(Recensione di Luca Maciacchini per lucamaciacchini.com) – Alzi la mano chi, nella sua vita, non ha provato almeno una volta il desiderio di una soluzione miracolosa per risolvere tutti i suoi problemi di carattere per lo meno sentimentale o umorale. Se poi siete fra quelli che ancora sono alla ricerca di tale “pozione”, beh questo libro fa per voi.
“L’Era di Cupidix”, libro di Paolo Pasi
“L’Era di Cupidix” di Paolo Pasi ci propone un’incursione immaginaria in un mondo dove realtà e immaginazione (anzi “virtualità”), si fondono e si trovano delle soluzioni apparenti per trovare la felicità (come la si intende nei “piani alti” dell’imprenditoria commerciale) e la fine di qualsivoglia dolore e fastidio. “Cupidix” è il nome della pillola che, come si dice nel testo, potrà risolvere gli abituali inconvenienti delle varie fasi dell’innamoramento, ovvero i timori per eventuali fasi di “stanchezza” nel rapporto o, al contrario, il sentirsi troppo dipendenti dal partner o i timori per la caducità della passione. Insomma, la via chimica verso un sentimento “perfetto” e senza sbavature o sbandate varie.
L’intreccio è costituito essenzialmente dalle vicende di Carlo, Ada e Giovanni. Carlo è un infermiere trentatreenne, sassofonista jazz per passione; Ada è una ragazza ambiziosa decisa a intraprendere la carriera di attrice, ma il cui primo dramma è quello di dimenticare una infelice storia d’amore; Giovanni è il pubblicitario creativo che ambisce a “scalzare” colleghi e superiori di azienda con ogni mezzo necessario e il cui ingegno gli porterà a progettare la pillola “Cupidix”, pensata per far provare e soprattutto far perdurare nel tempo le sensazioni dell’innamoramento; successivamente proporrà la “contro – pillola” “Disamor”, progettata per chi da Cupidix non trae beneficio, ma ha bisogno di “debellare la malinconia passiva” derivante da una forte pena d’amore.
A differenza dei primi due personaggi, che della vicenda risultano più “vittime”, in quanto consumatori dell’un o dell’altro prodotto, Giovanni è il “produttore non consumante” dei rivoluzionari rimedi: dichiara di non aver bisogno di Cupidix perché “già innamorato” della sua Cristina, ragazza per lui perfetta. In realtà, come si rivela nella narrazione, per lui l’innamoramento comunemente inteso è da evitare come la peste perché è visto come una deviazione, una patologia incontrollabile. Ed egli, uomo tutto d’un pezzo, uno dei padroni dell’umanità “che consuma”, ciò non se lo può permettere. Giovanni di fatto è l’emblema dell’uomo del presente e del futuro che agisce dichiaratamente per la sua gente, e proclama che grazie a quelli come lui il mondo sarà migliore. Ma la verità, anche banale se vogliamo, è che a lui interessa dominare sulla gente che è il suo mercato.
Carlo è di fatto l’esplicitazione di Giovanni, cioè quello che Giovanni non ha il coraggio di ammettere a se stesso di essere, una sorta di sua “proiezione” nella realtà. Carlo svolge un’attività più “normale” e non nasconde le sue debolezze, le vive, anche se male. Egli ama il Jazz e le donne. La musica e la femminilità sono in effetti due temi del romanzo che ritornano a più riprese. Ogni capitolo del romanzo è intitolato con un brano di musica jazz, che di quel capitolo è visto come esplicito “mood” e colonna sonora ideale; ciò si attua al massimo nelle scene in cui vediamo Carlo alle prese col suo Sax o quando discute con una donna sull’opportunità o meno di tornare a esibirsi dal vivo dopo tanto tempo. E’ nella musica e nella dimensione artistica che ritrova le parti migliori di se stesso unitamente a un “ritmo” che è sì quello della musica della teatralità, del tempo narrativo, ma è anche un ritmo, per così dire , “umano”, relazionale. A differenza di Giovanni che concepisce il prossimo come cliente puro, Carlo trova nell’interlocutore un… (per continuare a leggere la recensione cliccare qui —> “lucamaciacchini.com“).