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La Rai del Cavalier Renzi

Creato il 30 settembre 2015 da Albertocapece

 Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sono davvero imperdonabili. Ormai gente come me che rifugge la Rai come una pestilenza, che pensa che i pacchi sono l’ottava piaga, che Fazio e la Litizzetto sono stati mandati e in terra e super pagati per contribuire all’infantilizzazione del popolo italiano, lui con la sua pedagogia da preside della buona scuola messo a far da tappetino al provveditore, lei che provoca dicendo cazzo cazzo culo culo e non per via della sindrome di Tourette, ma come i bambini che scoprono la fase orale, che ritiene che Vespa con la sua terza Camera abbia contribuito allo sputtanamento delle altre due, che i Ballarò, i Virus, le mattine in famiglia e i buoni pomeriggi abbiano dato una bella mano a disinformazione, ignoranza e contribuito all’odio per la politica e la partecipazione, quelle buone e quelle cattive, che l’occupazione militare della Rai grazie alla ripetizione del modello di esistenza parallela sotto forma di spettacolo di Berlusconi abbia favorito la conversione dei cittadini in consumatori, oggi – impoveriti- ancora più propensi al letargo, all’indifferenza, alla servitù, insomma ormai gente come me è costretta a scendere in campo per difendere l’azienda pubblica.

Che pubblica non è almeno nel vero senso della parola, grazie a un processo iniziato sotto la penultima dittatura e confermato, anzi completato, sotto quella attuale. E infatti vi ricordate quando Renzi disse a proposito della sua riforma “figuratevi se mi faccio dare lezioni di democrazia da Gasparri”? infatti lui le prende invece da Mussolini, almeno per quanto riguarda  la nomina diretta dei vertici dell’ente, che  nel 1927 quando il fascismo creò l’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR), ci mise suo fratello Arnaldo in qualità di vice-presidente, quello che aveva presieduto  l’Albo dei giornalisti e pubblicisti al quale potevano associarsi soltanto quelli iscritti al PNF.

È perfino inutile tornare sui talenti infilati nel consiglio di amministrazione, sulla neo presidente, una vera cheerleader del governo e una ragazza ponpon sempre pronta a seguire la flotta Nato, sull’uomo solo in sella al cavallo di Viale Mazzini, che vanta un invidiabile curriculum di fallimenti che gli permetterà di svolgere al meglio l’incarico “di guidare l’azienda senza continuamente mediare con il Cda sulle scelte operative”. Ne abbiamo scritto fino alla noia, come della stanca replica della liturgia autoritaria del ragazzo che si è formato alla Ruota della Fortuna, ossessivamente modellata sull’unicità: partito unico, sindacato unico, ma se non c’è meglio, preside unico, premier unico e informazione unica, ma se è solo spettacolo, circo, talent, reality, meglio ancora.

E infatti lui il suo avanspettacolo ce lo propina ogni giorno unico perché sempre uguale: annunci di trionfi in divenire, barzellette sconce, giochi di prestigio, con la donna segata nella scatola e se i pezzi non si riaggiustano è colpa dei gufi disfattisti, con le sue comparsate oltreoceano, quando farfuglia peggio che nei film su broccolino della leadership europea dell’Italia. Peccato che come succede con i peggiori guitti non faccia ridere la trasfusione nel servizio pubblico del sangue infetto della teologia delle privatizzazioni, che deve infiltrarsi ovunque per garantire controllo dall’alto, egemonia padronale, ossequienza agli imperativi categorici dell’impero.

Ha mandato avanti la truppa scelta della provocazione, il ricognitore che deve piazzare al posto delle mine le sue bombolette puzzolenti, il presidente della regione Campana, che giustamente rivendica di intendersi di camorra e che ha sparato razzi e putipù contro i mafiosi dell’informazione. Scelto per la bisogna grazie alle sue qualità istrioniche, perfezionate da quando imita Crozza che lo imita, e in virtù della perfetta coincidenza con  certi personaggi fumosi, minacciosi, intimidatori, insomma certi figuri che troviamo nella commedia dell’arte.

Poi, è un po’ questo il copione delle sue sceneggiate, ha tirato fuori dal cappello una personalità  apparentemente grigia, quello che pare solo un  apparatčik  del giglio magico,  ma che invece può vantare una folgorante conversione al renzismo, passando la Legambiente, da Telefono Verde, dalle trasmissioni di denuncia, dalle pubblicazioni sull’Ambiente Illegale, al partito e al governo dello Sblocca Italia, della Tav, delle trivelle, adesso anche del ponte sullo stretto risuscitato. Dobbiamo a tal Michele Anzaldi infatti l’aggressione diretta a Rai Tre, ai suoi giornalisti colpevoli di non “essersi accorti che Renzi è segretario del partito e presidente del Consiglio”  (forse lo colpisce l’evdente mancanza del necessario aggiornamento professionale), rei di non rispettare  “l’ impegno a offrire equilibrio nella rappresentanza delle posizioni politiche”, (il simultaneismo di Renzi e della sua corte in tutte le reti non sembra bastare mai), responsabili di dare voce alla minoranza,  togliendo il doveroso spazio  al premier e al partito ufficiale (“per dare voce a Speranza, D’Attorre e compagni il Tg3 riduce quella del governo al 22,3% contro il 32,6% del Tg2 e il 34,7% del Tg1”. cit.).

Non sono una fan di Bianca Berlinguer, non nutro particolare stima per Vianello, non prendo per oro colato tutte le rivelazioni della Gabanelli, ma per una volta potrebbero costringermi  a far mia la frase attribuita a Voltaire. Perché la guerra a Rai Tre è come la guerra dichiarata al territorio dalla sblocca Italia, all’istruzione dalla Buona Scuola, al lavoro dal Job Act, al parlamento della legge elettorale. È una guerra al bene comune, al diritto a essere informati, a quello di apprendere, a quello di lavorare non da schiavi ricattati ma da cittadini. abbiamo avuto il cavalier Benito Mussolini, il cavalier Berlusconi, sarebbe ora di disarcionare l’aspirante: facciamolo scendere dal cavallo della Rai e rimettiamolo su quello a dondolo, che è quello che si merita.


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