La produzione di oppio in Afghanistan: tra economia nazionale e traffici internazionali

Creato il 07 aprile 2012 da Bloglobal @bloglobal_opi
di Stefano MartellaQuando si parla di Afghanistan l’aspetto che spesso rischia di passare in secondo piano è il maggior settore economico del Paese stesso: la produzione di oppio e il conseguente traffico internazionale del prodotto.

L’importanza dell’oppio per l’economia afghana e la distribuzione delle colture

Nel 2008 l’Afghanistan, superando la Birmania, è divenuto il più grande produttore mondiale di oppio con circa il 93% della produzione globale, con un fatturato annuo di 65 miliardi di dollari. Basterebbe questo dato per comprendere che la coltivazione di papavero da oppio riveste un ruolo centrale nell’economia nazionale. Sempre nel 2008 il totale dei guadagni dei coltivatori è stato di circa 723 milioni di dollari, pari al 7% del PIL del Paese. Ancora più eloquente è il dato relativo alle esportazioni del prodotto che riguardano una quantità di 900 tonnellate di oppio e 400 di eroina l’anno: ad esempio, nel 2007 il valore delle esportazioni è stato di 4 miliardi di dollari, equivalente al 53% del PIL.Dietro la coltura di questo tipo di papavero c’è un’economia diffusa capillarmente, in particolare nelle zone sud-occidentali del Paese, e che coinvolge una cospicua fetta degli abitanti: nel 2007 il 10% della popolazione era legata a tale attività economica. Il 98% delle coltivazioni è concentrato nelle 7 provincie a sud e a ovest del Paese: Helmand, Kandahar, Uruzgan, Zabul, Farah,Day Kundi, Nimroz. Particolarmente importante è la regione dell’Helmand, che se fosse uno Stato nazionale sarebbe il primo produttore mondiale di oppio. Dal 2002 ad oggi la coltivazione di papavero in questo territorio è più che triplicata ed attualmente vi è realizzato il 42%della produzione totale mondiale; da solo l’Helmand produce più oppio dell’intera Birmania.

Zone di coltivazione dell’oppio – Fonte: UNODC

La concentrazione delle piantagioni nella zona meridionale e occidentale dell’Afghanistan non è casuale, ma coerente con le principali vie del narcotraffico verso il Pakistan e l’Iran. La maggior parte del prodotto esce dall’Afghanistan da est e viene portato verso il Pakistan, in cui sono numerosi i laboratori per il raffinamento e la produzione di eroina. Da qui l’eroina segue principalmente due strade: la prima rientra in Afghanistan, per poi passare in Iran, e raggiungere l’Europa attraverso la Turchia o l’Iraq; la seconda passa, invece, a sud, direttamente per l’Iran, dal quale a sua volta si dirama verso l’Africa, la penisola arabica o di nuovo verso nord e dunque verso il “vecchio continente”. Una terza rotta conduce a nord verso il Tajikistan, da dove raggiunge la Russia.

Rotte dell’oppio. Fonte: Terra

Le principali ipotesi per contrastare la coltivazione di oppioPreliminarmente bisogna considerare un aspetto: l’economia dell’oppio rappresenta un sostentamento per centinaia di migliaia di famiglie, che molto spesso non sono coinvolte nella ribellione talebana. La produzione di oppio è quindi l’unica alternativa per provvedere alla loro sopravvivenza; inoltre, per l’azione internazionale l’appoggio della popolazione è un fattore decisivo. Interventi mirati alla distruzione delle coltivazioni impoverirebbero, dunque, una grossa fetta della società afghana, mettendo a repentaglio l’efficacia e la reputazione dell’operazione internazionale. Detto questo, le principali ipotesi prese finora in considerazione sono: 1) l’estirpazione delle piantagioni; 2) incentivi per coltivazioni alternative destinati agli agricoltori locali; 3) l’implementazione del progetto “Poppy for Medicine” che prevede l’uso delle coltivazioni di papavero per la produzione di medicinali a base di oppio, come la morfina, contrastando cosi il narcotraffico ed evitando al tempo stesso di estirpare le piantagioni.L’oppio, i Talebani e il terrorismo internazionaleÈ pur vero che in Afghanistan vi è una stretta correlazione tra la produzione di oppio e l’insurrezione talebana: tale economia, infatti, finanzia la ribellione e gli insorti hanno tutta la convenienza a creare le condizioni necessarie a proteggere e a sviluppare questo business. Secondo quanto dichiarato dall’United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), nel 2009 i guadagni ottenuti dai Talebani grazie al commercio di oppio si sono aggirati intorno ai 125 milioni di dollari. Nelle zone di coltivazione i Talebani trattengono circa il 10% del raccolto ai contadini: quest’ ultimi in cambio hanno garantiti sicurezza e ricavi. Le rendite aumentano se aggiungiamo il pizzo imposto ai laboratori che raffinano l’oppio in eroina. Inoltre Talebani e gruppi legati ad Al-Qaeda estraggono fondi dal mercato degli oppiacei in Pakistan.Antonio Maria Costa è stato direttore dell’UNODC dal 2002 al 2010 e sul legame tra narcotraffico e ribelli ha dichiarato: “il coinvolgimento diretto dei Talebani nel traffico di droga permette loro di finanziare una macchina da guerra sempre più complessa e geograficamente vasta. I narco-cartelli che proliferano oggi in Afghanistan e nei Paesi vicini, stanno annullando la distinzione tra affari e ideologia”. Inoltre esprime una perplessità: “sorprendente è il fatto che i grandi trafficanti di droga legati agli insorti, sono noti ai servizi segreti di mezzomondo. Eppure i loro nomi non sono stati denunciati al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come stabilito dalla risoluzione 1735. Questo faciliterebbe il bando ai loro viaggi ed il sequestro dei loro beni”. Tuttavia il denaro ottenuto dalla droga non alimenta solola causa dei Talebani, ma anche i gruppi terroristici nei Paesi vicini: i ribelli Baluchi, il Partito Islamico del Turkmenistan, il Movimento Indipendentista Islamico dell’Uzbekistan, e l’Organizzazione per la Liberazione del Turkistan Orientale in Cina.Anomalie nella lotta al narcotrafficoIl Rapporto “Tossicodipendenza, Criminalità eInsurrezione” stilato nel 2009 dall’UNODC ha manifestato l’esistenza di alcune singolarità nella lotta contro il traffico internazionale di oppio. Un primo aspetto importante riguarda “l’incongruenza tra l’alto volume di consumo di eroina nel mondo e il basso volume di sequestri“: solo il 20% di eroina smerciata nel mondo è stata confiscata. A monte del problema ci sarebbe lo stesso Afghanistan, dove corruzione, illegalità e frontiere aperte limitano i sequestri di droga ad un misero 2% del prodotto (rispetto al 36% in Colombia per quanto riguarda la cocaina). Inoltre, i “volumi di droga sequestrata calano in percentuale quanto più le droghe si avvicinano ai mercati lucrativi dell’Europa“. Tale realtà è paradossale se pensiamo che i Paesi più ricchi dovrebbero, teoricamente, possedere una maggiore tutela della legge. Tuttavia, i dati dimostrano il contrario: l’Iran intercetta il 20% degli oppiacei, il Pakistan il 17%, l’Asia Centrale ne sequestra solo il 5% e la Russia un magro 4%. Vanno malissimo i Paesi dell’Europa sud-orientale membri dell’UE (Romania, Grecia e Bulgaria) che intercettano meno del 2% dell’oppio. Certo è che il valore della droga raddoppia dopo ogni confine che viene superato: un grammo di eroina del valore di 3 dollari a Kabul può costare finoa 100 dollari a Londra, Milano o Mosca. Un’altra particolarità concerne il fatto che “molto più oppio viene prodotto annualmente in Afghanistan di quanto non sia consumato al mondo“: in pratica vi sono stock di oppio afghano invenduto pari a 12.000 tonnellate, abbastanza da soddisfare la domanda mondiale di eroina per più di due anni e quella di morfina per tre anni. L’ipotesi più attendibile è che i Talebani trattengano volontariamente i quantitativi, non immettendoli nel mercatoe usandoli come fondi di risparmio. Una sorta di deposito al quale attingere nei momenti di necessità.I danni dell’eroina e la disputa Nato-RussiaUn realtà tragica ed emblematica allo stesso tempo riguarda la discrepanza esistente tra “il costo umano della tossicodipendenza nei Paesi che consumano eroina, rispetto al numero dei militari morti sui campi di papavero”. Nei Paesi NATO, gli individui che annualmente muoiono per overdose di eroina afghana sono più di 10.000, ossia un numero cinque volte superiore al totale dei militari NATO deceduti in Afghanistan negli ultimi 8 anni. In Asia Centrale l’uso endovenoso della sostanza stupefacente sta producendo un’epidemia di HIV/AIDS senza precedenti, la maggiore “narco-tragedia” da un secolo a questa parte. Tuttavia, a seguito del più alto consumo d’eroina pro capite,  la Russia è il Paese più colpito, seguono Europa ed Iran. Le tre aree assorbono complessivamente l’80% della produzione afghana.In Russia il numero di eroinomani è decuplicato negli ultimi dieci anni, al punto che muoiono più Russi ogni anno in madrepatria a causa della droga afghana (più di 40.000), rispetto al numero di militari dell’Armata Russa deceduti nel decennale conflitto a seguito dell’invasione dell’Afghanistan. Alla luce di ciò il Cremlino ha avanzato un piano per coordinare un impegno internazionale denominato «Arcobaleno-2». Il progetto prevede l’eliminazione della produzione afghana tramite misure che combinano stimoli allo sviluppo economico del Paese con azioni finalizzate alla rimozione delle coltivazioni di papavero. Finora la NATO ha rifiutato di partecipare al suddetto piano. Inoltre Mosca contesta l’egemonia NATO sul territorio afghano, che di fatto impedisce alla Russia di prendere parte direttamente alla lotta contro il narcotraffico, e spinge per un’assunzione di responsabilità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il quale deve dichiarare il narcotraffico una minaccia alla pace e alla sicurezza globale. Il capo dell’agenzia antidroga russa, Viktor Ivanonv, ha affermato che esistono 180 cartelli della droga che controllano i traffici di eroina verso Mosca: “La maggior parte di questi – ha dichiarato Ivanov – operano in aree sotto la responsabilità di Stati Uniti e NATO”Ma le affermazioni più pesanti sono arrivate nel 2009 per bocca del generale russo Mahmut Gareev, che sulle pagine di Russia Today sostenne che: “i militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno 50 miliardi didollari all’anno: sono loro a trasportare la droga all’estero con i loro aerei militari, non è un mistero”. Al riguardo, già nel 2008, la stampa moscovita si occupò di queste voci che, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dalle istituzioni, sostenevano che l’eroina venisse portata fuori dall’Afghanistan a bordo dei cargo militari USA diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia. Le accuse di complicità alla NATOLa produzione di oppio in Afghanistan non è sempre stata a questi livelli: nel 2001 il mullah Omar ordinò una fatwa che vietava la coltivazione di oppiacei, in quanto questa pratica non si conciliava con i precetti dell’Islam. Il risultato fu un crollo della produzione ai minimi storici con meno di 74 tonnellate. Questa condizione non durò però a lungo e le piantagioni ricominciarono a crescere rapidamente qualche mese dopo l’entrata in scena della NATO nel Paese. Quest’avvenimento, o semplice coincidenza, ha contribuito ad alimentare i sospetti riguardo l’effettivo ruolo degli Stati Uniti nella lotta alla produzione di oppio. Secondo una parte della stampa e delle istituzioni locali gli USA sarebbero direttamente coinvolti nel commercio di droga. Uno degli esponenti più autorevoli di questa teoria è l’afghana Malalai Joya, la ex parlamentare che per le sue lotte democratiche è stata paragonata ad Aung San Suu Kyi. Nel 2010 la coraggiosa donna lanciò l’accusa: “governo e Americani sono coinvolti nel business della droga: lo scopo dell’operazione era riprendere il controllo della principale zona di produzione di oppio del Paese. I talebani e i terroristi servono agli Americani permantenere il mio Paese nell’insicurezza, così da avere un pretesto per rimanere in Afghanistanassicurandosi il controllo di questa regione strategica, vicina all’Iran, alla Cina e ai Paesi dell’Asia Centrale ricchi di gas e petrolio”. Diversi importanti media si sono occupati di queste crescenti voci: ad esempio, nel 2010 la BBC diffuse la notizia secondo cui militari britannici e canadesi trasporterebbero eroina in Europa, sfruttando la scarsezza di controlli sui voli militari di ritorno dal fronte afghano. Invece il britannico The Guardian ha dedicato un articolo sulla pratica dei militari USA in Afghanistan di occultare la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all’estero.L’oppio e le bancheDove finisce la grande quantità di denaro liquido ottenuto dai proventi del narcotraffico? Antonio Maria Costa, ha affermato che il denaro frutto dei ricavi della droga si inserisce nel circuito dell’economia legale tramite il riciclaggio. Le bande criminali, infatti, mantengono gli introiti del traffico di droga il più possibile liquidi oppure li trasferiscono in depositi bancari nei cosiddetti paradisi fiscali. Basandosi sulla vendita al dettaglio, è stato stimato che il giro d’affari del mercato degli stupefacenti si aggira intorno ai 325 miliardi. Costa riserba un ruolo particolare anche all’attuale crisi finanziaria, sostenendo che con un mercato in crisi e a corto di liquidità, il narcotraffico è stato funzionale a salvare alcuni importanti istituti di credito dal sicuro collasso. Il funzionario ha spiegato che: “Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l’unico capitale liquido da investimento disponibile.  Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga  e da altre attività illecite. E’ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi”.L’ipotesi “legalize it”Le certezze sembrano due: la prima è che il narcotraffico produce un’enorme quantità di denaro e conseguentemente di interessi. La seconda è che cinquanta anni di lotta a questo commercio sono stati, numeri alla mano, prevalentemente fallimentari. Tenendo conto di questa realtà, la soluzione è una: “sperimentare modelli di legalizzazione per tutti gli stupefacenti“. A sostenerlo è l’autorevoleGlobal Commission on Drug Policy, composta da importanti rappresentanti della politica e della cultura internazionale. Alcuni nomi della commissione sono: Kofi Annan, l’ex Commissario UE Javier Solana, l’ex Segretario di Stato americano George Shultz, il Direttore del Fondo mondiale contro l’Aids Michel Kazatchkine, il Premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa. La comunicazione ufficiale è avvenuta il 2 giugno 2011 e le proposte vanno dalla depenalizzazione per i consumatori alla richiesta che i singoli Paesi valutino la legalizzazione delle droghe. Le motivazioni dietro le richieste in questione potrebbero essere racchiuse nei seguenti punti: 1) l’emergenza droga deve essere considerata come una questione sanitaria e “i tossicodipendenti devono essere trattati come pazienti e non come criminali“, inoltre “le politiche repressive rivolte al consumatore impediscono misure di sanità pubblica per ridurre l’Hiv e le vittime di overdose“; 2) sgominare un cartello criminale significa soltanto facilitare, involontariamente, la concorrenza del cartello rivale; 3) l’oppio rappresenterà una fonte di lucro criminale fino a quando sarà illegale; 4) “cambiare radicalmente i mezzi che Stati e organismi internazionali hanno fin qui inutilmente seguito per sradicare la tossicodipendenza“. L’obiettivo su cui sta lavorando la suddetta Commissione è una petizione con milioni di firme da presentare alle Nazioni Unite. Il motto è lo stesso che utilizzò Obama durante la sua corsa alla Casa Bianca: “The time is now“.La questione dell’oppio afghano resta quanto mai aperta.* Stefano Martella è Dottore in Relazioni Internazionali (Università del Salento)

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