Abbiamo studiato le opere d’arte sui testi scolastici, le vediamo raffigurate abitualmente nelle pagine delle riviste o nel web. Vederle dal vero, immerse in un contesto espositivo, suscita un’impressione chiaramente diversa: si appura la loro collocazione nell’ambiente, se ne apprezzano le dimensioni, la consistenza, i colori naturali, l’effetto della luce, persino l’odore.
Sono stato di recente agli Uffizi dove, tra gli innumerevoli capolavori, è esposta la Primavera di Botticelli. Il mio sguardo si è posato su di essa mentre ancora mi trovavo nella sala adiacente, e per coglierla nel suo insieme ho dovuto mantenermi a distanza. Un dipinto enorme, due metri per tre, che occupa buona parte di un’intera parete. Nulla a che spartire con le microscopiche riproduzioni cartacee o telematiche. Al centro c’è Venere, con il drappo rosso sulla veste di seta, il fulcro visivo intorno al quale ruotano gli altri personaggi. Sulla destra Zefiro rapisce Cloris, e Flora dall’abito fiorito sparge le infiorescenze tenute in grembo. Sulla sinistra la danza armoniosa delle Grazie, che sollevano le braccia e intrecciano le dita, e Mercurio che scaccia le nuvole. Tutte le figure sono inserite in un bosco di aranci verde scuro, dietro cui si frastaglia un cielo azzurrino. Si manifestano in una condizione d’equilibrio effimero, lievissimo, e pare volteggino nell’aria.