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"La proprietà" di Rutu Modan: oltre la Shoah

Creato il 12 marzo 2014 da Michelam
È notte. Due donne si aggirano in un cimitero grigio, illuminato solo da lampade votive. Sullo sfondo si solleva un immenso scenario blu-notturno. Si distinguono bene gli abiti e i volti dell'anziana signora e della sua giovane accompagnatrice. Forse dialogano tra loro o forse cercano qualcosa (magari noi, che stiamo per ascoltare la loro storia). Le loro sagome infatti sono colorate, come le lampade, unico segno di vita sulle tombe grigie che paiono contaminare le altre figure presenti sulla scena, ritratte di schiena o di lato. Sembra di essere di fronte a due mondi contrapposti: l'uno percorso da una linfa vitale non prosciugata dal ricordo; l'altro assorbito e oppresso dal colore cupo del passato. Ricordare si deve: ce lo dicono le lampade votive multicolori. Ma "come ricordare?" sembra la domanda che la scena intende suscitare, fornendo al tempo stesso la risposta anche grazie allo sfondo che accampa, quasi fosse un personaggio, una natura intricata ma ordinata secondo una propria geometria, e protesa verso l'alto per i tronchi sottili, alti e solidi del bosco colorato del blu della riflessione e del ripiegamento.   È questo mondo di contrasti che leggo sulla copertina di La proprietà di Rutu Modan (Rizzoli Lizard, 2013, nella traduzione di Daria Barchi Merlo), graphic novel che si è aggiudicata il Premio Gran Guinigi 2013 a Lucca e il Premio Speciale della Giuria ad Angoulême 2014.
Dopo Unknown/Sconosciuto e Il passato è passato (Coconino Press, rispettivamente 2006 e 2008), è l'ennesimo riscontro positivo per la fumettista e illustratrice israeliana, che lavora da una ventina d'anni per riviste, quotidiani e libri per bambini. Ma si sa che anche i libri per l'infanzia e l'adolescenza possono avere qualcosa o molto da dire agli adulti. Credo che ciò valga anche per La proprietà.
  Apro il volume e mi ritrovo al gate di un aeroporto israeliano, dove una nonnina vivace e testarda si ostina a non consegnare al funzionario la sua bottiglia d'acqua. «Per favore, butti la bottiglia nel cestino. Mi dispiace, sono le misure di sicurezza», le dicono. Ma lei l'ha pagata, quella bottiglia. Allora, nonostante le proteste dei viaggiatori in attesa, pur di non darla vinta, se la beve tutta. Poi eccomi nel caos di un aereo pieno di studenti esagitati e urlanti in viaggio per la Polonia della Shoah. E mi accorgo di sentirmi a mio agio in questa graphic novel che presenta situazioni così familiari, quando mi sarei aspettata l'usuale clima testimoniale.   Poi la vicenda inizia a snodarsi, e la scopro ingarbugliata, anche se di nuovo manca ogni traccia di esotismo o eccezionalità: tutto ciò che accade sembra appartenere a una dimensione di comunissima quotidianità. Però i segreti, gli imbrogli, i raggiri, i doppi fini ci sono, sebbene alleggeriti dall'ironia e dall'umanità che sono tra i segnali più evidenti dell'intento pedagogico del romanzo.   In ogni caso, quello che sembra certo è che la nonnina, Regina Segal, è tornata nella sua Varsavia per riprendere possesso della proprietà dei suoi ricchi genitori. La giovane Mica che l'accompagna è sua nipote, che ignora il vero fine del viaggio. Intorno a loro, pare ci siano personaggi interessati all'“affare”. C'è chi desta sospetto, tanto è maldestro mentre insegue le protagoniste per le vie della città. C'è chi sembra solo voler rubare storie private e raccontate in piena fiducia col fine di trasformarle in un fumetto avvincente. Pare ci sia in ballo anche un'occupazione indebita della proprietà. Malintesi e silenzi si intrecciano così in una tragedia degli equivoci, perché poco o nulla è ciò che appare. La verità, che solo Regina conosce, affonda in un passato lontano. La Shoah non ne è che lo sfondo. La “catastrofe” collettiva c'è stata, ma nella Proprietà, e per Regina, a contare è una ferita personale originata dalla diffidenza tra polacchi ed ebrei. Tutt'altra storia o quasi, insomma, rispetto a quella che mi sarei aspettata.   È che, per Rutu Modan, dopo la Shoah la vita è continuata. L'israeliana Mica trova infatti un fidanzato il quale non è «von unserer» (uno di noi), dice la nonna, che però concede il suo benestare. Quanto a Regina, è lei stessa, con accettazione serena, a precludersi una storia d'amore: «Quante volte si può ricominciare una vita?». Parole di un'anziana saggia, non stanca né sfiduciata o amareggiata. “Dov'è insomma la Shoah e il dramma di chi vuole recuperare le proprietà di famiglia?”, viene da chiedersi.   Rutu ModanIn effetti riferimenti alla Shoah non mancano, ma, di nuovo, sono lontani dalle aspettative di un lettore europeo. Mica incappa in una situazione grottesca: viene travolta per strada da una troupe che sta inscenando un rastrellamento; è anzi scambiata per un'ebrea da deportare. Ma non ne rimane scossa. L'organizzatrice della Società per la Commemorazione degli Ebrei interviene e si scusa. Spiega che «le ricostruzioni sono tra le loro nuove attività. La generazione di internet non è interessata alle solite vecchie mostre. Vogliono provare le cose di persona». Chiarito il reality... Mica procede oltre.   Regina si reca invece a una sorta di cinematografo in cui si proiettano immagini della vecchia Varsavia. Ma lei non vuole vederle. Lei vuole le immagini che guardava quando era giovane e abitava felice nella sua città ancora integra: le foto della Svezia mitizzata in cui amava perdersi.   Mica e Regina visitano anche il cimitero, ma il loro spirito è ben diverso da quello che il lettore si attenderebbe. Proprio qui, non a caso, Rutu Modan colloca uno dei migliori episodi comico-grotteschi della Proprietà. E proprio qui avviene la rivelazione di segreti personali che svelano le reali motivazioni di quella che sembrava pura avidità. La natura degli uomini è sensibile, se appena si scava un po'.   Il titolo del romanzo a fumetti, poi, è l'inganno primario, che ingloba e riassume tutti i fraintendimenti, voluti o meno che siano: la proprietà non è un edificio di cui riprendere possesso, ma la memoria, custodita in modo geloso e dignitoso, di un passato che Regina ha saputo affrontare e superare.
Attraversando registri vari (dal comico al sentimentale e al tragico), utilizzando flashback e gestendo la pluralità dei punti di vista tramite una struttura narrativa e una grafica efficaci, La proprietà rivela la solida capacità affabulatoria della fumettista israeliana, ma ci propone anche un modo diverso di guardare alla Shoah, tanto da parte dei sopravvissuti e dei loro familiari, come Regina e Mica, quanto da parte delle società civili. Conoscere, studiare e condividere serve. Immergersi periodicamente nel ricordo di una tragedia privata, no. E rischiano di perdere il loro significato anche le commemorazioni come quelle che affollano il Giorno della Memoria, la cui utilità e il cui valore forse oggi sarebbero da ridiscutere. Quelle commemorazioni contro cui si è scagliata
Elena Loewenthal nel suo Contro il giorno della memoria. Una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato (add editore, 2014).   Credo che Elena Loewenthal e Rutu Modan abbiano qualche opinione in comune. La memoria è una proprietà privata che può e a volte deve diventare collettiva. Ma non può e non deve diventare una prigione. Forse è ora di andare avanti, prendendo una sana distanza da eventi tragici di cui è necessario comprendere la portata storica e culturale, ma che certo non richiedono una rivisitazione periodica retorica o falsata, magari alimentata da un buon senso per gli affari.     (già qui: http://www.sulromanzo.it/blog/la-proprieta-di-rutu-modan)

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