La psicoanalisi junghiana

Da Renzo Zambello

LA PSICANALISI Junghiana

Di Renzo Zambello

Quando parliamo di psicanalisi, fondamentalmente ci riferiamo a tre fondamentali scuole di pensiero psicanalitico quella di Freud , Adler e di Jung.

E’ importante sapere che sia Adler che Jung furono allievi di Freud e per circa dieci anni, dall’inizio del 1900, lavorarono assieme, in una forte sintonia culturale e di ricerca.

Nel 1911 Adler fu allontanato in malo modo dal gruppo psicanalitico, quasi come un indegno mentre Jung continuò a collaborare con Freud per alcuni anni, finchè nel 1913 abbandonò il maestro come conseguenza della frattura creatasi alla pubblicazione del suo libro: Libido:simboli e trasformazione.

Contrariamente a quanto generalmente si pensa, Jung non ha mai censurato né il lavoro di Adler né tanto meno quello di Freud, anzi, si è sempre posto il problema di dimostrarne la loro validità.

Ciò che contestava era il presupposto teorico, l’idea che ciò che si era fin allora scoperto sulle dinamiche psicologiche, fosse universale ed unico; fosse la Verità.

Scrisse in ” Psicologia dell’inconscio” (1942), è vero ciò che dice Freud a proposito della rimozione dell’Eros, ma l’attività psichica non è solo quello, anzi ciò è solo una piccola parte.

Il pensiero Junghiano è caratterizzato fondamentalmente da tre elementi: il rapporto paziente terapeuta, l’individuazione e il concetto di simbolo e archetipo.

Una delle immagini che per tanto tempo ha caratterizzato l’attività psicanalitica freudiana fu quella di paragonare lo psicanalista ad un telo bianco dove il paziente proiettava i suoi pensieri, emozioni e l’analista li rifletteva, li rimandava al paziente rimanendone totalmente neutro. Jung parla invece di co-infettarsi, farsi infettare dal paziente e in “Psicologia e alchimia” descrive in maniera metaforica, utilizzando i miti dell’alchimia, il processo analitico proprio come una co-fusione paziente-terapeuta, all’interno dello stesso crogiolo come condizione prima ed essenziale per la ricerca della verità del paziente, della sua realizzazione del se, che chiama “individuazione”.

Dice più volte nei suo scritti, io sono un empirico, non un filosofo, né un teologo, ma un medico psichiatra che lavora con i suoi pazienti ed osserva e sperimenta.

Tale modo di procedere, scrive in “psicologia dell’inconscio”, non ha niente a che vedere con la scientificità di Galileo.

L’oggetto: il paziente, non può mai essere staccato da chi osserva, ma tra l’uno e l’altro c’è inevitabilmente una interazione Per arrivare all’individuazione, processo a cui tende l’analisi junghiana e vocazione che impegna l’uomo per tutta la vita, indipendentemente dal rapporto terapeutico.

Jung ha in mente, dentro di se una struttura psicologica molto più complessa di quella di Freud e per descriverla parte proprio dall’osservazione di Freud ed Adler e di ciò che fino ad allora avevano scritto e dice: vedete sia quello che dice Freud ed Adler è fondamentalmente vero eppure uno parla di rimozione dell’ eros e l’altro di volontà di affermazione: Ma sono veri entrambi perché sono complementari.

Freud è complementare ad Adler, perché il primo è un estroverso, l’altro, un introverso. Jung fece un lungo studio sui tipi psicologici, con lo scopo, come dice Trevi, “di liberare il più possibile dalla qualifica di patologico un vasto settore della fenomenologia dell’umano”. Introduce così il concetto della dualità, del doppio, del chiaro e dell’ombra, del maschile e del femminile, dell’introverso e dell’estroverso, del bene e del male. Non siamo mai tutto maschio o tutta femmina, santi o diavoli, introversi o estroversi.

C’è sempre dentro di noi, nell’inconscio, l’altra parte del manifesto, del conosciuto: “l’ombra”.

Fin tanto che questa rimane non conosciuta, rimossa, anche una parte della nostra energia vitale, ciò che lui chiama libido, non può esprimersi ed é la nevrosi Il medico ha il compito di stabilire con il paziente un rapporto non tanto con la parte esposta ma con quella rimossa, e solo una comunicazione tra preconscio a preconscio (come dice Lopez),o meglio come direbbe Jung , tra preconscio del terapeuta e l’ombra del paziente, favorirà l’individuazione.

Un altro dei cardini fondamentali della psicanalisi Junghiana è la dottrina del simbolo. Il simbolo é la sintesi di elementi culturali, personali consci e inconsci, opposti altrimenti non conciliabili.

Per Jung il simbolo è il vero motore del divenire psichico dell’uomo. Pensiamo ad esempio ai simboli religiosi, al simbolo della madre, del padre, della patria e ancora ai simboli sessuali.

Dice Entwurf, il simbolo è il progetto che, ri-assumendo in una unità il passato, permette l’apertura dell’esistente nel suo futuro.

Scriveva Cassirer (1923): Mito, arte, linguaggio e conoscenza divengono simbolo, non come immagini o allegorie che spieghino una realtà precedente, ma nel senso che ciascuna di tali forme crei o faccia emergere da se stessa un proprio mondo.

Ancora Trevi: la natura stessa del simbolo per la sua ricchezza e per la sua enorme forza intrinseca, sembra potersi spiegare con il concorso di parti consce razionali in rapporto con forme strutturatici inconsce di carattere culturale transpersonale (l’archetipo) e tuttavia elaboranti il materiale empirico offerto dalla vita psichica personale dell’individuo.

Il concetto del carattere culturale transpersonale presente nel simbolo ci introduce immediatamente in una delle speculazioni teoriche che più caratterizzano la psicologia junghiana, il concetto dell’ inconscio su due livelli, uno personale ed uno collettivo.

Il simbolo per la sua struttura è l’elemento sintetetizzante nell’inconscio della parte personale, soggettiva e della parte culturale, traspersonale, collettiva ed oggettiva Rispetto a questo concetto del simbolo, il processo di individuazione consiste allora in due processi parziali e complementari: Differenziazione e integrazione.

Differenziazione dell’Io dalla forza plasmatrice delle istanze collettive, agenti sia a livello cosciente che inconscio e nel contempo integrazione degli aspetti bipolari del simbolo. I movimenti del se verso l’individuazione, proprio perché sottoposti alla forza del simbolo che è in se bipolare, non saranno mai movimenti di tipo lineare, dal basso verso l’alto, dall’inconscio verso il conscio come pensava Freud, ma continui movimenti oscillanti e che pur tendono verso una direzione: l’individiazione.

La psicanalisi è oggi uno dei mezzi che favoriscono l’individuazione, ce ne sono tanti altri basti pensare all’arte, forse anche una certa risposta religiosa, ma riamane l’unica possibilità per superare un blocco libidico: la nevrosi.

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