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La principessa di ghiaccio - Camilla Lackberg

Da Rossellamartielli
La principessa di ghiaccio - Camilla LackbergHo comprato La principessa di ghiaccio, della svedese Camilla Läckberg, nutrendo delle aspettative ben precise. Mi aspettavo un gran bel thriller e, inutile negarlo, al di là della pur gradevole trama letta sulla quarta di copertina, le mie aspettative erano legate in gran parte alla fortunatissima trilogia Millennium di Stieg Larsson e alla casa editrice che l’ha pubblicato, la Marsilio, la stessa della Läckberg e di altri esponenti di spicco del giallo scandinavo (Asa Larsson e John Lindqvist, solo per nominarne alcuni).Come molti altri lettori italiani, infatti, da Uomini che odiano le donne in poi guardo alla collana “Farfalle-i gialli” di Marsilio con particolare interesse: è un marchio editoriale sinonimo di qualità, soprattutto per gli amanti del genere, come me. Questo solo per precisare quale fosse il mio stato d’animo quando mi sono accinta a leggere La principessa di ghiaccio
Fin dalle prime pagine, però, mi sono resa conto che buona parte delle mie aspettative sarebbero andate deluse. Dal punto di vista formale, nulla da eccepire: la Läckberg scrive in maniera semplice e gradevole, senza picchi di bravura che colpiscono, ma con uno stile pulito che ben si adatta al genere e incentiva alla lettura. 
La cosa che mi ha convinta molto meno, però, è stata la trama. Ci ho riflettuto a lungo prima di capire quale fosse la “nota stonata”, quella caratteristica che proprio mi ha impedito di appassionarmi come è accaduto con altri romanzi, arrivando alla conclusione che probabilmente si tratta di un mix di elementi diversi. Tanto per cominciare, i personaggi. 
La maggior parte di essi sono da manuale: già visti, già ampiamente collaudati e talvolta così perfettamente calzanti al ruolo affidatogli dall’autrice, da risultare quasi degli stereotipi. Non sono propriamente piatti, ma non hanno nemmeno quel carisma che porta il lettore ad affezionarsi a loro, ad appassionarsi alle vicende che li coinvolgono o quanto meno a trovarli simpatici.È evidente lo sforzo dell’autrice nel tentativo di caratterizzarli – molto spesso, ad esempio, si lancia in descrizioni particolareggiate, narrando eventi del passato, vicissitudini e manie attraverso lunghi flashback – ma non ci riesce mai fino in fondo. 
Molte di queste storie secondarie, oltre ad avere poco o nulla a che fare con la trama principale, sono così banali e scontate che il lettore non fa alcuna fatica a immaginarsele fin dalle prime righe. Lo stesso dicasi per le torbide vicende che fanno da sfondo all’assassinio di Alexandra, la bella “principessa di ghiaccio”: in questo caso si tratta di retroscena funzionali alla trama, che però sono ampiamente prevedibili già diversi capitoli prima della fine. Le motivazioni che portano l’assassino a uccidere sono superficiali e poco credibili, e forse l’effetto sorpresa sul finale è dovuto principalmente a questo. La Läckberg usa poi una tecnica narrativa che non mi è piaciuta affatto; alcuni indizi vengono rivelati solo ai personaggi: il lettore, pur sapendo che la protagonista ha scoperto qualcosa di importante ai fini della risoluzione del caso, non sa cos’è, può solo fare congetture. 
Chi legge non possiede dunque gli stessi elementi di chi investiga – se non sul finale – e a lungo andare questo irrita, come se l’autore in qualche modo giocasse sporco. Inevitabile il confronto con Agatha Christie, cui la Läckberg è stata paragonata. La regina del giallo classico, colei cui la maggior parte degli scrittori di gialli si ispira, era solita invece non nascondere alcun dettaglio ai suoi lettori: nei suoi romanzi si giocava ad armi pari, lettore e investigatore avevano le stesse possibilità di scoprire l’assassino, eppure raramente il primo ci riusciva.Al di là di questo, il paragone con la Christie mi sembra quasi un’eresia, così come sinceramente fatico a comprendere il successo di un romanzo che, pur gradevole e proveniente dalla Svezia, è ben lontano dai livelli di Stieg Larsson.
Voto: 3/5

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