calearo che, da questo punto di vista, non è neanche il peggio. Il mitico Antonio Gaglione (gruppo misto, ed Pd) svetta dall’alto del suo 93,24% di assenze, ma davanti al deputato vicentino (ventitreesimo) si segnalano politici di primo piano: Verdini, Ghedini, D’Alema, Fioroni, Pionati, Di Pietro, Bersani.
Spesso si stigmatizza il populismo di alcune critiche feroci. Ma i dati sono impietosi: un giovane su tre senza lavoro, disoccupazione complessiva oltre il 9%, precarizzazione di una quota sempre più alta di lavoratori, assalto ai diritti e alle garanzie conquistati con anni di lotte operaie, cifre di Bankitalia (i primi dieci italiani più ricchi possiedono quanto tre milioni di persone più povere), ladrocinio dei vari Lusi e Belsito, dopo che il finanziamento pubblico ai partiti, abolito con la più alta percentuale referendaria di tutti i tempi, è rientrato dalla finestra sotto forma di “rimborsi elettorali” (Lega “ladrona”: quando si dice la nemesi).
Non c’è bisogno di soffiare sul fuoco dell’antipolitica. La rabbia di ampi strati della società è già sotto gli occhi di tutti. Sono “loro” che ancora fanno finta di non vederla, dal chiuso di stanze dorate, con privilegi ogni giorno sempre più intollerabili.
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