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La pseudo-omerologia in “Omero nel Baltico” di Felice Vinci

Creato il 29 dicembre 2014 da Criticaimpura @CriticaImpura
Felice Vinci, Omero nel Baltico, Palombi, Quinta ed. 2008

Felice Vinci, Omero nel Baltico, Palombi, Quinta ed. 2008

Di DANIELE VENTRE

L’ipotesi che Felice Vinci presenta nel suo Omero nel Baltico [1] in base alla quale l’ambientazione dell’Iliade e dell’Odissea sarebbe da rintracciare non nel Mar Mediterraneo orientale, come si è sempre creduto, ma nei pressi del Mar Baltico e dell’Atlantico settentrionale, è un tipico esempio di spazzatura pseudostorica con illustri sponsor (Rosa Calzecchi Onesti) e un orientamento ideologico acquisito a posteriori. Come elementi a rincalzo della sua destituzione di fondamento cito in questa sede una serie di dati in ordine sparso.

In primo luogo, tutti i nomi degli eroi troiani principali hanno precisi corrispondenti circostanziati, foneticamente compatibili, nei documenti dell’impero anatolico degli Ittiti della tarda età del bronzo. Due esempi: Paride-Alessandro = Alaksandu (re greco-anatolico di Ilio nel 1280 a.C.); Sharpadduni = Sarpedone. Quanto ai nomi greci, la rispondenza è così capillare che si trovano consonanze fra i documenti diplomatici di Hattushas e le tradizioni minori dei miti eroici: così Tawaklawa figlio di Antrawa è l’adattamento ittita del nome dell’eroe Etewokléwes (Eteocle) figlio di Andrèus (Andreo), presente in una saga minore beotica di Orcomeno, secondo Pausania (a parte la concomitanza con l’Eteocle del mito di Edipo). Inoltre, nei documenti micenei (dunque greci) della tarda età del bronzo troviamo i seguenti nomi e derivati: Etewoklewijos (Eteocleo = di Eteocle) -cfr. l’espressione iliadica, bie Eteokleeie, forza di Eteocle, con vocalismo relitto miceneo- Akhileus, Aias, Nausikles, Nausithoos. Sempre in tema di interessanti nomi ellenici in testi anatolici, in un documento ittita si parla di un Aga(ka)mun degli Ahhijawa che conquista l’isola di Lazpas (ittita-luvico per Lesbo) in vista di un assedio a Ilio (Wilusha, in egizio Wiriy, in miceneo Wilion): nell’Iliade si parla della conquista di Lesbo da parte di Agamennone, hegemon (comandante in capo) degli Akhaiwoi (Achei). Ancora sul versante miceneo, si potrebbero ricordare poi i nomi di certe località poste al confine della Messenia, nominate nell’archivio amministrativo del palazzo di Pilo, che fanno pensare al nome di Achille, ed effettivamente un passo del libro IX dell’Iliade collega Achille a una zona di confine fra Sparta, Micene e Pilo, e in particolare a un’area dove si trovano sette fortezze che Agamennone vuole donare all’eroe se torna a combattere. Il nome di Odisseo, come recentemente analizzato da un mio collega, Mauro Agosto, che ha poi pubblicato l’articolo su Aion, è collegato con un dialetto semitico nordoccidentale (sirofenicio), ed è collegabile al nome semitico di Didone, Elissa (Ulisse ed Elissa significano rispettivamente, in ugaritico, “dio sposo” e “dea sposa”, in un contesto di paredri e mogli di re sacri semitici e mediterranei).Quanto ai luoghi, non ci sarebbe quasi bisogno di parlarne. Basti pensare che sulle tracce di Omero si sono trovati due nuovi palazzi micenei: quello di Sparta e quello di Itaca -sì, proprio il palazzo di un re che, per quel che ne sappiamo, poteva chiamarsi anche Odisseo, in omaggio all’eroe-divinità minore, di cui parlavamo prima, e che fu importato nel mito ellenico dal mondo semitico attraverso Creta.In una parola, i dati oggettivi e incontrovertibili che sul piano archeologico, linguistico, materiale, legano i poemi omerici al mondo mediterraneo sono assolutamente irrefutabili.

Altro è il sodalizio culturale fra l’epica greca e l’epica indoaria, che risale a una epica comune tardo-indoeuropea, che condivideva anche il mito del poeta mago raccoglitore di parole (significato dei nomi Vyasa e Omero) che presenzia alle feste (significato del nome Omero, che potrebbe essersi sovrapposto con un termine semitico come omuro, che in siriaco significa, dicitore, come ipoteticamente nota Martin L. West e argomenta ancora Mauro Agosto). Più che di Omero sul Baltico, si dovrebbe parlare di bardi protoindoeuropei ibridati con declamatori semitico-mediterranei: Omeri sulla costa del Mar Nero nel 5000 a.C, incrociati con l’omuro semitico.

Che gli Omeri danubiani primitivi non siano nemmeno sufficienti a spiegare tutto, lo mostra un altro dato evidente: l’epos omerico non sarebbe quel che è senza il colossale influsso dell’epica mesopotamica. Un esempio per tutti: l’esordio dell’odissea (“l’uomo… che vide città di molti uomini e ne conobbe la mente, e patì molti dolori sul mare; I, vv. 4 s.), con il dettaglio del nome dell’eroe (il divino Odisseo) fatto solo al v. 21, collima con le tarde redazioni del poema di Gilgamesh al punto tale che possiamo fare nome e cognome e data di nascita approssimativa dello scriba mesopotamico alla cui redazione del poema di Gilgamesh risale il format dell’esordio del secondo poema omerico: Sin-lequi Unninni (1300 a.C. ca). L’Odissea si spiega anche come una riduzione a moduli micenei e protoarcaici della tradizione di Gilgamesh secondo la redazione di Sin-lequi Unninni. Altro che Baltico. L’ipotesi (poi assorbita nell’esoterismo pseudostorico neo-fascista) di Vinci è assolutamente insostenibile: mera fandonia nutrita di dati imprecisi e letture improprie. Non bastano un paio di nevicate a bassa quota (che in certi momenti sono possibili anche nel Mediterraneo) per dimenticarsi il locus amoenus (tipicamente centromediterraneo) di Calipso, o la reggia dei Feaci. Non si possono opporre due paretimologie finlandesi all’imponente massa di dati etnolinguistici che gridano a chiare lettere come i poemi omerici siano nati nel melting pot greco-anatolico e greco-semitico del mediterraneo orientale.

[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Omero_nel_Baltico


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