‘Omar’
‘Bethlehem”
A che punto sia la questione israelo-palestinese lo vediamo adesso, oggi, con l’intervento militare in atto di Tsahal su Gaza, l’abbiamo visto nei giorni scorsi con i razzi lanciati da Gaza su Israele, fino a Tel Aviv. Come ha scritto un mio saggio amico su Facebook, è – il conflitto e la (finora) impossibile convivenza tra i due popoli – uno di quei grovigli di cui è bene evitare di discutere, nel caso (ed è quasi sempre il caso) non si abbia da dire niente di notevole. Piuttosto che riciclare luoghi comuni o vomitare pregiudizi, meglio starsene zitti. Regola aurea cui mi attengo (discuto della faccenda solo con interlocutori dotati di pacatezza, serenità di giudizio, solida conoscenza dei fatti, cosa che non è facile trovare in rete). Però da appassionato di cinema mi è venuta la voglia di compilare una lista di film che affrontino o abbiano affrontato la questione, da punti di vista e con modi diversi. Sono molti. Ho scelto privilegiando alcuni titoli imprescindibili e i più recenti, quelli che sono passati nei festival internazionali e son riuscito a vedere tra Milano, Venezia, Berlino, Cannes, Torino. Ci sono film israeliani, palestinesi, ma anche americani, francesi, di varia produzione internazionale. Taluni rappresentano il punto di vista israeliano, altri quello palestinese. Ma ci sono anche film israeliani che affrontrano il problema con lo sguardo di chi sta dall’altra parte, è il caso di Il giardino di limoni di Eran Riklis. Non mi risultano invece film palestinesi che abbiano fatto altrettando mettendosi nei panni dei vicini-nemici (se mi sbaglio smentitemi, ne sarei ben lieto). Ho mescolato volutamente i titoli, senza tracciare linee di demarcazione o costruire muri tra una provenienza e l’altra.
1) Omar di Hany Abu-Assad, Palestina 2013.
Del regista di Paradise Now (vedi più avanti), un film che ha vinto l’anno scorso a Cannes il premio della giuria a Un certain regard, poi entrato clamorosamente nella cinquina dei nominati all’Osca per il miglior film in lingua straniera. Tre ragazzi dei territori palestinesi programmano di attaccare un presidio militare isareliano. Ma uno di loro viene catturato. Lo ricatteranno perché diventi un collaborazionista e tradisca i compagni.
2) Bethlehem di Yuval Adler. Israele 2013.
Presentato a Venezia 2013 alle Giornate degli autori. Molto simile a Omar, ma raccontato e visto dalla parte di Israele. Un ufficiale dei servizi israeliani si infiltra tra i palestinesi (parla perfettamente l’arabo) e cerca di reclutare come informatore un ragazzino il cui fratello è considerato un pericoloso terrorista. Angoscioso. Tesissimo.
3) Un insolito naufrago nell’inquieto mare d’Oriente (Un porco a Gaza) di Sylvain Estibal. Francia, Germania, Belgio 2011.
Uscito da noi un paio di mesi fa, con tre anni di ritardo rispetto alla Francia. Titolo italiano folle, mentre l’originale Un porco a Gaza rispecchia assai meglio quanto tratta e racconta. Una commedia surreale e abbastanza demenziale che cerca di buttare in risata una questione molto tosta. Un povero pescatore di Gaza (siamo a metàdella scorsa decade) trova impigliato nella sua rete un maiale, animale impuro per l’Islam come per l’ebraismo. Com’è capitato lì? E che farne? Comincia una girandola grottesca con finale inattendibilmente pacificatorio e pacifista. Dramedy su temi sensibili che meriterebbero una maggiore cautela. La mia recensione estesa.
4) Il giardino di limoni di Eran Riklis, Israele, 2008.
Una palestinese difende con tutte le sue forze il suo limoneto centenario che il ministero della difesa israeliano vorrebbe spianare. Gran successo internazionale, soprattutto per la sua interprete, l’iconica Hiam Abbas. Precisazioni: 1) la storia si svolge in territorio israeliano, visto che nello stato ebraico, val la pena ricordarlo, ci sono anche cittadini arabi (centinaia di migliaia); 2) il film è una produzione israeliana.
5) Jaffa di Karen Yedaya, Israele 2009.
A Giaffa, città alle porte di Tel Aviv dove convivono israeliani ebrei e palestinesi (con prevalenza di questi) una ragazza di famiglia ebrea finisce con l’innamorarsi di un meccanico arabo. Resterà incinta, si rifiuterà di abortire. Ci saranno sviluppi drammatici.
6) Paradise Now di Hany Abu-Assad, Palestina 2005.
Forse il film palestinese a oggi di maggior successo: un Golden Globe e nomination all’Oscar per il migliore film straniero. Due ragazzi di Nablus sono reclutati come kamikaze e imbottiti di esplosivo per un duplice attentato suicida al di là delle linee isareliane. Ma vengono intercettati e separati. Così si costruisce un kamikaze.
7) Out in the Dark, di Michael Mayer. Israele, 2013.
Proiettato l’anno scorso al Festival Mix di Milano. Film che mette in scena la questione dei gay palestinesi, gay che non se la passano bene, anzi male, tanto da confluire spesso in terra israeliana dove a loro è concesso quel che a casa è proibito. Out in the Dark è fin troppo esemplare nella rappresentazione del problema, ma è una visione assai utile, perfino indispensabile. Roy, un giovane avvocato di Tel Aviv, conosce in un locale un ragazzo dei territori palestinesi di nome Nimer, finiranno col mettersi insieme. Ma le cose si complicano quando Nimer viene ricercato in Israele per fatti di terrorismo di cui peraltro è innocente. Non può nemmeno tornare a casa, visto che se rimette piede al di là del muro lo ammazzano. Perché omosessuale e perché sospetto di collaborazionismo. Roy lotterà in ogni modo per salvarlo. Tesissimo.
8) Miral di Julian Schnabel. India, Israele, Francia, Italia 2010.
Film presentato a Venezia tra molte attese, andate poi deluse. Tratto dal libro di Rula Jebreal, palestinese (ma nata e cresciuta in territorio israeliano), allora compagna del regista, e soprattuto illustre artista, Julian Schnabel. Dal 1948 – anno della nascita di Israele e di quella che i palestinesi chiamano Nakba, catastrofe, l’espulsione dalla loro terra – fino ad anni recenti. Più generazioni, e tre donne di Palestina le cui storie si intrecciano a quello della loro gente. A partire da Hindi, rispettata signora che dai tardi anni Quaranta si è occupata di assistere bambini orfani travolti dalla ‘catastrofe, ma non solo.
9) Valzer con Bashir di Ariel Forman, Israele Germania Francia, 2008.
Bashir è Bashir Gemayel, rampollo di una delle più potenti famigli cristiano-maronite del Libano, elevato ancora giovane a presidente del suo paese e ucciso da un attentato palestinese il 14 settembre 1982. Parte da qui, dalla sua morte, una crisi politica che avrà conseguenze terribili: Israele invaderà il sud del Libano arrivando fino a Beirut e circondando i campi palestinesi di Sabra e Chatila, ove una falange libanese-maronita penetrerà a compiere l’orrendo massacro che sappiamo. Si imputò la strage all’esercito israeliano, ma la storia e le inchieste hanno mostrato che Tsahal non entrò nei campi ma – questo sì – non intervenne per impedire la pulizia etnica e lasciò fare i falangisti. I fatti sono rievocati in Valzer con Bashir attraverso gli incubi di un allora soldato israeliano arrivato fino a Beirut, incubi che gli ricompaiono nella mente incarnati in neri cani feroci dalle fauci spalancate. Il regista Ari Folman lo incontra in un bar e parlandogli si rende conto di aver lui stesso completamente dimenticato e cancellato dalla memoria la propria esperienza di soldato in quel conflitto. Comincia così la sua ricerca di quel passato, una discesa nel proprio inconscio che gli consentirà di ritrovare i fatti e di sottrarli alla rimozione. Capolavoro.
10) Rock the Casbah di Yariv Horowitz. Israele 2012.
Gaza, 1989, tempo di Intifada. Una pattuglia israeliana viene attaccata, un soldato ci resta secco, colpito da una lavatrice scaraventata da un terrazzo. Un quadro amarissimo della guerra d’attrito tra israeliani e palestinesi, e di un dialogo impossibile. I Clash non c’entrano.
11) Il figlio dell’altra di Lorraine Lévy. Francia 2012.
Joseph, diciotto anni, è figlio di una coppia israeliana di Tel Aviv, Yacine di una coppia palestinese di Ramallah. Ma sono stati scambiati per errore nell’incubatrice da un’infermiera. Una scoperta che sconvolge le loro vite e le loro famiglie. Due mondi opposti e ostili son costretti a comunicare, a conoscersi, a scendere a patti, a cercare una soluzione. Film sanamente popolare, irresistibile, da vedere, che entra con tatto e sensibilità in una bruciante questione politica.
12) Ana Arabia di Amos Gitai. Israele 2013.
Del gran maestro del cinema d’Israele Amos Gitai. Presentato l’anno scorso alla Mostra di Venezia, e da allora parecchio cresciuto in status e considerazione. Una giornalista israeliana va a Giaffa, la cittò quasi ibteramente palestinese ai bordi di Tel Aviv, a cercare notizie su una storia straordinaria, quella di Siam, un’ebrea sopravvissuta ad Auschwitz e poi convertita all’Islam. Peccato che Amos Gitai, più austero che mai, abbandoni subito la promettente traccia narrativa raccontabdoci pocchissimo di Siam e preferisce indagare il microcosmo in cui ha vissuto. Interessante, come no, ma la storia dov’è? Certo il film è di un virtuosismo sublime: un solo piano sequenza di un’ora e mezza, luce naturale.
13) Jenin Jenin di Mohammed Bakri. Palestina 2002.
Uno dei più famosi film palestiesi. Di un regista-attore, Mohammed Bakri, palestinese e cittadino israeliano, appartenente a quella minoranza che non se ne andò al momento della proclamazione dello stato di Tel Aviv. Nell’aprile 2002, dopo un attentato suicida, una forza speciale israeliana penetra nel campo di Jenin, a nord di Nablus, per colpire quella che è ritenuta essere la centrale terroristica. Bakri documenta con la macchina da presa e con video e testimonianze quel che avvenne durante l’incursione e gli effetti per niente collaterali su popolazione e cose.
14) Munich di Steven Spielberg. Usa 2005.
Uno dei migliori film di sempre di Steven Spielberg. Del 2005, è scritto in collaborazione con il Tony Kushner di Angels in America che per Spielberg sceneggerà poi anche il formidabile Lincoln. Coi modi e i linguaggi apparenti dell’action, si ricostruisce l’ormai storico assalto del commando palestinese di Settembre Nero al villaggio olimpico di Monaco nel 1972, con la cattura e presa in ostaggio di undici atleti di Israele. Seguiranno blitz falliti, tentativi di espatriare con gli ostaggi, e massacro finale che sfiorerà i venti morti, comprendendo insieme agli atleti israeliani cinque terroristi e un poliziotto tedesco. Il film è spezzato in due, con la prima che ripercorre i fatti di Monaco e la seconda con un commando del Mossad in azione allo scopo, su precisa direttiva del primo ministro Golda Meir, di scovare il numero più alto possibile di responsabili dell’assalto e di ucciderli.
15) The Inheritance (L’Héritage) di Hiam Abbas. Palestina 2012.
Hiam Abbas, attrice ma anche, come in questo film, regista, è di sicuro il volto più conosciuto della Palestina al cinema (Il giardino di limoni, Miral, L’ospite inatteso e molto altro). The Inheritance è stato presentato due anni fa alle Giornate degli autori a Venezia con discreto esito, e davvero non si capisce come mai non sia stato distribuito in Italia. Anche perché racconta senza ubbie sperimentaliste e senza eccessi autoriali, in modo piano e perfino troppo didascalici, la vita complicata di una famiglia medioborghese di palestinesi cittadini d’Israele, su in Galilea al confine con il Libano. E mentre si moltiplicano i segnali che una guerra con il Libano sta per incominciare, entriamo dentro questa famiglia così esemplare della condizione del suo popolo. C’è la ragazza che, contro molti se non proprio tutti, si è innamorato di un ragazzo inglese e vorrebbe sposarlo e andarsene. Ci sono i genitori, divisi tra conservazione e aperture. C’è l’intransigente anti-israeliano, ma c’è anche il fratello che accetta di entrare in politica e viene accusato di collaborazionismo. Un quadro assai variegato e istruttivo, un film che – pur nel suo stile qua e là veterotelevisivo – infrange parecchi luoghi comuni e fornisce un ritratto chiaroscurato, complesso e stratificato.
16) Private di Saverio Costanzo. Italia 2004.
Il film che ha rivelato Saverio Costanzo e gli ha fatto vincer il Pardo d’oro al Locarno festival. Una famiglia palestinese la cui vita è sconvolta dall’occupazione israeliana, la casa occupata, l’impossibile eppure inevitabile conivenza. Come peraltro in Rock the Casbah (vedi sopra). Private non è un film politico, è un ossessivo, claustrofobico huis clos, un confronto tra chi ha potere e armi e chi ne è spossessato. Con Mohamed Bakhr (vedi sopra Jenin Jenin).
17) Inch’Allah di Anaïs Barbeau Lavalette. Canada, Francia 2013.
Film canadese presentata, con ottimo esito (ha vinto anche il premio Fipresci), alla Berlinale 2013 nella sezione Panorama. La questione palestinese vista attraverso la storia di Chloe, ginecologa del Québec che lavora in Israele e nei terriori, dunque costretta a fare la fila ai posti di blocco lungo il grande muro per passare da una parte all’altra. Tra le sue pazienti, donne di entrambe le zone. Sono i drammi femminili privati (la soldatessa che non ne può più di fare i suoi turni al checkpoint, la palestinese con il marito in carcere) a tracciare la trama narrativa.
18) For My Father di Dror Zehavi, Israele 2008.
A Tarek, ragazzo di Palestina, è stata assegnata la missione di farsi esplodere in un affollato mercato di Tel Aviv. Ma qualcosa nelmeccanismo si inceppa, l’attentato non può esserci e Tarek si ritrova solo nella città, lontano da quelli che l’hanno mandato a morire, immerso in una realtà a lui sconosciuta ma che imparerà a conoscere.
19) Al Nakba – The Catastrophe di Rawan Damen. Qatar, Cile 2008.
Nakba. Catastrofe. Così è chiamata l’esodo forzato degli arabi dalla propria terra quando fu creato lo stato di Israele nel 1948. Con questo titolo dal forte valore simbolico la regista giordana Rawan Damen ricostruisce la storia dei palestinesi (risalendo all’impero ottomano, alle prime decadi del Novecento) e di quell’evento con documenti e testimonianze. Prodotto da Al Jazeera.
20) Hanna K. di Costa Gavras. Franxia, Israele 1986.
Il film in cui Costa Gavras affronta, nei modi del suo ferrigno cinema politico, lo scontro che è anche di culture (si pitrà dire di civiltà?) tra israeliani e palestinesi. Con protagonista Jill Clayburgh quale avvocatessa francese ebrea che decide di lasciare tutto, lavoro, Parigi, marito, per trasferirsi in Israele. Si lega a un magistrato, si troverà a difendere, e lo farà con il massimo scrupolo, un palestinese accusato di terrorimo. Ma la sua vita resterà stritolata dall’opposizione tra i due mondi, tra le due culture, e sarà lei a pagare. A suo tempo sottovalutato. Da riconsiderare.