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Potremmo ragionare del mutanda-party di Ferrara come evento politico, ma due autorevoli penne ci invitano a considerarlo come episodio di una anamnesi psicologica, pagina di un caso personale, eventualmente artistico, sennò clinico: “evento epico e ironico”, per Pietrangelo Buttafuoco (In onda – La7, 12.2.2011), performance coatta a “fare quello scomodo che non siete voi che non mi invitate alle feste perché sono un bambino grasso, sono io che sono teppista e non voglio giocare con voi”, per Guia Soncini (guiasoncini.com, 12.2.2011). Due teste così belle – detto senza ironia – non possono che vedere giusto, tanto più che conoscono bene Ferrara per averlo avuto come direttore per diversi anni, e tuttavia sembrerebbero dare giudizio divergente. Solo in apparenza, perché dicono la stessa cosa. Dicono che la politica in Ferrara è solo epifenomeno di un carattere, inteso in senso casuistico o in senso apodittico, come malattia o come destino. Se è così, l’omone non sarebbe da discutere ma solo da riguardare. Bene, io penso che si tratti di visione riduttiva: la tipica visione del troppo-da-vicino.La prossemica ci insegna che c’è una distanza intima (da 0 a 45 centimetri), che è quella tra congiunti; una personale (da 45 a 120 centimetri), che è quella tra amici; una sociale (fino ai 3 metri e mezzo), che è quella tra conoscenti che abbiano frequentazione abituale; ed una pubblica (oltre i 3 metri e mezzo), che è quella delle relazioni in cui è d’uso il lei. Ecco, io penso che di una persona si vedano molto bene alcune cose a una distanza personale, ma alcune sono sfocate rispetto a come appaiono a una distanza pubblica; e penso che Buttafuoco e Soncini soffrano di questo difetto di messa a fuoco. Vedono giusto: Ferrara è una figura tragica e un bambinone molto disturbato, ma è anche altro, e assai di più. Non è il pensatore che si ritiene, ma non è solo una maschera della nostra commedia dell’arte.A distanza ottimale credo che si tratti – e col mutanda-party mi pare che si sia avuta ampia conferma – del migliore interprete del triste pessimismo del reazionario che è la causa del problema del quale vanta di essere l’unica soluzione: Ferrara è tutto nel suo rapporto verso il potere come violenza necessaria che fonda una ragione tautologica ed autoreferente, nel senso che è l’incarnazione del sofisma che regge la logica di quella ragione.
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