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La questione di Trieste nel carteggio croce-vossler

Creato il 19 luglio 2010 da Chiaramarina

La questione di Trieste nel carteggio croce-vossler

Purtroppo, principalmente durante i regimi totalitari ma anche in tempi non sospetti, la scuola  non è soltanto un luogo dove si acquisiscono le conoscenze e le discipline prescelte, ma è soprattutto un luogo dove la politica prende il sopravvento ostacolando, spesso, l’apprendimento degli studenti, come ricorda Klemperer nei suoi diari, riportando un avvenimento accaduto durante un corso da lui tenuto presso l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa.

Allora uno degli studenti preti si alzò gridando minacciosamente. «Silenzio! Immediatamente scoppiò un tumulto, io riuscii a sentire tra le grida generali “Viva il Belgio! – Viva la Francia! – Abbasso l’Austria!” e “Vogliamo Trieste!”, soprattutto e di continuo “Vogliamo Trieste!». […]dissi di essere solo un povero filologo che non poteva restituire loro Trieste, perché non mi apparteneva, e poi, continuando in modo serio e incisivo, che stavo qui per incarico del ministero, per insegnare loro un po’ di tedesco, quindi dovevano lasciare da parte la politica e onorare l’università come luogo di pace e di scienza, e infine, con nuova verve, confessai di aver preteso di cominciare la mia lettura malgrado gli avvertimenti, confidando pienamente nella cavalleria italiana, la quale non riuscivo a credere che ammettesse di deludere o offendere. Le mie parole fecero effetto. Il giapponese grassottello si alzò per metà dal suo posto e disse con tono amichevole e risoluto: «Il professore ha ragione; si deve separare la scienza dalla politica; sono venuto fin qui per imparare il tedesco»[1].

Trieste fu, assieme a Trento, il centro dell’ irredentismo, movimento che puntava all’annessione all’Italia di tutte quelle terre abitate da secoli da popolazioni di cultura italiana (o italica) ma che ancora non facevano parte dell’Italia del tempo Nel 1920 Trieste venne annessa all’Italia insieme al resto della Venezia Giulia. L’annessione determinò la perdita di importanza della città stessa che si ritrovò ad essere città di confine, senza un vero e proprio hinterland. Per questo Trieste ha dovuto fare i conti con  movimenti nazionalistici che erano molto forti nelle zone che si accentuarono soprattutto nel periodo fascista[2]. L’obiettivo, predominante in ogni Stato, era quello di nazionalizzare e centralizzare, per cui le minoranze etniche erano sottoposte a misure di integrazione. A Trieste ne pagò le conseguenze anche la minoranza slovena (che componeva quasi il 25% della popolazione). Il 13 aprile 1920, dopo gli scontri tra Croati e Italiani a Spalato, i nazionalisti italiani incendiarono la Narodni Dom (Casa Nazionale), un centro culturale degli sloveni e altri slavi triestini. Ma, sensibili ai movimenti irredentisti che percorrevano l’Europa, molti triestini aderirono alle imprese garibaldine e alle guerre risorgimentali e, alla fine della Prima Guerra Mondiale, la città tornò italiana[3]

A Trieste il nazionalismo italiano assunse delle connotazioni esasperate, con caratteristiche che saranno poi tipiche dello squadrismo fascista.

Dopo la fine del primo conflitto mondiale, le tappe della repressione antislava procedettero rapidamente: i soldati austro-ungarici prigionieri che rientravano a casa, soprattutto se slavi, vennero internati in campi di prigionia speciali e particolarmente duri, dove molti trovarono la morte per le privazioni e le malattie.

È dell’ aprile del ‘19 invece la nota del commissariato civile di Pola in cui si comunica che delle 49 scuole croate esistenti prima dell’arrivo dell’Italia in quelle terre, 45 erano state chiuse, ma era però necessario provvedere anche che migliaia e migliaia di fanciulli non rimanessero, in seguito alla chiusura di tante e tante scuole, senza alcuna istruzione[4] In esecuzione degli ordini del predetto comando, venivano perciò aperte scuole e giardini infantili con lingua d’insegnamento italiana anche in quelle frazioni dove non era ancora sistemata una scuola italiana provinciale e fu assunto il personale necessario. Queste direttive anticipano la famosa legge di riforma delle istituzioni scolastiche dell’ottobre 1923 (la legge Gentile) che sancirà la definitiva chiusura delle scuole di lingua non italiana (tedesche, slovene, croate) nelle nuove province del Regno d’Italia. Il secondo conflitto portò con se nuove tragedie. L’Italia perse la guerra e Trieste fu invasa dalle truppe jugoslave del maresciallo Tito e migliaia di italiani, contrari al regime comunista, furono sotterrati vivi in profonde cavità carsiche chiamate foibe. Il problema di Trieste costituì il principale tema sia della nostra politica estera che di quella interna, dal 1943 al 1954. Infatti, non si trattò soltanto di evitare la perdita dell’estremo lembo d’Italia, ricongiunto alla Madrepatria con l’ultima guerra risorgimentale, quella del 1915-18, costata 600.000 morti e più di due milioni di mutilati e feriti; ma si trattò anche di cercar, invano, di salvare i quasi 300.000 italiani della Venezia Giulia[5] che furono poi costretti a lasciare le loro terre, le loro case, i loro averi, dando luogo ad una diaspora di grandezza simile a quelle che oggi stanno verificandosi da varie terre dell’antica Indocina e che lasciano costernato l’intero mondo. Ma le conseguenze di quel tormentato periodo, che inizia con l’occupazione nazista della Venezia Giulia nel 1943, non sono ancora esaurite. Solo l’intervento delle truppe alleate spezzò l’incubo e la città, in un misto di euforia e disorientamento, rimase sotto il controllo del governo militare statunitense fino al 1954. In quell’anno, Trieste tornò finalmente e definitivamente alla madre patria, divenendo il capoluogo della più piccola provincia italiana e della regione Friuli-Venezia Giulia[6].  Come sottolineato in precedenza, nel ‘900 la questione di Trieste fu strumentalizzata per fomentare le forti tensioni esistenti fra l’Italia e l’Austria. In una lettera al Vossler, Croce criticò il fatto che di frequente gli adulti invece che insegnare ad i bambini i valori di reciproca tolleranza infondevano in loro l’astio verso il nemico straniero.

«Alla mia bambina, la quale aveva due anni, la vecchia cameriera piemontese e patriottarda aveva insegnato a gridare: “Abbasso gli Austriachi”»[7].

Nella seguente lettera, Croce sottolineò che uno dei fattori che comprometteva l’amicizia e la collaborazione scientifica fra i paesi europee erano gli chauvinismes. «Auguro che in Europa si ristabilisca la fratellanza scientifica: con l’esclusione di tutti gli chauvinismes, e soprattutto del francese e del tedesco»[8].  Lo chauvinismo dell’epoca fu sottovalutato da molti intellettuali che non lo ritennero un sentimento pericoloso per la fratellanza europea . Ad esempio, Victor Klemperer si rimproverò aspramente il fatto di aver sottovalutato tale fenomeno culturale. «Mi sono sempre rimproverato per il fatto di aver sottovalutato un pollo cieco come lo chauvinismo francese, di non essermi preoccupato neanche di quello italiano, di essermi irritato per queste riunioni che hanno rivelato così acutamente lo stato pietoso della scuola italiana; ma comunque avevo meno motivi per vergognarmene»[9].


[1] N. K.

[2] Cfr. R. Pupo, Gli esodi e la realtà politica dal dopoguerra ad oggi, in Finzi R., Magris C.,

Miccoli G. (acd), Storia d’Italia. Le regioni dall’unità ad oggi. Il Friuli – Venezia Giulia, Einaudi,

Torino, 2002 pp.663-758.

[3]Cfr. G. Romano, Idea del paesaggio italiano, in Storia d’Italia. Annali 5. Il paesaggio, Torino, Einaudi, 1982, pp.265-269.

[4] Cfr. E. Sestan., Venezia Giulia. Lineamenti di una storia etnica e culturale, Centro librario, Bari, Laterza, 1965, pp. 42-54.

[5] Cfr. D. De Castro  La questione di Trieste. L’azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Lint,   Trieste,  1981, pp. 90-110.

[6] Cfr. P. e R. Grandinetti, Il caso Friuli: arretratezza o sviluppo, Udine, Il Campo, 1979, pp.88-94.

[7] Lettera del 22 luglio ‘19, i n Carteggio Croce- Vossler, cit., p. 211.

[8] Ibidem.

[9] Tratto dalla mia traduzione del capitolo Neapel im Frieden, dell’opera di Victor Klemperer, Curriculum Vitae, Berlin, Aufbau Taschenbuch Verlag, 1996. «da ora in poi citato come N. F.».

Klemperer, Croce, Napoli, carteggio


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