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La Rai secondo Bernabei «Il padrone è il pubblico» (Avvenire)

Creato il 12 gennaio 2014 da Nicoladki @NicolaRaiano

La Rai secondo Bernabei «Il padrone è il pubblico» (Avvenire)

Alberto Manzi

«Basta una parola per aprire un mondo nuovo davanti a noi». Erano le sei del pomeriggio del 15 novembre 1960 quando, sull’unico Canale nazionale, il maestro Alberto Manzi dava così il via alle lezioni televisive di Non è mai troppo tardi, programma dedicato all’alfabetizzazione degli adulti. Poco meno di due mesi dopo iniziava ufficialmente la cosiddetta «era Bernabei»: 14 anni di direzione generale, durante i quali la Rai diventa uno dei perni culturali della modernizzazione del Paese. Il 2014 è l’anno degli anniversari per l’azienda del servizio pubblico. Si festeggiano i 90 anni di radio e i 60 di tv. Alla vigilia dell’udienza che Papa Francesco concederà al personale Rai il 18 gennaio in Aula Paolo VI, Ettore Bernabei, classe 1921, cattolico, democristiano, giornalista, ricorda ancora la prima «lezione» che imparò al suo arrivo in «azienda»: «Il padrone della televisione è il pubblico, sono gli italiani».
Prima di arrivare in Rai, Bernabei diresse il Giornale del Mattino nella sua Firenze, per poi essere chiamato a Roma a dirigere Il Popolo, quotidiano ufficiale della Democrazia Cristiana. «Conoscevo i rapporti che regolavano comunicazione e politica - nota Bernabei - ma ignoravo il legame antropologico, culturale e umano tra un organismo di comunicazione culturale così complesso come la Rai e il pubblico. Mi aiutò colui che diventerà un mio collaboratore preziosissimo: Pier Emilio Gennarini». Milanese, anch’egli cattolico, si formò nel cosiddetto rotocalco popolare per poi organizzare in Rai le selezioni che apriranno «la stagione dei corsari», durante la quale entrarono in azienda, tra gli altri, Umberto Eco, Gianni Vattimo, Angelo Guglielmi e Furio Colombo. «Gennarini - ­continua Bernabei - mi fece capire subito, più di altri, che la gente che guarda la Tv è l’unico fulcro dell’intero servizio pubblico»; e si sa, senza fulcro la leva è inservibile. «La Rai rimane ancora - riflette Bernabei - una grande opportunità democratica, umana e sociale per gli italiani anche se non è unicamente finanziata dal canone, come ogni tv fisiologicamente sana dev’essere».
Quelli passati «sono stati anni in cui l’azienda ha dovuto anche difendersi dallo strapotere delle reti commerciali, e in questa lotta è capitato che abbia trascurato i suoi doveri di pubblico servizio». Bernabei non li chiama mai «telespettatori»; «le persone, in questo contesto, non hanno gradito l’emulazione al ribasso respingendo, in qualche modo, l’involgarimento delle reti pubbliche». Si può dire che se in un primo momento la Rai ha «educato» gli italiani, «essi hanno restituito il favore indicando ai dirigenti la strada da seguire».
L’obiettivo attuale resta quello che ha mosso anche la dirigenza di Bernabei, «fare programmi che offrano modelli di comportamento con dignità culturale alla portata della gente comune». A questo riguardo, sono molti gli esempi che costellano la storia dell’azienda. Sotto la presidenza Bernabei vennero prodotti dalla Rai grandi sceneggiati televisivi tratti dai classici della letteratura come L’Odissea, I Promessi sposi, I fratelli Karamazov. Tra i più recenti lo «sceneggiato su Anna Karenina (prodotto dalla Lux Vide fondata da Bernabei nel 1992, ndr), oltre ad avere una buona qualità tecnica e artistica, presentava un’alta fedeltà al testo e alle idee di Tolstoj, che spesso sono state manomesse in altre versioni». Ma «per non citare solo una produzione della Lux ­conclude Bernabei - basti pensare allo sceneggiato Rai su Olivetti che ci mostra la possibilità di fare ancora buona fiction» in Tv, che è «strumento di fruizione familiare per eccellenza. Guai se dovesse perdere questa caratteristica».
Christian Giorgioper "Avvenire"

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