Ho una smodata predilezione per i formaggi (con buona pace del colesterolo) soprattutto per i formaggi delle mie montagne, mi piace vagare per gli alpeggi (così mi illudo di smaltire), chiacchierare con i casari, capire i segreti dei profumi, dei sapori, dei tempi di stagionatura.
Ogni tanto mi piace uscire dalla mia vallata per incontrare nuovi sapori e nuovi profumi e così, qualche anno fa, mi sono imbattuta nella “raclette” ed è stato amore a prima vista.
Eravamo in Svizzera, nel Vallese, per una breve vacanza in una valle verdissima, punteggiata di alpeggi e attraversata da trenini rossi, lungo uno dei ghiacciai più belli d’Europa: l’Aletschgletscher.
Di giorno camminavamo tra ghiacci e pascoli, fermandoci per uno spuntino a base di strudel e torta al cioccolato in qualche piccolo rifugio.
Alla sera tornavamo in albergo per concederci una “fonduta vallesana” o una raclette.
Il proprietario dell’albergo si metteva al centro della sala, con mezza forma di formaggio che veniva scaldata sul fuoco, quando la superficie cominciava a fondere con una specie di coltello la grattava e la metteva nei piatti, accompagnata da patate e sottaceti.
Visto l’appetito scatenato dalle scarpinate lungo il ghiacciaio il formaggio fuso, deliziosamente profumato, non restava a lungo nel piatto.