Parcheggiata per volere del caso accanto a un muretto dopo una scintilla di stizza. Era la bicicletta di Bradley Wiggins al Giro del Trentino 2012. Per giorni quella Pinarello è stata il centro della compassione dei media e di tutti quelli che ne avrebbero voluta una. E’ toccata la stessa sorte anche in questi giorni alla Giant di Marcel Kittel, scaraventata a terra durante la seconda tappa della Tirreno Adriatico. Occasione dorata per tutti i velocisti che stavano già facendo a spallate per prendere la ruota o il treno buono e arrivare al traguardo a braccia alzate. Kittel è finito a terra, unica vittima di una strada che imboccava una rotonda: quando il gruppo si è aperto, la telecamera lo ha inquadrato sull’asfalto.
Chilometri al traguardo due, possibilità di rientrare e fare la differenza zero. Marcel lo sa e se la prende con la prima cosa che trova, la sua bicicletta: la scaraventa a terra e si sdraia, tenendosi la spalla con una mano, sull’erba di uno spartitraffico. La rabbia. Rabbia di un’occasione persa. E non conta se Marcel Kittel è un campione e le volate, ultimamente, se le mangia quasi tutte lui. Un’occasione è un’occasione per tutti.
Le polemiche arrivano a fiotti.
Sì, perché c’è questa tendenza a trattare i ciclisti come bambini viziati e allo stesso tempo cancellare tutte quelle sbavature dell’essere umano.
“Se l’avessi io una bicicletta così” è la frase ricorrente, “non la tratterei in quel modo.”
Eppure non ci fermiamo mai a contare quante cose buttiamo noi. E non solo cose. Siamo abituati anche a buttare le persone. Così, senza pensarci nemmeno a fine giornata. Così, magari in un impeto di rabbia, come Kittel con la sua Giant. Buttiamo una marea di cose belle, di sentimenti veri, pensando che nella società del consumismo di oggi ci sia sempre qualcosa che possa rimpiazzare quello che è finito in pattumiera. Buttiamo, senza sapere che non c’è un sostituto per tutto.
La rabbia di Marcel Kittel è la nostra rabbia, lo sfogo per le cose che non vanno nel verso giusto. E l’amore di Marcel è il nostro amore verso quello che ci accorgiamo essere importante.
Stamattina il velocista tedesco ha chiesto scusa alla sua bicicletta con una rosa. Un gesto da gentleman per far vedere a tutti che le polemiche erano inutili, che la faccenda si doveva troncare qui perché con la sua Giant ha voglia solo di vincere ancora. D’altronde il rapporto di un ciclista con la sua bici non potrà mai indagarlo nessuno fino in fondo. Cambia, come il modo di amare. E’ inciso da qualche parte, come le parole scritte coi coltellini sulle cortecce grinzose degli alberi. La scorza se la sono fatta assieme, pedalando e sacrificando tutto sull’asfalto. Si possono permettere anche gli insulti, il fango, i litigi tra loro, come chi ha condiviso tutto e non ha paura di dirsi niente.
No, noi non possiamo interferire. Proprio non possiamo perché in questo mondo di presunti tali, almeno il rapporto tenace e profondo tra la bicicletta e il corridore, bisogna lasciarlo in pace.
Stasera, dopo queste righe sparse, penso che ancora una volta la parola “scusa” risolve molte cose. Marcel e la sua Giant non sono solo gossip per far parlare i social tra una tappa e l’altra: ci ha fatto specchiare in noi stessi, ancora una volta. Le nostre rabbie, le nostre attese, le cadute in mezzo al gruppo e le schiene di chi non si ferma.
Scusarsi è ripartire da capo, insieme. Perché forse è vero quello che dicono in giro: i traguardi si raggiungono più facilmente con qualcuno di speciale vicino.