La rabbia e la disperazione

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

Arrabbiarci ci mantiene vivi, questo è ormai un dato di fatto.

Ogni giorno ci sbatte in faccia numerose e molto variopinte occasioni di arrabbiarci. Motivazioni, ragioni, piccoli fatti, veri e propri affronti. Difficoltà insormontabili quanto l’Everest ci costringono ogni giorno a confrontarci con la nostra – già agli sgoccioli poiché messa a durissima prova da tempo- capacità di farci scivolare le cose addosso, di affrontarle con un sorriso… o perlomeno non con una spranga in mano (ah, se solo potessimo!).

Ogni giorno c’è qualcosa, di piccolo o grande, che ci fa saltare la mosca al naso. I giorni peggiori sono quelli in cui dobbiamo per forza avere a che fare con i dolori dell’essere disoccupati, e così come i giorni più freddi sono i Giorni della Merla, i giorni peggiori sono quelli in cui dobbiamo avere a che fare con il Grande Meccanismo delle Istituzioni – e relativi e affini.

Ma siccome è difficile arrabbiarsi con le Istituzioni, con organi senza volto e senza nomi e cognomi, ci arrabbiamo molto spesso con chiunque rappresenti quelle stesse Istituzioni, il Sistema, qualsiasi maledetta cosa sia stata a decidere, un giorno, della nostra vita, e del nostro futuro, …e anche con chi ci ricorda qualcosa di particolarmente sgradevole.

Chi diventeremo, chi ci vogliono far diventare, chi abbiamo paura di diventare, chi non vorremmo mai diventare, chi non saremo più.

Ci arrabbiamo con la gente che vediamo calare per le strade con una missione: andare al lavoro. Ci arrabbiamo soprattutto con chi se ne lamenta. Ci arrabbiamo sentendo solo nominare levatacce, lunghissimi tragitti in macchina o sui mezzi pubblici, o le recenti “trovate” della collega rompiballe o dello stupido capo: non ne vogliamo più sentir parlare, e fulminiamo con un’occhiata torva o un commento acido chiunque tenti di venirsi a lamentare delle rogne del proprio lavoro – con noi, si proprio con noi …che notoriamente abbiamo tanto tempo e pazienza per stare ad ascoltare certi inutili piagnistei-.

Ci arrabbiamo con gli inserzionisti degli annunci di lavoro, che scrivono cose assurde rendendo i profili e gli annunci di lavoro praticamente degli enigmi irrisolvibili, e ci arrabbiamo con quelli che non si prendono nemmeno la briga di mettere un risponditore automatico per ringraziarti della candidatura (giusto perché tanto lo sappiamo tutti che non richiameranno mai, almeno far finta di essere gentili con una risposta automatica che non costa nulla…)

Ci arrabbiamo con i politici, a volte, ma il più delle volte (io per lo meno) ci concentriamo sulla gente che ci è di fronte. Per come la ved io, il politico non merita nemmeno il mio spreco di energie per arrabbiarmi.

E quindi ci arrabbiamo con la commessa che si infastidisce a servire i clienti, con gli operatori dei punti informazione che si scocciano se gli fai una domanda e con quelli dei call center (che giuro, io non riesco a capire come facciano a non capire una beata mazza in maniera così sistematica…dio! Devono fargli un corso prima di prenderli, altrimenti non si spiega!), e ci arrabbiamo con gli operatori degli sportelli. Soprattutto con quelli degli sportelli: quelli che lavorano per tirare sera, quelli che con una coda di 50 persone si alzano ogni 20 minuti perché hanno “diritto” di fare la loro pausa e spariscono per ore lasciandoti ala tua disperazione, ed al nevrotico squillare di telefoni a cui non risponde mai nessuno. Ci arrabbiamo a morte con quelli che rispondono sgarbati o fingono di non vederti dall’altra parte del vetro, con quelli che ti rimpallano per infinite volte da un numero all’altro del centralino, o se la prendono con te perché un loro collega – diamogli torto – ti ha a sua volta rimbalzato indietro… ci arrabbiamo con quelli che ti trattano come una merda perché hai scaricato il modulo 809GYTFCKHHFV invece del 809GYTFCKHHFV-B, e come hai fatto a non capire.

Io mi arrabbio a morte – e rischio ogni volta di venire alle mani – con quelli che si approfittano dell’ingenuità, o del timore, delle persone anziane, di quei poveri vecchietti che si ritrovano fagocitati e risputati in pezzi, sulla soglia dell’inferno delle Istituzioni, con nessuno che li aiuta a capire cosa devono fare, ma anzi, aumentano il loro terrore sbraitando loro contro, maltrattandoli verbalmente o addirittura insultandoli. Ecco, la maleducazione altrui tira proprio fuori il peggio di me.

Come la mancanza di rispetto.

E una delle mancanze di rispetto più grandi con cui mi arrabbio ogni giorno, lo troverete strano, forse anche sbagliato, è quella perpetrata dai vari mendicanti e accattoni che trovo sulla mia strada, ogni maledetto giorno.

E non parlo della povera vecchietta – che conosce mia madre e mia zia, che abita vicino a noi- e che sta fuori dal Gigante, vergognandosi un po’, a chiedere l’elemosina perché non ce la fa con la pensione, o del senzatetto che veramente non ha nulla altro se non quello che porta addosso, nella vita. No, parlo di tutta quell’Organizzazione (istituzionalizzata) di accattonaggio extracomunitario e Rom, che imperversa ad ogni bivio e angolo di strada e stazione della metropolitana, con cartelli scritti in italiano stentato  e bambini al braccio o cani avvolti in coperte sudice per impietosire i passanti.

Chiamatemi senza cuore, ditemi che sono xenofoba, razzista e senza coscienza civile, datemi anche della bastarda leghista, ma questa gente che mi ferma ogni giorno, che approfitta di ogni mia pur minima distrazione, da quando esco per fare 2 passi e ossigenare il cervello a quando prendo il treno per trascinarmi stancamente da casa mia a quella dei miei, a elemosinare una zuppa calda e due chiacchiere con chi mi vuol bene,.. dicevo questa gente che mi ferma e mi chiede l’elemosina in italiano stentato, e poi mi insulta (pensando che non li capisco) perché scuoto il capo e tiro avanti, ecco: questa gente mi tira fuori dalle asce. Vorrei gridargli in faccia di smetterla, di andare a trovarsi un lavoro.. ma poi sto zitta. Lo so meglio di loro che non è così facile trovarsi un lavoro, no? E poi loro un lavoro ce l’hanno già: fanno gli accattoni. Un bell’impegno.

Mentre io tiro avanti per la mia strada e sto zitta, perché IO ancora mi vergogno di ammettere certe cose.

Che quell’euro che ho in tasca non posso e non voglio darglielo, perché serve a me per mangiare, e a me chi mi aiuta? A me chi mi regala gli euro perché mi siedo a un angolo di strada a fare il “lavoro” dell’accattone organizzato, mentre nemmeno andando in giro a chiedere l’elemosina di un lavoro vero, onesto e dignitoso, nessuno mi fa la carità?

I peggiori sono quelli con il cartello “HO FAME”.

Quelli mi scatenano dentro la rabbia cieca e sorda, perché vorrei gridargli “Beh ci sono giorni che ho fame anche io, ma a me chi mi aiuta?” e invece, ancora sto zitta. Perché ammetterlo significherebbe che è reale, che ci sono davvero giorni che non si sa cosa fare per mettere in tavola qualcosa. E badate bene, non metto in dubbio di passarmela ancora bene, e di avere meno fame di quella che hanno loro. Ma il futuro è sempre più incerto, e poi “ho fame” che cavolo significa? Abbiamo tutti fame, ma non andiamo in giro a tormentare la gente così, chiedendo, piagnucolando, supplicando, e insultando gratuitamente chi non ci può dare nemmeno pochi centesimi (perché abbiamo dovuto imparare anche noi quanto valgono quei pochi centesimi).

Forse sono solo un’egoista. Forse anche quel solo euro che ho in tasca basta. Basta darlo. Forse davvero basterebbe solo dare, quel poco che si ha, invece di tenerselo, e forse tutta questa situazione, questa rabbia, questa disperazione, questa Italia cambierebbe. Forse sono solo un’egoista povera di cuore e di anima, che non da perchè non ha nulla da dare, e che se la prende con chi sta peggio per non riconoscere che invece è anche mia, e di questo atteggiamento, la colpa di quello che accade tutto intorno a me.

Ma quell’euro non sarà mai un solo euro: dietro il prossimo angolo ce ne sarà un altro, e un altro ancora. E allora cosa dovremmo fare: sfamare l’intero mondo? Chiudere tutti i fiumi del mondo con il legno di un solo, patetico sgabellino?

Lo confesso: sono molto lontana dal conceto di carità (Cristiana o no che sia), e mi dispiace. Mi dispiace, ma questa gente non mi fa pena, solo rabbia.

Perché la disperazione vera è sola, e senza parole, gente, ricordatelo.

Se ne sta accucciata dietro un angolo e non chiede nulla perché non ne ha il coraggio e se ne vergogna. Perché fino all’altroieri ce l’ha fatta a mantenersi con un lavoro onesto, senza chiedere nulla a nessuno, e anche ora morirebbe, prima di aprir bocca e chiedere aiuto.


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