Nonostante la maniche lunghe sfoggiate dal protagonista, siamo ormai in primavera. Ed in questo periodo dell’anno, mentre la natura si risveglia ed il sole splende gioioso, sui campi di calcio ci si improvvisa tutti matematici alle prese con calcoli minuziosi e frasi di circostanza: perché «ci sono da giocare sette finali» e «da qui alla fine può succedere di tutto». Poi arriva Andrea Bertolacci da Roma, con addosso la maglia giallorossa del Lecce (52 gol subiti, peggior difesa) e contro l’Udinese (miglior attacco alla pari con l’Inter, a segno 56 volte) firma la prima doppietta di una sin qui brevissima carriera fissando il risultato sul 2-0, tanto inaspettato quanto giusto.
Due gol e tre punti in ballo, eppure a questa partita erano legati i destini di alta e bassa classifica. Perché Brescia e Cesena, nonostante i quattro – comunque preziosissimi – punti complessivi racimolati nel fine settimana, si ritrovano a far compagnia al Bari sul treno per la B, e l’Udinese è passata in fretta dal sogno di fiatare sul collo dell’Inter all’incubo di vedersi raggiunta o scavalcata tra sette giorni da una tra Lazio e Roma, con Bertolacci affascinato dalla seconda ipotesi.
Cresciuto a Spinaceto, nei pressi dell’Eur, è un romano e romanista dal gennaio 2010 in Salento per farsi le ossa. Con la «Maggica», ché per la gente con quei colori nel cuore è davvero così, gli inizi però erano parsi tutt’altro che convincenti: con Scudieri, alla guida dei ’91 giallorossi dal 2003 al 2006, solo panchina. O quasi, perché quando riusciva a metter piede in campo Bertolacci dimostrava il proprio valore, pienamente riconosciuto dal successore di Scudieri, Andrea Stramaccioni, che avanza Petrucci e dà fiducia a Bertolacci. Che la ripaga, fino a guadagnarsi la fascia di capitano della Roma Primavera nel 2010, prima di fare rotta verso Lecce per assaggiare il calcio dei grandi. E, per dimostrare il proprio coraggio, ecco il 10 sulle spalle, saggiamente ceduto a Rubén Olivera dopo la promozione in A.
Insomma, ambizione e gol, con i piedi ben fissi per terra. C’è chi l’ha paragonato a Cambiasso (mancini entrambi) e chi a Ledesma, come il vice di De Canio Roberto Rizzo, ma per lui l’esempio da seguire rimane De Rossi: Daniele, specifichiamo, perché da suo padre Alberto è stato allenato ai tempi della Primavera.
Antonio Giusto
Fonte: Guerin Sportivo.it