"Haifinitodiscriverestronzate?". Una raffica di Kalashnikov avrebbe fatto meno danni. E invece quelle parole mi hanno passato da parte a parte, alcune addirittura sono rimbalzate fra un osso e l'altro, fra una costola e una vertebra, e sono rimaste dentro. Ne ho una infilata nel cuore, sospetto il ventricolo destro, ossignore che male che fa!
Sono contento uguale, lo confesso, perché è stata la prima volta che mi rivolgeva la parola. Alla cassa, sapete quale. Questa sera mi ha guardato, si è avvicinata un passo e un quarto lasciando che le sue splendide e lunghissiiiiime gambe facessero su di me l'effetto che non possono non fare e che sono state disegnate (create, direbbe qualcuno, io NO!) per fare: da paura.
Che profumo meraviglioso che hai.... Nella mia testa scorre questa frase e subito dopo l'intero film della mia vita. Sono come un condannato a morte. Volontario. Ho alzato la manina come un secchione che non ha capito nulla della vita. Chi vuole essere giustiziato? Io... Perdente!
Lei mi guarda un occhio, poi un altro, separatamente. E me lo dice. Mi dice di smetterla di scrivere stronzate.
Sono felice, perché se mi dice così significa che mi legge, che mi ha letto. Ha letto quello che ho scritto di lei, di noi, delle nostre attese alla cassa. Delle sue improvvise et elegantissime accelerazioni a sinistra appena fuori il supermercato e dell'ozio cullato sotto la pensilina alla fermata dell'autobus mentre dalle sue dita sale (saliva, sempre) il fumo fintopigro di una sigaretta, la spada laser di Guerre stellari. Atomizzami!
Sono felice perché lei ha letto la descrizione delle nostre vite colte nella concentrazione temporale dell'attesa alla cassa. E me lo ha detto senza cattiveria: trova una nuova storia da raccontare.
Lo ha detto con l'ironia meravigliosa di una donna. Uscita dalla fantasia di uno che, alla cassa, il tempo lo deve pure ingannare. Raccontandosi la realtà. O circa quella. O anche un'altra cosa. Altrimenti che ci stiamo a fare al mondo?
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