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La prosperità della crisi

Creato il 08 settembre 2014 da Francosenia

lavoro morto 6

Crisi e Critica
- Il limite interno del capitale e le fasi di avvizzimento del marxismo -
di Robert Kurz

Un frammento

Nota: Il 10 febbraio del 2010, Robert Kurz inviò per email alla redazione di EXIT! un testo, accompagnato dalle seguenti parole: "Insieme alla prima parte del progetto del libro più piccolo, Crisi e Critica, stralciato dal precedente progetto Lavoro Morto, per discuterlo nel prossimo incontro. Si può rimuovere dalla prefazione e dall'introduzione tutto ciò che si considera necessario". Dopo l'incontro, il testo è stato fatto oggetto di piccoli aggiustamenti da parte della redazione e non è stato mai modificato dal maggio del 2010. Come viene spiegato nella prefazione del suo ultimo libro, Denaro senza Valore, Robert Kurz aveva deciso di scrivere una serie di libri a partire dal progetto originale del libro di grandi dimensioni, Lavoro Morto. L'unico che ha potuto realmente terminare, è stato Denaro senza Valore, che è apparso nelle librerie pochi giorni dopo la sua morte. Crisi e Critica sarebbe stato un altro libro di questa serie. Dei 36 capitoli previsti - inclusi l'introduzione e l'epilogo - Robert Kurz ha avuto il tempo di scriverne 10.

* Prefazione * Introduzione * 1. La teoria della crisi nella storia del marxismo * 2. Il capitale va molto bene. Ignoranza situazionista della crisi come mancanza di dimensione storica del tempo * 3. Mitizzazione della teoria del crollo * 4. I cavalieri dell'apocalisse * 5. Psicologismo per i poveri * 6. Bisogna criticare il capitalismo solo per mancanza di funzionalità? * 7. Crisi ed emancipazione sociale * 8. Excursus: la dissociazione-valore fa del feticcio il creatore di un mondo di marionette? *  9. La crisi come rapporto soggettivo di volontà *

Altri capitoli previsti ma non scritti:

10. Il capitalismo come eterno ritorno dello stesso * 11. Empirismo storico: l'ammirevole flessibilità della logica di valorizzazione * 12. Ritorno alla brutta normalità? * 13. La crisi come mera "funzione di aggiustamento" delle contraddizioni della circolazione? * 14. Excursus: l'indebolimento e l'abbandono parziale "critico del valore" da parte della teoria radicale della crisi * 15. Sempre nuovamente il "problema della realizzazione" * 16. La crisi dev'essere piccola o grande? Il concetto ridotto del sistema * 17. Il percorso del biocapitalismo? * 18. Riduzionismo ecologico * 19. Capacità di sopravvivenza del capitale individuale ovvero un capitalismo di minoranza? * 20. Il carattere dell'economia postmoderna delle bolle finanziarie * 21. Excursus: critica riduttiva del mercato finanziario, anti-americanismo e antisemitismo strutturale * 22. L'ultima risorsa ovvero la fede nel miracolo di Stato * 23. Un'illusione democratica * 24. La questione della proprietà erroneamente collocata * 25. Keynesismo di sinistra ovvero la riduzione della teoria del sub-consumo * 26. La guerra come soluzione per la crisi? * 27. La crisi sposta solo i rapporti globali di potere? * 28. Il sesso della crisi * 29. La mancanza della critica categorica * 30. Sintesi sociale e socialismo * 31. Excursus: "Forma embrionale" - un grave malinteso * 32. Cos'è un mediatore? Criteri di immanenza sindacale * 33. Carnevale di "lotte" e pacifismo sociale da ideologia a alternativa * 34. Come Herr Biedermeier aggiusterebbe bene tutto * Epilogo *

Lavoro Morto marx-engels-gris

2. Il capitale va molto bene. Ignoranza situazionista della crisi come mancanza della dimensione storica del tempo

La nuova teoria radicale della crisi può fare, in ogni caso, riferimento al processo empirico della terza rivoluzione industriale. Il discorso del marxismo residuale, in senso stretto, sulla teoria della crisi non è sopravvissuto alla prima metà degli anni 1980, mentre la nuova crisi mondiale, da allora, ha continuato, di fatto, ininterrottamente, pur non essendo percepita categorialmente come tale. Una tale situazione può essere formulata come un paradosso storico: l'insieme della sinistra non è riuscita ad impegnarsi in una teoria della crisi di Marx proprio nel momento in cui si dava inizio ad un nuovo processo di crisi reale.
Responsabile di questo, è stata soprattutto una griglia di interpretazione nel quale il problema della crisi si poneva solo dal punto di vista della disintegrazione sociale e dell'impoverimento, o da un'amministrazione della povertà sempre più repressiva, ma non come simultaneo limite interno allo logica della valorizzazione. Al contrario, "per il capitale" le cose sarebbero andate ogni volta meglio, per mezzo di profitti esorbitanti; nel caso di paralisi (ripetutamente minimizzate) dell'accumulazione reale, si sarebbe trattato solo degli "abituali processi di recupero capitalista" (Eberman/Trampert, 1995) che presto si sarebbero di nuovo convertiti in prosperità: "Dopo molteplici correzioni il mercato mondiale vola di nuovo alto. L'IFO (N.d.T.:Istituto per la Ricerca Economica di Monaco) ha affermato che si tratta dell'inizio di una lunga fase di recupero".
Lo stesso gioco si ripete nelle congiunture globali di disavanzo che non vengono riconosciute come tali alla fine degli anni 1990 e a partire dal 2004. Anche la cosiddetta "Critica anti-tedesca del valore" si sbilancia affermando che "le sentenze categoriche ... sul verificarsi del crollo del capitale senza che per questo ci sia alcun fondamento logico o storico (in ogni caso, nemmeno empirico, poiché il capitale sta bene come non stava da tempo) ..." (Initiative Sozialistisches Forum 2000). Così, i critici aristocratici dell'ideologia vedono soltanto in forma grossolanamente ideologica "che attualmente la situazione è straordinariamente buona per il capitale, sia in modo sostanziale(!) che formale(!)". E' da notare come qui, i rappresentanti di un'autoproclamata ortodossia di Adorno, cadano nello stesso positivismo volgare in cui cadono i noti politicanti del vecchio radicalismo di sinistra, non appena vengono messi davanti alla situazione di dover mantenere quella tensione, richiesta da Adorno, fra teoria ed empirismo. Pretendono ostinatamente di contrapporre alla teoria radicale della crisi proprio la plausibilità apparente, non mediata da fenomeni superficiali temporanei ed empirici.
Inoltre, il fatto che si affermi che la situazione sia "straordinariamente buona per il capitale", non solo empiricamente, ma anche e soprattutto "sostanzialmente" - in piena sintonia col marxismo del momento operaio al suo meglio - suggerisce allo stesso tempo l'inesauribilità del "lavoro". Sotto questo punto di vista va osservata anche la solidarietà con i marxisti politici concettualmente deboli che si irritano per "tutte le affermazioni circa il fatto che il capitale avrebbe terminato la sua produzione sufficiente di plusvalore". E' proprio in questo senso che va intesa la voce che si leva dalla "Nuova lettura di Marx": "La 'creazione di valore reale' che Kurz vede sparire, prosegue allegramente, nonostante la crescente disoccupazione" (Heinrich, 2000). Implicitamente, salta anche all'occhio come spontaneamente, in tali schemi di ragionamento che sono comuni alle diverse posizioni, si formi un blocco del marxismo residuale nei confronti della critica radicale dell'ontologia del lavoro tradizionale. In un tale coro, non poteva naturalmente mancare la voce del post-operaismo. Michael Hardt e Antonio Negri, nel loro best-seller mondiale "Impero", in modo già quasi allegramente positivista che "Ora, mentre scriviamo questo libro ed il XX secolo volge alla fine, il capitalismo gode ammirevolmente di buona salute e di robusta accumulazione come non mai".
E' evidente, in tutte queste affermazioni qui riprodotte a titolo di esempio, che negli ultimi anni si è persa la timidezza, in particolare da parte di quelli che argomentano senza avere come base la teoria dell'accumulazione, o che è presente solo in modo frammentario nei momenti di riflessione, per lo meno per quanto riguarda la teoria della crisi. Sotto questo aspetto, le categorie di Marx sono state maltrattate in maniera decontestualizzata, mentre il ragionamento, in caso di dubbio, offre, in maniera puramente positivista, delle pretese prove empiriche, o perfino delle mere valutazioni e previsioni fatte dagli istituti economici o dai portavoce manageriali. Si può parlare a ragione di fase di appassimento dei vecchi discorsi marxisti sulla teoria della crisi, nei quali subentra, in luogo di un'analisi sistematica, una combinazione di "punti di vista" irriflessivamente ideologici e di fatti superficiali incollati indiscriminatamente.
Questa specie di "valutazioni" superficiali si trovano proprio in Michael Heinrich, non una volta sola, ma periodicamente. Anche per lui, lo sviluppo degli anni a partire dal 1990, e dopo il 2000, insieme ai momenti ivi inclusi delle crisi finanziarie e congiunturali particolari, rappresentano solo il su e giù decontestualizzato dei "soliti" cicli e cambiamenti strutturali capitalisti. E' questo che costituisce la sua comprensione fondamentale del capitalismo: "Prosperità e crisi si alternano costantemente nel capitalismo, rimanendo in questo su e giù delle tendenze di espansione e approfondimento del capitalismo, che sono ben lontano dall'aver raggiunto la fine" (Heinrich, 2007).
Così viene vista anche la crisi delle dot-com (società di servizi) dopo il passaggio del secolo: "Negli anni dal 2001 al 2003 abbiamo avuto un crisi di questo genere... Comunque, essa è stata superata, una volta che i profitti sono nuovamente cresciuti, e questo già da due anni" (Heinrich, 2006). Anche qui, fatti empirici temporanei vengono presi fuori dal loro contesto: "L'economia cresce come non mai; il numero dei disoccupati diminuisce, la riscossione delle imposte aumenta...Quello che potrebbe avere effetti a lungo termine è la crescita di investimenti in beni strumentali" (ibidem). Un anno dopo ipotizza quasi enfaticamente un'opportunità globale basata sul deficit senza riuscire a percepire il suo carattere precario: "Profitto senza fine. Il capitalismo è appena cominciato" (Heinrich, 2007). Il positivismo di Heinrich si manifesta con queste percezioni e questi pronostici; egli vede solo una successione di fenomeni dove si alternano recessione e recupero, eventi e movimenti. Ma per lui, non esiste la coerenza di un determinato sviluppo storico del capitale dopo la fine della prosperità fordista, il cui riflesso sarebbe consentito solo dall'ordine dei fenomeni oscillanti in un contesto superiore (19).
E' naturale che così non possa essere compresa l'unità storica del processo di crisi globale della terza rivoluzione industriale. Il contesto interno di questo processo si risolve, al contrario, nei suoi fenomeni individuali interpretati arbitrariamente (alla maniera postmoderna), ossia, in forma di sviluppo percepito senza contesto storico. Questo avviene secondo il senso comune borghese ordinario con il suo orizzonte temporale ridotto, per il quale non è concepibile un processo di sviluppo che ecceda metà della vita di una persona. Quello che rimane nei dibattiti di sinistra è proprio solamente la precarizzazione sociale, confusa con una presunta marcia trionfale del capitale mondiale. Per cui dopo gi anni 1990 e per lo meno dopo Hartz IV (N.d.T.: sussidio statale per i disoccupati, in Germania), il paradigma debilitato della lotta di classe ha avuto un nuovo boom; tuttavia, in questa sua versione postmoderna, contagiata frequentemente soprattutto dagli interessi immanenti della classe media minacciata dalla sua caduta, è stata usata proprio contro la nuova teoria radicale della crisi.
L'esplosione della crisi dopo l'autunno del 2008, fondamentale e apparentemente imprevista - ma che in realtà si preparava da molto tempo e che conferma, come mai prima, nella pratica la tesi di un limite interno storico - è stata, per così dire, una doccia fredda, tanto per la sinistra marxista residuale e post-marxista quanto per le élite capitaliste. Questo vale una volta di più anche per Michael Heinrich, che ancora nell'estate del 2008 constatava in modo lapidario: "Ancora una volta c'è una nuova crisi ..." (Heinrich, 2008), che pretendeva di interpretare come al solito in forma fenomenologicamente riduttiva, nel senso che anche questa come le altre precedenti poteva raggiungere "la fine in tempi relativamente brevi"; e, di fatto, perfettamente nel senso dei pronostici ufficiali degli istituti economici e dei governi, senza profonde conseguenze, perché secondo la sua affermazione "... questa recessione ha avuto effetti relativamente minuscoli sull'economia mondiale. Sebbene le previsioni di crescita devono essere corrette verso il basso anche in Europa, e particolarmente in Germania, la questione è che dopo il 'recupero' degli ultimi anni era necessario fare i conti un qualche modo con una recessione" (Heinrich, 2008).
Il modo positivista di pensare non era semplicemente nella posizione di percepire che il processo storico di crisi aveva raggiunto una nuova dimensione, le cui forme di sviluppo rappresentano una rottura qualitativa; perfino nella percezione della stessa scienza economica borghese. Questo getta una luce particolare sulla dichiarazione fatta da Heinrich due anni prima: "(Chi) fantasticava di una pura recessione, anche ora ... è caduto nel ridicolo" (Heinrich, 2006). In realtà, chi è caduto nel ridicolo è stato proprio Heinrich. Anche se la nuova dimensione della crisi non significa che il capitalismo si disfa immediatamente, nell'attuale orizzonte temporale, in una qualche maniera che nessuno ha mai affermato, le "valutazioni" qui riportate, fenomenologiche in maniera decontestualizzata, si rivelano essere una fantasmagoria positivista, avente come sfondo una diversa circolazione del capitale supposto come "normale".
In ogni caso, per la prima volta si manifesta chiaramente il fantasma di un crollo imminente; e la parola proibita viene dolorosamente pronunciata dalle bocche degli intimoriti capi degli istituti economici, dal presidente degli Stati Uniti e dal ministro tedesco delle finanze, che fino ad allora avevano fatto degli sforzi disperati per esorcizzarla. Ce lo racconta il fatto che fra le élite del capitale si è diffusa l'idea che i manuali di economia sarebbero di scarsa utilità. Ma a quanto pare la sinistra, nelle sue diverse correnti, pretende che tutto continui ad andare liscio come al solito, come se non fosse successo nulla. Dovrebbe almeno ammettere che, con tutti i suoi giudizi circa la convenienza dello stato di cose capitalista, si è trascurata la questione e dovrebbe restare senza parole. Ma a quanto pare, la sinistra crede nel capitalismo molto più di quanto ci credono i suoi guardiani ufficiali.
Ma sono proprio i rappresentanti di una critica del capitalismo pretesamente radicale, a trovarsi, nella loro maggioranza, nella posizione di non riuscire a percepire in modo adeguato questa rottura fondamentale. Da un lato, si comportano ora come se lo avessero sempre saputo e detto, anche nel caso in cui è stato proprio il contrario. Dall'altro lato, avviene che le stesse persone continuano a seguire il loro modello di interpretazione positivista, relativamente allo sviluppo reale, e prestano avidamente orecchio ai segnali del "discorso della fine dell'allarme", da parte delle istituzioni ufficiali, al fine di salvare la loro comprensione di una "normalità" interrotta del processo di valorizzazione. Fuori dall'osservazione positivista, rimane il fatto che si tratta di crisi qualitativamente nuovo che è entrato in una fase irreversibile. Anche se dovrebbe esser chiaro che i pacchetti di salvataggio possono solo rimandare il problema e che dopo un periodo transitorio (per esempio, una stabilizzazione a breve termine mediante l'appoggio del debito pubblico e la prospettiva di un contesto economico di inflazione) e che il limite interno raggiunto verrà colpito nella maniera più violenta, i credenti continuano a godere di ogni oscillazione e di ogni rallentamento temporaneo per potersi così sentire tranquillizzati una volta di più. La sinistra semplicemente non vuole vedere che il suo buon vecchio capitalismo sta per sbattere contro i suoi limiti assoluti. E per questo innalza le sue barriere ideologiche

- Robert Kurz – 2012 -


(19) - Nel suo dibattito con la teoria radicale della crisi nel 1999/2000, Heinrich lamenta l'insinuazione secondo la quale lui "... argomenterebbe positivamente, adopererebbe obiezioni tipicamente positiviste, avrebbe trasformato Marx in un economista positivista ecc. Il positivismo sarebbe inizialmente un orientamento epistemologico che pretenderebbe di partire solo da un complesso di percezioni 'date'. Nel proseguo della cosiddetta 'polemica sul positivismo in sociologia', il positivismo si è trasformato, per il flusso principale della sinistra, in un insulto rimasto in gran parte senza sostanza, con il quale si attaccava non solo la scienza 'borghese' ma ci si compiaceva anche di attaccare le interpretazioni del marxismo che si discostavano dalla propria" (Heinrich, 2000). Il suo avversario di allora, Norbert Trenkle (oggi rappresentante di una critica del valore ridotta e "aperta" da tutti i lati), non si trovava di fatto nella posizione di chiamare con il suo nome i positivismo di Heinrich. Ma questo positivismo consiste proprio nel fatto che, per Heinrich, le categorie astratte del capitale e le sue manifestazioni empiriche si affrontano in modo puramente esteriore; dissolvendosi le ultime, per usare le sue stesse parole, in "dati immediati" di "complessi di percezione" empirica; un semplice su e giù inteso come ciclico nella falsa immediatezza di rotture strutturali passeggere, il cui contesto di processo sovrastante in sviluppo smette dei essere visto. La differenza fra "crisi ciclica" e "crisi generale" viene indicata nella sua Scienza del Valore in modo meramente astratto (Heinrich, 2003) e ugualmente sussunta nella pura irregolarità dei fenomeni apparenti separati dall'essenza. In seguito, in Heinrich, troviamo frequentemente questo pensiero positivista, nel concreto completamente bloccato nel contesto della filologia di Marx, che, per non dire di peggio, limita la sua capacità di previsione, e non solo. Questo ha a che vedere anche con il fatto che un tale pensiero, a differenza di quello di Reichelt e Backhaus, non proviene da Adorno, ma soprattutto da Althusser e dal suo concetto positivista della scienza, nel quale la problematica del feticcio non per caso è stata soppressa.

fonte: EXIT!


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