La proiezione cinese in Asia centrale

Creato il 16 marzo 2015 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Paolo Balmas

Un fattore che deve essere sempre tenuto in considerazione per l’analisi della politica internazionale cinese consiste nel fatto che la Cina è al contempo una potenza marittima quanto continentale. Sebbene sia comune porre l’attenzione sulle proiezioni marittime di Pechino, soprattutto in relazione alle rotte commerciali e alle dispute con i vicini Paesi orientali con cui condivide i mari, esiste un’altra dimensione altrettanto importante nella strategia geo-economica cinese: l’espansione a occidente, nella regione comunemente nota come Asia Centrale.

L’area geografica in oggetto rappresenta prima di tutto il naturale crocevia che occupa il centro del continente euroasiatico. È un’area molto vasta con una bassa densità di popolazione, che divide la Cina dall’Europa e dal Medio Oriente, la Russia dal subcontinente indiano. Inoltre, è particolarmente ricca di risorse strategiche: idrocarburi, terre rare e metalli preziosi.

Gli avvenimenti che negli ultimi anni hanno determinato la storia dei Paesi che costituiscono l’Asia Centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Afghanistan, Tajikistan, Kirghizistan), sono dovuti essenzialmente a due fattori. Il primo riguarda il tentativo della Russia di mantenere o di riconquistare l’influenza sulla regione, che si era ridimensionata drasticamente sin dal 1991 con la fine dell’Unione Sovietica. Il secondo, invece, consiste nella definitiva conclusione dell’autosufficienza energetica della Repubblica Popolare Cinese (RPC), avvenuta negli anni Novanta del Novecento.

Un approccio che segue l’ottica descritta non vuole di certo mettere in secondo piano o dimenticare la presenza della NATO e degli Stati Uniti in Afghanistan. Piuttosto, in una prospettiva storica, si comprenderà facilmente che l’intervento in Afghanistan ha avuto come principale driver la necessità delle potenze occidentali di inserirsi in uno scenario fisicamente lontano e fondamentale per gli eventi che plasmeranno il secolo che stiamo vivendo. In fondo, si può asserire il medesimo concetto anche per l’interesse mostrato dalle stesse potenze nelle rivoluzioni colorate che hanno colpito questi Paesi negli ultimi venti anni.

Se si considera il fattore energetico, la proiezione continentale cinese assume un significato ben preciso. L’obiettivo primario consiste nell’agevolare l’aumento del volume di produzione e facilitare il trasporto di idrocarburi per assicurarsi una vicina fonte terrestre, più economica, per l’approvvigionamento di gas e petrolio. Le mire di Pechino, per diversi anni, sono coincise con quelle di Mosca. La strategia russa, infatti, consisteva, e consiste ancora, nel porre un controllo più o meno diretto sul mercato energetico della regione.

Tuttavia, la competizione fra Russia e Cina si è trasformata di recente in una forma di cooperazione. In seguito al patto siglato fra le due, lo scorso maggio 2014, che fissa la fornitura di gas russo (siberiano) alla RPC, Mosca e Pechino hanno tracciato le linee di un’intesa che va ben oltre il solo settore degli idrocarburi. Entrambe si incontrano sul terreno dell’espansione continentale e stanno definendo i confini di un proprio impegno complementare a quello dell’altra.

Attualmente, la Cina importa petrolio dal Kazakistan attraverso un oleodotto inaugurato nel 2009 con un capacità di circa 200.000 barili al giorno (b/g). Nel 2011 è stato calcolato che circa il 20% del greggio kazako era destinato alla Cina. Nel frattempo la produzione è aumentata, compresa la quantità di petrolio esportato alla Cina, che consisteva nel 2013 a circa il 15% del totale (più di 240.000 b/g). La capacità a cui si vuole arrivare è di 400.000 b/g, ovvero la metà del potenziale calcolato alla fonte. Il greggio proviene da due bacini: Tengiz e Korolev. Il primo, il più grande del Paese e situato sulle sponde settentrionali del Mar Caspio, è controllato da Tengizchevroil, un consorzio costituito da Chevron, ExxonMobil, Kmg e LukArco (associazione di LukOil e BP). La China National Petroleum Corporation (CNPC) possiede varie partecipazioni in molti dei bacini presenti in tutto il Paese. Tuttavia, la maggior parte del petrolio kazako (circa il 75%) è ancora esportato verso l’Europa attraverso la Russia.

Dal Turkmenistan, invece, la Cina importa gas naturale. Il gasdotto costituito da due linee parallele, inaugurato anch’esso nel 2009, trasporta circa 30 miliardi di metri cubi l’anno. Una terza linea è in costruzione e la capacità totale potenziale è di 65 miliardi di metri cubi. Non si comprende ancora quanto tempo servirà a raggiungere tale portata. L’infrastruttura attraversa l’Uzbekistan e il Kazakistan. Il progetto prevede un ulteriore apporto di gas da entrambi questi Paesi, per un totale di 15 miliardi di metri cubi.

Sviluppo delle infrastrutture tra Cina e Asia Centrale – Fonte: Stratfor

Nel 2012, la Cina produceva con il gas naturale solo il 4% del fabbisogno totale di energia. La percentuale è in continua crescita. Soprattutto, questo dato deve essere analizzato tenendo conto del fatto che Pechino ha intrapreso una politica energetica volta a sostituire gradualmente il consumo di carbone, che nel 2013 aveva un’incidenza del 75% sul totale di energia prodotta. Ciò vuol dire, innanzitutto, che l’approvvigionamento di gas è al centro di tale politica, al fine principale di cambiare la fonte di produzione dell’energia elettrica. È stato calcolato che la domanda di gas per il 2020 sarà di oltre 300 miliardi di metri cubi. Quindi, si comprende quanto l’espansione in Asia Centrale e in Turkmenistan in particolare, sia di vitale importanza per la RPC. Altri progetti, infatti, sono in fase di studio. Fra questi, un nuovo gasdotto che dal Turkmenistan attraverserà l’Uzbekistan o l’Afghanistan per giungere in Cina attraverso il Tajikistan, un percorso molto più breve di quello già esistente.

Il successo di Pechino nell’operazione di pianificazione e costruzione del doppio gasdotto Turkmenistan-Cina, realizzato fra il 2006 e il 2009, dimostra le capacità e le potenzialità della politica cinese in Asia Centrale. L’Unione Europea è in trattative da molto più tempo con il Turkmenistan e ancora non ha finalizzato il progetto che dovrà portare il gas turkmeno attraverso il Southern Corridor fino in Grecia.

Come già detto, la proiezione della Cina in Asia Centrale non riguarda solo gli idrocarburi. Le risorse minerarie, ad esempio, costituiscono un altro mercato che interessa Pechino, quanto molti altri attori a livello mondiale. L’obiettivo a cui si sta puntando è quello di realizzare un enorme complesso di infrastrutture, necessarie per trasportare le materie prime fuori dalla regione. La rete di trasporto che ne risulterà avrà prima di tutto il compito di unire i Paesi centrali ai porti meridionali dell’Iran e del Pakistan, per mezzo di ferrovie e di autostrade. Il passaggio di queste arterie attraverso l’Afghanistan (che dovrà ospitare anche il gasdotto TAPI che correrà dal Turkmenistan all’India), fa intuire il motivo per cui la Russia, l’India e la Cina vogliono vedere la stabilità di quel Paese.

Silk Road Economic Belt – Fonte: Xinhuanet.com & Barclays Research

Il sogno di Pechino è di far rivivere l’antico splendore della Via della Seta attraverso il progetto definito Silk Road Economic Belt. La portata del complesso infrastrutturale, che molte compagnie cinesi hanno cominciato a finanziare e costruire, è stata rivelata dalle parole del Presidente Xi Jinping quando l’ha definita una via che congiungerà l’Oceano Pacifico al Mar Baltico. Una via che si snoda attraverso 18 nazioni asiatiche ed europee e coinvolge una popolazione di circa tre miliardi di persone.

In Asia Centrale e nella regione meridionale (Iran, Pakistan), alla fine del 2014, erano già 24 le città che hanno aderito al progetto. Le vie di trasporto saranno accompagnate da tutte le infrastrutture necessarie allo sviluppo dei centri abitati che toccheranno: dalla rete elettrica a quella telefonica; dighe e centri di stoccaggio per le merci; aeroporti e acquedotti. Sono stati realizzati, inoltre, progetti di sviluppo industriale e agricolo in varie aree.

Tuttavia, sono varie le questioni che preoccupano Pechino. Innanzitutto, vi sono le tensioni riguardanti le dispute territoriali dell’area, fra Pakistan e India, fra quest’ultima e la Cina stessa. Inoltre, vi è l’Iran che in futuro potrebbe acquisire un ruolo molto più attivo nella regione, date le potenzialità che porta in sé; soprattutto in vista di una risoluzione sul proprio programma nucleare e di una eventuale distensione con le potenze occidentali. Si scorge, poi, lo spettro dell’IS che ha già minacciato di diffondersi fra i Paesi dell’Asia Centrale e che porterebbe con sé una forte spinta destabilizzatrice. Infine, ci sono anche i talebani che continuano a operare in territorio afghano e pachistano.

In particolare, però, Pechino è concentrata sulla stabilità della provincia occidentale dello Xinjiang. Posizionata proprio al confine con i Paesi dell’Asia Centrale, essa costituisce l’ingresso delle arterie energetiche e commerciali continentali della Cina. La regione è abitata da una popolazione musulmana all’interno della quale si sono sviluppati gruppi terroristici separatisti che hanno portato più volte i loro attentati fino alla capitale. È noto che qualche decina di militanti dell’Isis è costituita da abitanti dello Xinjiang. Il governo di Pechino si aspetta che le attività di questi, una volta rimpatriati, possano mettere a rischio le infrastrutture e la stabilità della provincia. Non per questo la Cina smetterà di rincorrere il sogno di un’espansione commerciale a occidente.

Malgrado i rapporti con la Russia si siano più o meno stabilizzati, l’intelligence di Pechino rimane comunque attenta alle dinamiche che si creano fra i Paesi dell’Asia Centrale e Mosca. Bisogna ricordare che dal 1° gennaio 2015 è stata inaugurata l’Unione Economica Euroasiatica (UEE), guidata da Mosca e di cui il Kazakistan fa già parte. L’influenza russa sull’intera regione è assicurata sotto vari punti di vista: politico, militare e, non ultimo, dalla presenza di imprese come Gazprom e LukOil. Ma l’economia di Astana, come le altre dell’area, risente del crollo del prezzo del petrolio e della caduta del rublo. Il Presidente kazako Nursultan Nazarbaev, di recente (11 marzo 2015), ha chiesto una revisione del sistema tariffario della UEE. Vladimir Putin, forte della sua assenza dalla scena politica di quei giorni (i media parlavano di problemi di salute, mai confermati), ha posticipato l’incontro che era fissato per il giorno successivo.

Il dubbio che sorge è se la crisi degli idrocarburi e del rublo non possano avere una ricaduta negativa sulle politiche di sviluppo dell’Asia Centrale e sommarsi ai fattori capaci di modificare l’assetto desiderato da Mosca e in particolare da Pechino.

* Paolo Balmas è Dottore in Lingue e Civiltà Orientali (Università La Sapienza, Roma) e membro del Consiglio Direttivo di Istrid Analysis

Photo credits: David Benyon

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